In occasione della serie “Lockerbie” che sta andando in onda su Sky, ripubblichiamo questo nostro articolo del 2009.

Quello che segue è un tentativo di ricostruzione della storia “dietro le quinte” fra Libia, Gran Bretagna e Stati Uniti, che è ruotata per tutti questi anni intorno all’attentato di Lockerbie.

Il suo presunto responsabile, Abdul al-Megrahi, è stato recentemente liberato dalla Gran Bretagna “per motivi compassionevoli” – così dice la motivazione ufficiale - e rimpatriato in Libia. In realtà, come vedremo, è ormai chiaro che al-Megrahi sia stato soltanto il capro espiatorio della vicenda, e che non abbia avuto nulla a che fare con l’attentato, mentre il suo rilascio sarebbe stato la conseguenza di una urgente esigenza da parte degli inglesi, piuttosto che un gesto umanitario.

La storia si può far iniziare dall’attentato del 1984 ad una discoteca di Berlino, nel quale morirono due cittadini turchi ed un soldato americano. Le autorità tedesche individuarono nel “terrorismo libico” i responsabili, e Ronald Reagan pensò che una adeguata risposta fosse quella di bombardare Tripoli.

Il vero scopo, naturalmente, era togliere di mezzo il colonnello, che già da anni sedeva borioso su milioni di barili di petrolio, del quale gli anglo-americani cominciavano a sentire una forte nostalgia (la prima “crisi del petrolio” risale al 1973). Gheddafi si salvò, ma nel bombardamento morì, insieme a molti altri innocenti, Hanna Gheddafi, la sua bambina di due anni.

Il 21 dicembre 1988 il volo Pan-Am 103, da Londra a New York, esplose in volo sopra la Scozia, causando la morte di 270 persone. Oltre a tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio morirono anche 11 abitanti della cittadina di Lockerbie, dove caddero le ali e la parte centrale della fusoliera.

Dopo 3 anni di indagini, svolte con la solerte collaborazione dell’FBI (più di metà dei passeggeri erano americani), la corte scozzese concluse che i responsabili fossero due libici, Abdul al-Megrahi e Lamin Fhimah. Cominciò subito a circolare l’idea, non difficile da alimentare, che quell’attentato fosse stato la vendetta di Gheddafi per la morte della figlia, e quindi l’idea degli attentatori “libici” sembrò a tutti la più naturale del mondo.

Non esistendo però trattati diretti fra i due paesi, gli inglesi non potevano richiedere ufficialmente l’estradizione dei presunti colpevoli, per cui incaricarono gli uomini dell’MI-6 (la CIA inglese) di aprire dei canali extradiplomatici con Tripoli – le cosiddette “backdoors”, o “porte sul retro” - per ottenere in altri modi la loro consegna.

Nel frattempo partiva una pubblica escalation di accuse, ricatti e controaccuse, che culminò con una pesante serie di sanzioni internazionali imposte alla Libia dall’ONU, per ottenere la consegna dei due presunti attentatori. (Curioso come siano sempre i paesi ricchi di petrolio a finire ricattati con embargo e sanzioni di ogni tipo). Ma Gheddafi teneva duro, e dopo sei anni gli uomini dell’MI-6 non erano ancora riusciti ad aprire nemmeno uno sportello per gatti, nel retro della sua fortezza.

Accadde così che nel ’94 si presentò all’ambasciata inglese di Tunisi un ”agente dei servizi libici”, che chiese di parlare con il locale responsabile dell’MI-6, e gli fece una proposta molto allettante. Aveva a disposizione – disse – un manipolo di fedelissimi disposti a tutto, pronti ad uccidere Gheddafi e a prendere il potere. Ma aveva bisogno di soldi per preparare l’attentato (armi, bombe, logistica, eccetera), e quindi offriva in cambio, se gli inglesi lo avessero aiutato a rovesciare il colonnello, la prelibata preda dei due attentatori di Lockerbie.

L’uomo dell’MI-6, un certo David Watson, riferì la cosa al suo capo-struttura di Londra, Richard Bartlett. Dopo qualche giorno arrivò l’OK da Bartlett, che disse di aver avuto la “licenza di uccidere” dal ministro degli esteri, insieme ad un finanziamento di 100.000 dollari da passare al manipolo di attentatori.

Dimenticavamo di dire che questo manipolo di attentatori si chiamava “Al-Queda”, e faceva capo ad un certo Osama bin Laden, l’uomo che aveva organizzato per la CIA i Mujaheddin afghani che avevano rimandato i russi a casa loro. (Come si è poi saputo infatti, “Al-Queda” era il nome del database della CIA con i nomi di tutti i Mujaheddin). Era a nome di bin Laden che l’ ”agente dei servizi libici” si era presentato a Tunisi da Watson. (Questo personaggio non è mai stato identificato con certezza, ma è quasi certo che fosse Anas al-Liby, il n. 2 di bin Laden, che in quel periodo risiedeva, curiosamente, nel vicino Sudan).

