di Andrea Franzoni
La fine dell’esperienza delle Corti Somale, con pochi combattenti irriducibili arroccati nelle paludi malariche del sud ed il resto della società civile che aveva aderito all’esperienza nuovamente mimetizzato, dimesso e sfiduciato, ha lasciato nella Somalia un vuoto che i “Signori della Guerra”, le odiate truppe etiopiche e l’inconsistente Governo di Transizione riconosciuto all’estero ma sostanzialmente impotente hanno provveduto in parte a colmare. Mentre la stampa e la politica italiana ed europea hanno abbandonato la questione, terminato il brivido di eccitazione della nuova ma breve lotta del Bene contro il Male, gli Stati Uniti (resisi conto dell’inaffidabilità dei Signori della Guerra, osteggiati dalla popolazione e sbriciolati dalle Corti, nel mantenere l’ordine) stanno prendendo autonomamente in mano la situazione pilotando una nuova missione di riconciliazione con lo scopo di dare alla Somalia un governo “stabile” e filo-occidentale.
Impossibilitati ad impegnarsi in prima persona, e per nulla interessati a coinvolgere l’ONU e la distratta comunità internazionale, gli Stati Uniti hanno trovato forse una soluzione per provare a raggiungere i loro obiettivi senza sporcarsi pubblicamente le mani: dopo l’intervento pilotato dell’Etiopia, l’intervento eterodiretto di un’Unione Africana armata, imboccata e schierata sul campo per procura americana, per sostenere l’ennesimo governo fantoccio di turno. L’approccio di fondo alla questione tuttavia è il medesimo dell’operazione fallimentare “Restore Hope” del '93, della questione afgana e di quella irakena, … … ed il timore fondato è che anche i risultati dell’ennesimo intervento statunitense possano essere simili a quelli delle tre crisi già citate, con buona pace della Somalia, della stabilità pacifica e del diritto all’autodeterminazione.
La situazione attuale della Somalia è piuttosto intricata. A sud, nelle paludi, gruppetti di guerriglieri islamici irriducibili fuggono dagli attacchi delle truppe etiopi che, chiaramente, agiscono spinti dalle loro ambizioni di potenze regionali ma con il decisivo aiuto (logistico e anche militare) e con l’autorizzazione di Washington che rischia di rendere la situazione ancora più tesa facendo crescere l’ostilità tra due regioni già in passato rivali. «Stiamo inseguendo le cellule che hanno rifiutato di arrendersi, ma non occupiamo il territorio» ha spiegato il premier Etiope a Massimo Alberizzi, inviato del Corriere in passato rapito e liberato dalle Corti. «”Agiamo a colpo sicuro”. Poi strizzando un occhio: “Abbiamo degli amici con le orecchie e gli occhi più sensibili dei nostri (leggi gli americani, ndr) che ci dicono dove, come e quando picchiare. Così ci muoviamo con ottimi risultati”», si legge sul Corriere. Più volte gli americani sono anche intervenuti direttamente con raid aerei, autorizzati dal presidente del “Governo di Transizione Somalo”, provocando diverse vittime e ricordando la caccia infruttuosa ai talebani.
Di grande importanza nel panorama strategico la posizione del Governo di Transizione Somalo scosso da tensioni interne ma riconosciuto internazionalmente e quindi deputato a prendere, con il sostegno decisivo americano, il potere formale. Poche settimane fa è stato “licenziato” il portavoce reo, secondo i critici, di avere teso fin dall’inizio una mano alle corti islamiche, mentre in questi giorni il primo ministro ha provveduto addirittura ad un rimpasto, con la sostituzione di alcuni ministri, che è sintomo di giochi interni di potere più che di una reale capacita di incidere sulla situazione nazionale. In realtà il potere del governo è unicamente e da sempre di rappresentanza: promosso in passato da USA e Etiopia, e composto da personaggi di secondo piano e da qualche signore della guerra, esso non ha mai avuto alcun potere sostanziale, ha avuto bisogno del sostegno dell’esercito etiope per giungere a Mogadisho per la prima volta dall’insediamento e serve sostanzialmente per convogliare il denaro per l’antiterrorismo e per dare una legittimità alle presenze straniere di fronte alla distratta "comunità internazionale".
Nel frattempo proprio la capitale Mogadisho è scossa da maggiori violenze e instabilità: in parte riconquistata dai Signori della Guerra, è pattugliata da truppe etiopi spesso vittime di attentati. Gli etiopi sono percepiti come occupanti ed invasori, anche perché nella storia recente dei due paesi brucia una guerra per la regione dell’Ogaden persa dai somali. Proprio l’ostilità della popolazione spinge l’Etiopia al ritiro: si tratta solo di temporeggiare per lasciare il campo ad una nuova figura in via di definizione che agirà per conto degli USA. Non si tratterà chiaramente del semplice Governo Provvisorio, privo di potere e totalmente vulnerabile, e nemmeno dai Signori della Guerra ai quali gli USA si sono appoggiati finché essi non sono stati rovesciati dal movimento popolare che ha dato origine alle corti, ormai inaffidabili. Scomparsa l’Europa e scomparsa l’ONU la scelta autonoma degli USA è caduta sull’Unione Africana, che pare però generalmente restia a inviare truppe. Degli 8.000 uomini ritenuti necessari per permettere l’insediamento del Governo Provvisorio se ne sono trovati soltanto la metà, offerti (ma pagati ed armati dagli USA e, con una donazione ridotta, dall’Unione Europea) principalmente dall’Uganda e dal Ghana.
