Quello che sta per iniziare non è un anno come tutti gli altri. Il 2009 sarà un anno che rischia letteralmente di decidere le sorti dell'umanità, nel bene come nel male.
Dopo aver imperversato per lunghi anni con furti, inganni e crimini di ogni tipo, in neocons se ne vanno e lasciano un'America in ginocchio, obbligandola ad affrontare con estrema urgenza tutte le grandi contraddizioni con cui aveva convissuto in silenzio fino a ieri.
L'elezione di Barack Obama, percepito da molti come un messia liberatore, è stata tanto imprevedibile quanto inevitabile, e le enormi aspettative che ora si riversano su di lui non sono che la misura dell’angoscia profonda che attanaglia ormai buona parte degli americani.
E per quanto il resto del mondo finga di vivere su un altro pianeta, sappiamo tutti quanto le sorti dell’occidente dipendano in maniera diretta da quelle degli Stati Uniti.
Per la prima volta nel dopoguerra si profila il rischio concreto di un totale collasso del sistema economico, ... ... che porterebbe ad una crisi molto simile a quella del ‘29. Con una differenza, però: la crisi del '29 fu risolta da Roosevelt, nel decennio seguente, portando gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, ovvero trasformando le industrie più obsolete in fabbriche di cannoni, corazzate e carri armati. Solo così si potè rimettere definitivamente in piedi un'economia che le sole iniezioni di capitale, unite ai forti sussidi statali (il cosiddetto "New Deal") non erano riuscite a sanare fino in fondo.
Nel caso attuale invece è stata proprio la guerra a dilapidare le riserve degli Stati Uniti, trasferendole per intero nelle tasche private dell'industria bellica – il famoso “Military-Industrial Complex” - e non è certo pensabile che una nuova guerra possa risolvere i problemi causati da quella in corso.
Si tratterà invece di trasformare le industrie più obsolete in vista della radicale trasformazione dei modi di vita, di pensiero e di costume - ovvero, della cultura in senso lato - che l'intero occidente dovrà affrontare, in tempi molto brevi, se vuole sopravvivere a se stesso.
E' finita l'era degli sprechi, del superfluo e delle apparenze. Da domani solo ciò è essenziale potrà continuare a far parte del nostro quotidiano.
E’ significativo che siano proprio le tre grandi dell'industria automobilistica - General Motors, Chrysler e Ford - a trovarsi per prime sull’orlo del fallimento, con il quale trascinerebbero nel baratro anche i milioni di lavoratori delle industrie collegate.
Mentre i giapponesi, orma da anni, producono automobili pratiche, essenziali e poco costose, dai capannoni di Detroit continuavano ad uscire dei mostri di ridondanza meccanica ed estetica, costruiti con criteri diametralmente opposti.
Ma questo non avveniva nè per caso nè per distrazione: per gli americani infatti era proprio lo spreco - di volume, di consumi, di dimensioni, di accessori, di abbellimenti estetici - a conferire a quei mostri la valenza di pregiati status symbol.
Fino a ieri, mostrare di potersi permettere lo spreco equivaleva ad occupare gli strati più alti della società; oggi vivere così in alto significa semplicemente farsi più male, nel momento in cui tutti dovranno cadere a terra.
L'azzeramento di certi parametri non andrà applicato solo all'interno della nostra società, ma anche nel rapporto fra l'occidente e le altre nazioni del mondo. Esattamente come ognuno di noi dovrà imparare a fare a meno di tutto ciò che non sia essenziale, l'occidente dovrà imparare a rinunciare a molti dei suoi privilegi, per condividere in maniera più equa le risorse mondiali con gli altri abitanti del pianeta.
Abbiamo voluto la globalizzazione, e ora dobbiamo accettarne le conseguenze. Non si può pretendere di vivere tutti in un unico sistema, quando si vogliono esportare i nostri prodotti in ogni angolo della terra, per poi dimenticarsi di coloro che in quegli angoli ci vivono, quando si tratti di pagare il conto.
Se la mensa è collettiva, anche gli scarti devono appartenere a tutti.