In altre parole i servizi inglesi finanziarono bin Laden per uccidere Gheddafi. Solo un bambino infatti potrebbe credere alla storiella dello sconosciuto agente libico che si presenta all’ambasciata inglese di Tunisi, offrendo due uomini in cambio di una nazione, e se ne va fischiettando dopo tre giorni con 100.000 dollari in tasca. Questa è la pietosa bugia che si dovette inventare quando la faccenda dell’attentato a Gheddafi – che nel frattempo era fallito - divenne di dominio pubblico. Erano stati gli agenti dell’MI-5 Annie Machon (*) e David Shayler a denunciarla, dopo averlo saputo dai colleghi dell’MI-6. Fu un caso di wisthleblowing di prima grandezza, che scatenò un vero e proprio putiferio in Gran Bretagna, poichè metteva il paese in imbarazzo di fronte al mondo intero. Non a caso Machon e Shayler dovettero fuggire, rimanendo nascosti per lunghi mesi in una fattoria nel nord della Francia, per poi affrontare diversi anni di contorte vicende giudiziarie che si sono conclusi solo di recente. Se non fosse stato per loro, nessuno avrebbe mai saputo del tentativo inglese di uccidere Gheddafi, nè di altri attentati contro i cittadini di Israele, ufficialmente attribuiti ai palestinesi, che risultarono essere invece opera del Mossad.

Dopo il fallito attentato a Gheddafi, il braccio di ferro per avere i due presunti attentatori di Lockerbie riprese come prima, e a lungo andare il prezzo pagato per le sanzioni diventò insostenibile anche per l’orgoglio di Gheddafi. Dopo lunghe trattative, la Libia riconobbe ufficialmente “le responsabilità dei nostri ufficiali” (al-Megrahi era il capo della security delle aerolinee libiche a Londra) e consegnò i due sospettati, a condizione che venissero giudicati in un tribunale neutrale, in Olanda, alla presenza di osservatori internazionali.

Al processo olandese Fhimah fu assolto, mentre al-Megrahi fu ritenuto colpevole, e condannato all’ergastolo, con una pena minima di venti anni da scontare. Qualcuno si domanderà come sia stato possibile dimostrare addirittura l’identità dell’attentatore, partendo da una semplice caterva di rottami fumanti. Ebbene, quando c’è di mezzo l’FBI, tutto diventa possibile: attenzione, perchè lo spettacolo va ad iniziare.

Frugando fra i resti del disastro, qualcuno si era accorto che un frammento di abiti da bambino, sbruciacchiato ma non troppo, portava tracce di esplosivo talmente pesanti da suggerire che fosse stato usato per avvolgere la bomba stessa. Miracolosamente però, il tessuto conservava ancora l’etichetta, e da questa si è potuto risalire al venditore, un commerciante di Malta di nome Tony Gauci. Quando gli uomini dell’FBI andarono a trovarlo, Gauci si ricordò improvvisamente di aver venduto degli abiti da bambino ad un “Libyan looking man” – letteralmente, “un uomo dall’aspetto libico” (come è noto i libici sono completamente diversi da tutti gli altri arabi) – 3 settimane prima dell’attentato. Da lì a identificare al-Megrahi, fra una ventina di “Libyan looking men” come lui, il passo fu breve.

Ma per farlo condannare non bastava. Il fatto che gli abiti da bambino si trovassero in prossimità della bomba non significava che l’avessero avvolta fisicamente. Instancabili, gli uomini dell’FBI continuarono a indagare, finchè scoprirono fra i resti del disastro un frammento di circuito elettrico che viene montato normalmente su un certo modello di radio Toshiba. E’ lo stesso modello di radio – fecero notare gli uomini dell’FBI – usato da un palestinese poco tempo fa per confezionare una bomba di tipo Sentex. Ottima intuizione, ma non bastava ancora. Cerca, esamina e analizza, e saltò fuori che un altro frammento di circuito elettrico recuperato fra i rottami apparteneva ad un timer simile a quello trovato addosso ad un agente libico, arrestato qualche mese prima, che si aggirava nella notte con in tasca una bomba tipo Semptex. La cosa cominciava a farsi interessante, ma gli indizi non bastavano ancora.

