di Marco Cedolin
La questione del TAV in Val di Susa è ormai sul tappeto da quasi 15 anni, ma il braccio di ferro che coinvolge da un lato le amministrazioni comunali ed i cittadini della Valle e dall’altro il governo, la Regione Piemonte e la Provincia di Torino ha delle costanti che si ripropongono in maniera ripetitiva periodicamente.
Ogni qualvolta il “supertreno”, come è accaduto in questo ultimo periodo, si ritrova a giacere su un binario morto ecco accendersi una sorta di tempesta mediatica finalizzata a riproporlo all’attenzione generale nell’improbabile ruolo di motore dello sviluppo di Torino, del Piemonte e dell’Italia intera.
Anche in questi giorni, come già molte volte in passato, le dichiarazioni di uomini politici, industriali, giornalisti ... ... ed esperti di comodo invadono le pagine dei giornali ed i palinsesti dei TG nel velleitario tentativo di dimostrare quanto l’opera sia strategica, importante, necessaria, imprescindibile e foriera di ogni genere di ricaduta positiva, anche di quelle che con una linea ferroviaria non hanno veramente nulla a che fare.
L’attuale Presidente della Regione Mercedes Bresso e Pininfarina (che ormai si avvale dell’apporto di tutti i membri della sua famiglia) sono i veri precursori di questo “allarmismo urlato” se pensiamo che già nel 1991 prevedevano entro breve tempo la saturazione della linea storica che oggi dopo 15 anni è sfruttata solamente al 37% delle sue potenzialità.
Il Sindaco di Torino Sergio Chiamparino, il Ministro Di Pietro ed il Presidente torinese di Confindustria Tazzetti sono invece entrati nel “club” più recentemente ma con il loro berciare scomposto si sono già ritagliati un ruolo da protagonisti.
Oltre al solito coacervo di amenità assortite che ormai odora di stantio, concernente il pericolo d’isolamento per il Piemonte e la necessità imprescindibile di un’opera che pur non avendo motivazioni di sorta risulta comunque indispensabile, la “banda del TAV” è riuscita questa volta ad estrarre dal cilindro qualcosa di nuovo.
La Presidente Bresso ci ha messo al corrente del drammatico pericolo che la Svizzera, facendo leva sulle nostre incertezze, riesca ad usurparci quel ruolo di corridoio di transito dal quale dipende buona parte del nostro futuro, destinandoci in questo modo a decenni d’isolamento forzato dal resto d’Europa.
Di Pietro dopo la grammatica ha messo in discussione anche la geografia affermando che la linea storica deve affrontare un dislivello di 1800 metri, come se Bussoleno fosse un paese del Polesine e Bardonecchia si trovasse sul colle del Monginevro.
Il buon Tazzetti si è detto pronto ad organizzare una grande marcia SI TAV sulla falsariga di quella dei 40.000 colletti bianchi che nel 1980 “salvarono” la FIAT, dimenticando che per mettere in atto un simile proposito bisognerebbe anche avere i danari per pagare questi facinorosi come a suo tempo fece la famiglia Agnelli.
Sergio Chiamparino si è scoperto escursionista fai da te ed ha espresso la volontà di praticare trekking sulle pendici del Musinè, dove stando attento alle vipere si produrrà nel dipingere un graffito inneggiante al TAV.
La proposta più innovativa e per molti versi disarmante è però arrivata ancora dalla bocca della Bresso che riesumando un progetto da lei proposto quando sedeva in provincia, vecchio e dimenticato quasi quanto i suoi libri sull’ecologia ed i piaceri della lentezza e della contemplazione, prende in esame un tracciato alternativo a quello sul quale si è discusso fino ad oggi.
Proprio intorno a questo progetto, emerso all’uopo da qualche recondito andito e concernente il passaggio del TAV per un lungo tratto in Val Sangone per poi debordare in Val di Susa solo nella parte terminale del tracciato, si stanno sempre più concentrando le attenzioni della stampa in questi ultimi giorni.
In merito a questo argomento Mario Virano, il presidente del fantomatico osservatorio che porta il suo nome, incontrerà a breve il deputato di Forza Italia Osvaldo Napoli per saggiare la disponibilità a prendere in considerazione il progetto da parte dei comuni della Val Sangone. Le prime dichiarazioni dei sindaci e di Osvaldo Napoli sembrano trasudare grande apertura ma come sempre accade in questi casi nessuno si è preoccupato di domandarsi cosa ne penseranno le popolazioni interessate una volta che avranno preso coscienza del progetto.
Per disincagliare il TAV dalle sabbie mobili nel quale è impaludato, questa volta si sta dunque lavorando veramente a 360 gradi, fingendo di dimenticare che anche partendo dalla Val Sangone la tratta dovrebbe passare per quella cruna dell’ago chiamata Valle di Susa dove la gente grida “sarà dura” e il TAV non vuole vederlo neppure in fotografia.
Marco Cedolin
VEDI ANCHE:
Quando i caprioli danneggiano l'ambiente
Incubo TAV
Val Susa: ventata di democrazia?