Sarà un processo lungo e difficile, poichè non basterà più il solito ritocco di facciata, a cui la nostra ipocrisia ci ha abituato, ma si dovrà passare attraverso una reale trasformazione culturale.
Non basterà più "fare le leggi" perché i diversi abbiano gli stessi diritti di tutti gli altri; bisognerà che questi diritti vengano riconosciuti ai diversi, da tutti gli altri, in maniera sincera, spontanea e incondizionata.
Non basterà più "fare le leggi" per proteggere i cittadini onesti dalle truffe dei disonesti; bisognerà che tutti i cittadini, onesti e disonesti, comprendano come sia indispensabile prima di tutto smettere di cercare di fotterci a vicenda, se vogliamo riuscire a vivere almeno 20 minuti di serenità su questa terra.
Non basterà più andare a votare ad occhi chiusi, convinti che il nostro dovere si esaurisca con una croce su un foglietto, per poi tornare a casa ad imprecare contro gli stessi criminali che abbiamo appena deputato a rappresentarci. Bisognerà che ciascuno comprenda a fondo le responsabilità che comporta il sistema democratico, nel momento in cui conferisci ad altri dei poteri così eccezionali come quello di andare in guerra contro altre nazioni, di installare centrali nucleari sul nostro territorio, o di decidere cosa dovranno studiare i nostri figli nelle scuole, prima di apprezzare i reali vantaggi che offre la democrazia.
Solo comprendendo le responsabilità di ciascuno nel conferire quei poteri, potremo curare alla radice il male che ci affligge, e che noi stessi oggi alimentiamo: quando i nostri governanti compiono un gesto così mostruoso come quello di privatizzare l’acqua – uno dei beni fondamentali dell’umanità - e chi li ha eletti non trova nulla da ridire, sembra chiaro che i problemi risiedano prima di tutto dentro di noi.
Fino ad oggi abbiamo vissuto in una falsa democrazia, delegando ad altri il potere di commettere crimini che poi preferiamo ignorare, come se non c’entrassimo nulla. Oppure, peggio ancora, come se comunque “non ci si potesse fare nulla”. Fino ad oggi abbiamo vissuto in un profondo stato di inerzia mentale, che ci ha insegnato ad attendere che le soluzioni arrivino dall’esterno, invece di perseguirle noi stessi con forza e determinazione.
In questa falsa democrazia, priva di verifiche e di rendiconto, il capitalismo selvaggio ha potuto dare i suoi frutti più sinceri, che sono risultati tanto appetibili alla vista quanto amari nella sostanza. Ogni morso dato alla mela della “felicità terrena” è in realtà un morso di dolore sulla pelle di qualcun altro, ed ora che gli stessi pirati dell'umanità si sono ritrovati con un torsolo marcio fra le dita, potranno forse capire che il gioco non vale la candela.
Ci attendono anni complicati e difficili, che porteranno profonde mutazioni, in un senso oppure nell’altro. Ma sono anche anni che passeranno alla storia dell'umanità, per un motivo oppure per l’altro. Di fatti poco importanti, nei prossimi anni, ne accadranno pochi.
C'è chi crede che il futuro sia già tutto scritto nel grande libro dell'universo, e c'è chi crede che questo futuro possa invece essere determinato da noi, almeno in parte.
Il primo caso non concede comunque un alibi a chi - per inerzia mentale, o per egoismo residuo - opporrà resistenza al cambiamento. Il secondo impone che ciascuno di noi faccia il massimo sforzo in ogni direzione, iniziando sin da oggi a comportarsi come nel mondo in cui vorrebbe vivere domani.
Serve a poco lamentarsi delle ruberie, se poi rubiamo noi stessi, con la scusa che "tanto lo fanno tutti". Dobbiamo trovare la forza di smettere per primi, sperando che anche gli altri seguano al più presto il nostro esempio.
Non è facile, certamente, e il panorama disastroso che abbiamo di fronte non aiuta certo a risollevare lo spirito. Sappiamo però anche una cosa, che in qualche modo può esserci di conforto: quel disastro lo hanno fatto uomini come noi, e quindi nulla vieta che altri uomini possano ripararlo. Devono solo provarci.
Il conto alla rovescia è cominciato.
Massimo Mazzucco