Ci fu allora il colpo di genio finale degli agenti dell’FBI, che da un frammento di valigia risalirono al modello di Samsonite che aveva contenuto la bomba, accorgendosi nel frattempo che proprio quella valigia, imbarcata a Londra sul volo Pan-Am, era partita da Malta. Ora sì che il cerchio si chiudeva! Bastò fare “libico + Semptex + timer + Samsonite + Malta”, ed ecco uscire un bell’ergastolo per il povero al-Megrahi.

Nonostante lui si proclamasse innocente, e nonostante il principale osservatore dell’ONU, Hans Köchler, abbia definito il verdetto uno “spettacolare aborto giuridico” (“a spectacular miscarriage of justice”), il mondo si convinse presto che l’attentato fosse partito proprio dalla Libia. Eravamo nel gennaio 2001, a pochi mesi dall’undici settembre.

Nel frattempo Gheddafi aveva messo la testa a posto, aveva rinunciato a farsi la bomba atomica, ed era diventato addirittura il “buon esempio” di islamico addomesticato che tutti gli altri nel mondo dovevano imitare (Saddam era avvisato). A conferma delle sue buone intenzioni, Gheddafi si impegnò a pagare 2.7 miliardi di dollari alle famiglie delle vittime (circa 10 milioni di dollari per famiglia), legando però i pagamenti alla cancellazione definitiva delle sanzioni contro la Libia, ed alla rimozione del suo paese dalla lista degli “stati-canaglia”. La maggior parte di quei soldi è finita nelle casse dei prestigiosi studi legali americani che hanno rappresentato i familiari delle vittime.

Nel 2002 al-Megrahi tentò un ricorso in appello, ma la sua richiesta fu respinta per “inconsistenza delle motivazioni”. Al-Megrahi non si arrese, e iniziò – probabilmente aiutato dall’esterno – a far raccogliere tutta la documentazione possibile per preparare un secondo appello, molto più serio e ben organizzato del primo. La sua “contro-indagine” fu così efficace che nel 2007 la Corte Penale di Revisione Scozzese stabilì, con grande sorpresa di tutti, che il caso andasse riaperto. Nel frattempo infatti era emerso che:

- Tony Gauci, il commerciante maltese di vestiti, aveva visto una foto di al-Megrahi 4 giorni prima del riconoscimento. La difesa di al-Megrahi sostiene di avere le prove che Gauci abbia ricevuto 2 milioni di dollari per la testimonianza che portò all’arresto dell’imputato.

- Il tecnico svizzero che aveva confermato che il timer venisse usato per le bombe Semtex ha confessato di aver mentito al processo, dopo aver respinto un’offerta di 4 milioni di dollari da parte dell’FBI per fare quelle dichiarazioni. Il tecnico ha anche ammesso di aver rubato dalla sua ditta un esemplare di quel timer, per consegnarlo “ad un uomo incaricato delle indagini”.

- Il pezzetto di circuito elettrico ritenuto appartenere al timer risultò non essere stato nemmeno testato per la presenza di esplosivi.

- La famosa “Samsonite partita da Malta” aveva girato per 17 ore su un carrousel vuoto di Heatrow, prima di essere imbarcata sul volo Pan-Am, e durante quel periodo era stata forzata da qualcuno.

- La polizia di Heatrow ha purtroppo “perso” la documentazione su quella valigia, per cui non è più possibile risalire a chi l’abbia maneggiata, nè tantomeno imbarcata.

- L’abitante di Lockerbie che aveva trovato nella foresta il manuale della radio Toshiba disse che il documento presentato al processo era completamente diverso da quello che lui aveva consegnato alla polizia.

Insomma, ci siamo capiti, è inutile infierire: all’FBI usano ancora le tecniche e i manuali di Edgar Hoover. I media però fecero finta di nulla, e la notizia del verdetto della Corte di Revisione passò sotto relativo silenzio. Ma i tempi per l’appello di al-Megrahi nel frattempo sono maturati, e la data per la riapertura del processo era stata fissata per lo scorso Aprile. Se quel processo si fosse svolto, al-Megrahi molto probabilmente sarebbe stato assolto, e gli inglesi avrebbero fatto una plateale figuraccia di fronte al mondo. C’era inoltre il rischio, non trascurabile, che Gheddafi a quel punto chiedesse la restituzione di tutti i soldi pagati per risarcire le famiglie delle vittime.

Ecco perchè gli inglesi, colti da improvviso “spirito compassionevole”, hanno deciso di rimpatriare in gran fretta al-Megrahi, iniziando una complessa procedura legale che richiedeva, prima di tutto, che lui ritirasse la richiesta di appello. Dopo che questo è avvenuto, al-Megrahi è stato rimandato a casa. Fine della storia.

