di C. Andrea Eremita
Dalla sua casa di Basilea, dopo 102 anni di controversa permanenza sul pianeta, ha preso il volo nei giorni scorsi l’anima di un bambino difficile: Albert Hofmann, lo scopritore dell’LSD. Quello che evoca questo nome è tanto, molto, fin troppo, ed è inutile cercare di organizzare in poche righe un discorso completo e compiuto. Meglio procedere per associazioni ed impressioni.
Naturalmente, la prima espressione che viene in mente è Lucy in the Sky with Diamonds, e quindi Huxley, il termine “psichedelico”, The Doors, Greatful Dead, Woodstock, shamanismo, Castaneda, Vietnam, pacifismo, contestazione, ‘68... Se oggi leggiamo e capiamo Frityof Capra, se ci viene spontaneo intuire la fisica dei quanti senza essere laureati in fisica nucleare, se con naturalezza ci sentiamo vicini allo spirito del Dalai Lama e se i nostri figli si impasticcano di MDMA, è anche grazie all’irruzione di questa sostanza nel preciso e ordinato mondo della chimica occidentale.
Naturalmente non si può ricondurre tutto all’LSD e a questo distinto signore svizzero di professione chimico, ma la sua comparsa all’orizzonte avvenne nel particolare momento – gli anni cinquanta - in cui la cultura occidentale, dopo la disastrosa seconda guerra mondiale, correva il grave rischio di assopirsi nell’idea che il benessere materiale e il progresso tecnico/scientifico fossero le chiavi fondamentali della felicità umana.
Si sentiva chiaramente il bisogno di una scossa collettiva, che offrisse un’alternativa radicale all’inarrestabile invasione del nostro mondo da parte di frigoriferi, radio a transistor, televisori, lavabiancheria e naturalmente cibo e salute.
Non era la prima volta che accadeva un fatto del genere. Il Cristianesimo – inteso come rivoluzione ideologica - non irruppe nella civiltà romana in un momento di crisi, ma quando, in epoca repubblicana, essa aveva raggiunto il picco del suo sviluppo, e godeva di un periodo di relativa pace.
Lo stesso è accaduto con l’LSD, che ha fatto la sua comparsa e si è diffuso in un momento positivo, caratterizzato dalla crescita e da un indissolubile ottimismo.
Iniziò tutto per caso. Era il 1943 e Albert Hofmann stava diligentemente lavorando nei laboratori della Sandoz, quando una goccia dell’acido lisergico che aveva sintetizzato ... ... gli cadde su una mano. Dopo circa un’ora, sulla via di casa con la sua bicicletta, ebbe quella che si può definire la prima esperienza psichedelica, indotta da una sostanza di sintesi chimica. A quel tempo il termine “psichedelico” non esisteva ancora (sarà coniato qualche decennio più’ tardi da Humpfry Osmond), ma soprattutto non esisteva niente che lontanamente potesse dare a quegli straordinari effetti un senso ed una ragione.
Da un istante all’altro un tranquillo signore con un sicuro stipendio veniva bruscamente proiettato in quella realtà che il mondo occidentale aveva abbandonato da tempo nelle mani di mistici, di streghe, di sante anoressiche, di sciamani siberiani, psicofrenici e di qualche artista maledetto. La cultura occidentale per secoli aveva sudato sangue per costruirsi una sicura identità, un solido metodo scientifico, una stabilità mentale, un autocontrollo: in un solo istante questo muro andava in frantumi, riempiendo l’orizzonte di campi di fragole infinite.
Come accade nei migliori film, la scoperta non tardò ad uscire dall’angusto spazio del laboratorio, e quel mondo dimenticato tornò alla portata di tutti, sotto la forma di francobollini colorati.
Sul numero di esperienze che si sono susseguite da quel giorno (anche Fellini provò l’LSD, sotto controllo medico), ma soprattutto sull’impatto di questa sostanza sulla mentalità occidentale, si potrebbero scrivere libri interi. E’ interessante però sottolineare che la scoperta dell’LSD non avvenne in un laboratorio illegale, in fondo ad una cantina, nè fu fatta da frikettoni riuniti in una capanna nel bosco, intorno ad un incenso acceso.
Il paradosso dell’LSD è quello di essere nato nello sterile laboratorio di una importante casa farmaceutica (la Sandoz oggi è la famigerata Novartis), dove scienziati vestiti di bianchissimi camici protocollano esperimenti senza lasciare alcunchè al caso. Ovvero, la sostanza destinata a sovvertire la percezione della realtà a un punto tale da arrivare a metterla in dubbio, è nata da una fredda procedura scientifica di laboratorio.
Dopo il Neanderthal e il Cro-Magnon venne l’Homo Sapiens, a cui succedette il Sapiens-Sapiens, che un giorno decise di chiudersi in un laboratorio sterile con aria condizionata, circondato di assistenti, per cercare di capire il mondo grazie alla tavola degli elementi (oggi potremmo chiamarlo anche Homo Pierangelicus).
Ma una goccia di lisergica acqua santa lo riportò di colpo nel mondo che aveva abbandonato, in mezzo alla natura e ai fiori, e lo trasformò di nuovo nell’indifeso bambino che sempre era stato, con tutta la bellezza e la vitale difficoltà che ciò comporta.
Quell’uomo, quell’anima, era Albert Hofmann, morto a 102 anni il 30 aprile 2008.
C. Andrea Eremita