L’obiettivo, nelle parole della delegata USA per l’Africa E. Frazer, è sulla carta quello di portare mediante i soldati dell’Unione Africana “stabilità e sicurezza” favorendo l’insediamento del solito Governo Provvisorio ed un dialogo con le realtà locali moderate. Avremo così un altro governo stile Karzai, impotente ed ampiamente percepito come “fantoccio”, distante dalle vicende e dai problemi quotidiani della nazione ma utile per dare una legittimazione all'ennesima "caccia all'integralista". Un governo estraneo, funzionale agli interessi americani (la lotta a ciò che somiglia vagamente ad un’opposizione che, per cause storiche, in quella regione si è raccolta recentemente dietro all’appartenenza all’islam), con buona pace delle Corti Islamiche, sicuramente più accettate dalla popolazione forse proprio perché reali espressioni delle esigenze e dei sentimenti popolari, ma boicottate dagli Stati Uniti perché poco morbide nell’accettare l’agenda di Washington. Persa l’occasione di dialogo con un governo accettato e realmente popolare, tutto è però più difficile e forzato.
Negli anni 1993 e 1994 George H. W. Bush, padre dell’attuale presidente degli Stati Uniti, promosse e comandò l’operazione di peacekeeping “Restore Hope” (“restituire la speranza”) con l’obiettivo di stabilizzare la Somalia alle prese con una grave carestia e con l’instabilità interna successiva alla guerra che aveva destituito l’uomo forte Siad Barre. L’operazione, egemonizzata anche in quel caso dagli USA ma svolta dalle truppe di quasi 30 paesi ONU (maggioranza e comandi statunitensi), fallì: i militari, incapaci di inserirsi in maniera produttiva nel complesso panorama somalo, si trovarono invischiati nella solita guerriglia infruttuosa contro un signore locale sostenuto (o almeno tollerato) dalla popolazione trovandosi costretti, con Clinton diventato nel frattempo presidente, a ritirarsi dalla regione.
Oggi, ad oltre 13 anni dall’ultimo fallimento, un altro George Bush negli ultimi anni del proprio mandato si sta imbarcando nella medesima impresa che il padre, al pari della questione Saddam Hussein, non fu in grado di concludere positivamente. Le condizioni del primo insuccesso ci sono tutte, e la sconfitta delle Corti Islamiche (un movimento sfaccettato, popolare e locale) che lascia presagire una nuova era di influenza straniera e di disinteresse sostanziale verso gli usi e le esigenze della popolazione locale rischia di rendere le possibilità di buona riuscita del piano Bush-Frazer ancora minori. L’opposizione anti-americana inoltre è aumentata, negli ultimi anni, per il sostegno dato ai sanguinari Signori della Guerra (gruppi mafiosi dediti al contrabbando e alla predazione) in chiave anti-islamica, e per la situazione internazionale che certo non mette in buona luce l’operato USA.
L’idea che sta alla base è quella che motiva la politica estera americana, soprattutto post-11 settembre, per la quale l’instaurazione di una “democrazia” moderna, centrale e “moderata” (cioè disposta ad accettare gli USA come polizia internazionale) di stampo occidentale, definita dai critici “governo fantoccio”, sarebbe la condizione preliminare per la pace, la sicurezza e l’allontanamento dalle pericolose idee terroriste. Realisticamente un governo simile è necessario perché da una legittimazione alla presenza dei militari americani, impegnati nella lotta al terrorismo, convogliando in mani amiche gli aiuti internazionali, anche se di questi ben pochi andranno a beneficio della popolazione. Come Afghanistan, Iraq e la stessa Somalia degli anni ’90 dimostrano, però, la questione non è così semplice: accade infatti che le popolazioni assoggettate a questi governi si sentano violate, soggiogate strumentalmente a qualcosa che non è loro ma che è la volontà di una potenza “imperiale”. Proprio questo atteggiamento, se da una parte può portare ad una dimessa accettazione della situazione “calata dall’alto”, dall’altra genera violenza, instabilità, ostilità e talvolta anche “terrorismo” (concetto molto sfumato rispetto a quello di resistenza armata).
All'orizzonte, quindi, si profila un nuovo pantano, anche se le colpe dell'insuccesso saranno chiaramente addebitate all'Unione Africana e non a chi ha confezionato l'ennesimo piano fallimentare (gli Stati Uniti) o a chi ha permesso in maniera complice l'ennesima avventura (come i paesi europei).
Verrà, prima o poi, il dubbio (nutrito dalle evidenze appena esposte) che questo approccio sia controproducente? Quante altre fasulle “Restore Hope” dovranno sopportare i somali prima di potersi autodeterminare? E perché l’Europa permette agli alleati di continuare a imporre la loro presenza funesta in ogni controversia internazionale, ed a ripetere di generazione in generazione i soliti errori di presunzione sulle spalle delle più disagiate popolazioni mondiali?
Andrea Franzoni (mnz86)