A questo punto resta solo una domanda: se non sono stati i libici, chi ha messo la bomba sul Pan-Am 103? La risposta precisa nessuno la conosce, e Internet a questo punto pullula di “teorie alternative” di ogni tipo, la maggioranza delle quali sono state chiaramente messe in circolo per confondere le acque (**) . A chi non avesse voglia di addentrarsi in quell’infida foresta, possiamo sempre suggerire di domandarsi a chi possa essere convenuto, in tutti questi anni, far passare la Libia di Gheddafi per uno stato di “terroristi”.

Massimo Mazzucco

* Annie Machon, attivista 9/11, denuncia l’attentato a Gheddafi da parte dei servizi inglesi.

** Fra queste, circola la teoria che l’abbattimento del Pan-Am sia stato una vendetta degli iraniani per un aereo civile abbattuto dagli americani qualche tempo prima.

Comments  
Mi ricordo bene le immagini nei telegiornali dell'epoca ma il false flag non mi ha mai convinto. Troppo ingarbugliata la ricerca del colpevole tra l'altro non immediata. Di solito quei maledetti danno la spiegazione del giallo dopo 20 minuti facendo trovare l'atto di nascita dei presunti terroristi.

Li molto probabilmente hanno fatto come a pearl harbor ma a scoppio ritardato, cioè non sapendo prima che accadesse, ma approfittandone dopo.
L’11 marzo 2020 Il giornale La Repubblica pubblicò questo articolo:
rep.repubblica.it/.../...

Nel 2018 ne venne pubblicato un altro, la pagina non esiste più, però c’era scritto:

Quote:

Strage Lockerbie, innocenti 007 libici?
17 dicembre 2018 | L'attentato del 1988, quando il volo Pan Am 103 con 270 persone a bordo si schiantò a Lockerbie uccidendo altri 11 residenti, fu attribuito ai Servizi libici. Ma un frammento del timer, prova regina, risalirebbe al 1991

Un ex investigatore scozzese ritiene che il responsabile dell’incidente aereo di Lockerbie, quando il Boeing del volo 103 esplose in cielo, costato la vita a 270 persone, potrebbe non essere stato il libico Abdelbaset Ali Mohmed Al-Megrahi, unico condannato per la strage del 1988. Il frammento del circuito elettronico del detonatore dell’ordigno esploso in volo presentato come prova risalirebbe infatti al 1991, tre anni dopo l’attentato. I familiari delle vittime ora chiedono sia riaperta l’inchiesta. Vogliono la verità. Le affermazioni sono supportate dalla testimonianza di un esperto britannico e da un test presso un laboratorio forense della polizia di Zurigo. Il documentarista Bill Cran e il suo investigatore principale George Thomson, un ex poliziotto scozzese, hanno riesaminato pagina per pagine iil dossier l'attentato del 1988 e il processo per poi realizzare un film.
Thomson, 73 anni, faceva parte del team di difesa di Megrahi che stava preparando l'appello abbandonato dall'agente libico nel 2009 per ottenere il suo rilascio per motivi di salute, poiché l’uomo era gravemente malato. Un piccolo frammento di un timer, denominato PT/35(b), che sarebbe stato trovato tra i detriti della Pan Am 103 vicino alla città di Lockerbie dopo l'incidente del 1988, fu la prova regina dell’accusa. Secondo Richard Marquise, l'agente dell'FBI che ha guidato la parte statunitense dell'indagine Lockerbie, senza PT/35(b), non ci sarebbe stato "nessun atto d'accusa". Ma si sostiene che un nuovo esame forense ha stabilito che il frammento proveniva da un tipo di circuito stampato non brevettato fino al 1991.
Abdelbaset Ali Mohmed Al-Megrahi rimane l'unico ad essere stato giudicato colpevole per i 270 omicidi ma il riesame di una corte scozzese del 2007 aveva concluso nessun tribunale avrebbe potuto condannare in base alle prove presentate. Il circuito elettronico avrebbe dovuto far parte del timer che ha innescato la bomba del tipo di timer di tipo militare venduti alla Libia.
Fu stabilito che era stato assemblato dalla società svizzera di elettronica Mebo, ma un nuovo esame forense ha stabilito che il frammento non corrispondeva alle schede Mebo.
L'esperto britannico ha detto che il frammento conteneva tracce di lamina di rame, mentre nei vecchi Mebo timer venduti in Libia non veniva usato quel minerale. La tecnica di aggiungere un rivestimento di rame ai circuiti è stata brevettata fino al 1991. Una conclusione clamorosa, ripresa da tutti i media inglesi e americani. Gli autori del terribile attentato, dunque, potrebbero non essere stati gli agenti segreti di Gheddafi ma di altro Paesi.

italiastarmagazine.it/.../...

PS. La pista Iran potrebbe essere stata scelta, per motivare una guerra contro di loro?

Dante Bertello.