Di Marco Cedolin
Romano Prodi ha annunciato che l’Italia sarà in prima fila nel prendere parte insieme ad altri tre paesi europei (Francia Spagna e Polonia) e tre mussulmani (Turchia Indonesia e Malesia) alla forza d’interposizione che l’ONU schiererà in Libano nelle prossime settimane.
Tale annuncio fa seguito a quello dell’approvazione da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite della risoluzione 1701 che dovrebbe di fatto sancire la fine delle ostilità in Libano, laddove per ostilità s’intende l’aggressione militare israeliana e la conseguente carneficina che è costata la vita ad oltre un migliaio di civili libanesi inermi (un terzo dei quali bambini) ha provocato più di 3000 feriti molti dei quali rimarranno invalidi per tutta la vita ed ha costretto un milione di profughi a fuggire dalle proprie case.
Si è trattato di una “guerra moderna” in quanto tale neppure dichiarata che ha visto contrapporsi lo Stato d’Israele non ad un altro stato ma all’organizzazione dei guerriglieri sciiti Hezbollah... ...anche se a pagare il maggior tributo in termini di sangue e devastazione è stata la popolazione civile dell’intero Libano che pur essendo rimasto per settimane sotto una pioggia di missili e bombe è sempre stato considerato virtualmente estraneo al conflitto che lo stava dilaniando.
Le guerre moderne non sono facili da comprendere e per chi è abituato a chiamare le cose con il loro vero nome diventano ancora più misteriose nel loro ingenerarsi come nella loro conclusione. Questa pur esistendo fin da ora tutti i presupposti per un cessate il fuoco (la risoluzione 1701 è stata accettata da entrambi i contendenti e anche dal governo libanese che contendente non era) terminerà alle ore 7 di lunedì 14 agosto, come si trattasse di una fiera o della chiusura delle olimpiadi, con buona pace di tutti quei martiri che troveranno la morte durante queste ore.
La pace che ne conseguirà sarà in verità una sorta di “pace armata” nella quale i caschi blu dell’ONU e di conseguenza l’Italia deputata a schierare 3000/3500 dei circa 15000 uomini che dovrebbero costituire la forza complessiva, svolgeranno un ruolo determinante.
Proprio riguardo a questo ruolo sembrano emergere contraddizioni e dubbi in grado di suscitare più di qualche perplessità.
La stessa risoluzione 1701 che determina la fine dei combattimenti e dovrebbe definire i compiti della forza d’interposizione non appare facilmente “decifrabile” e spesso pone i presupposti per eventuali trabocchetti all’interno di un testo che si percepisce studiato attentamente perfino nelle sfumature delle parole con lo scopo di permetterne un’interpretazione il più ampia possibile.
La richiesta di un cessate il fuoco “pieno” ma non “immediato” è senza dubbio la prima anomalia volta a permettere ad Israele di proseguire nei combattimenti ancora per un certo periodo di tempo. Viene infatti spontaneo domandarsi per quale ragione gli israeliani che dovrebbero ritirarsi (come da risoluzione) all’interno dei confini originari abbiano interesse ad un’ultima escalation del conflitto che permetta loro di “conquistare sul campo” posizioni più favorevoli dal momento che dovrebbero immediatamente abbandonarle.
Una seconda anomalia è costituita dal punto che prevede come dopo la cessazione delle violenze Israele sia tenuto a provvedere nel più breve tempo possibile al ritiro delle truppe dal sud del Libano. Intorno alla definizione di “violenze” e in merito a quale sia il “più breve tempo possibile” esistono ovviamente molteplici possibilità d’interpretazione in grado di donare enorme elasticità ai tempi ed ai modi del ritiro israeliano.
Lo scopo dei soldati ONU dovrà essere quello di affiancare l’esercito libanese nella presa di posizione nel sud del paese e garantire che gli aiuti umanitari arrivino alla popolazione civile, nel perseguire questo intento i caschi blu saranno autorizzati ad “adottare tutte le misure necessarie”. Al disarmo degli Hezbollah dovrà invece provvedere l’esercito libanese.
L’autorizzazione ad “adottare tutte le misure necessarie” è quanto mai omnicomprensiva non risultando definito quali siano tali misure né tanto meno il carattere della necessità. Si percepisce tra le righe la volontà di lasciare più di una porta aperta alla possibilità che i soldati ONU vengano impegnati in azioni di guerra, tale percezione viene oltretutto ulteriormente rafforzata dal passaggio che afferma come “la situazione in Libano costituisca una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale” minaccia più che sufficiente a giustificare l’uso della forza.
Il resto del testo fa esplicito riferimento alla necessità di disarmare gli Hezbollah ed impedire nella maniera più assoluta che qualunque fornitura di armi possa giungere agli stessi. Non viene spesa una sola parola riguardo agli armamenti israeliani (spesso anche di natura chimica o comunque vietati dalle convenzioni internazionali) proponendo una fuorviante interpretazione della realtà che porterebbe a pensare siano stati gli Hezbollah ad invadere Israele e non viceversa come è invece accaduto.
A ridosso del confine in terra libanese verrà inoltre delimitata una zona off limits per uno dei due contendenti (eventuali guerriglieri armati) mentre dalla parte israeliana l’altro contendente (Israele) potrà in tutta libertà presidiare il confine stesso.
Il compito che attenderà i soldati italiani, il cui numero e le cui regole d’ingaggio dovranno essere definiti nei prossimi giorni appare comunque fin da subito particolarmente arduo ben più di quanto non lo sia stato fino ad oggi negli altri teatri all’interno dei quali operano le forze militari del nostro paese.
Romano Prodi guardandosi bene dall’ostentare quella discontinuità della quale amano fregiarsi gli imbonitori politici del centrosinistra, riconferma oggi più che mai l’Italia nel ruolo ormai consolidato di guardaspalle degli Stati Uniti (in questo caso anche d’Israele) dedito a presidiare in vece USA i luoghi dove gli americani hanno distribuito morte e disperazione raccogliendo come contropartita odio e disprezzo.
Fin dai tempi del governo D’Alema, durante il quinquennio Berlusconi ed oggi con la risorta maggioranza di centrosinistra, nell’ambito della politica estera la continuità è talmente totale da risultare disarmante.
Nonostante l’articolo 11 della nostra costituzione ripudi la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e nonostante le casse della nostra economia risultino vuote come non mai in precedenza, il nostro esercito è attualmente presente in armi sul suolo di vari paesi stranieri.
In Iraq (essendo i tempi tecnici del programma di Prodi presto divenuti tempi biblici) dove da anni presidia la guerra civile voluta dall’amministrazione Bush.
In Afghanistan dove i nostri soldati da anni sono impegnati a coadiuvare gli americani nel sostegno ad un governo fantoccio e nella repressione sanguinaria di qualunque dissenso catalogato falsamente come opera di talebani. Appena pochi giorni fa la maggioranza di centrosinistra ha rifinanziato per il futuro questa missione che oltretutto sembra stia entrando in una nuova fase più “attiva” e cruenta della precedente.
Nella ex Jugoslavia dove ormai da tempo immemorabile l’esercito italiano è presente all’interno di una forza multinazionale il cui compito attuale sfugge ad ogni logica che non sia quella di “sponsorizzare”militarmente alcuni governi di facciata graditi all’amministrazione Bush.
Il vero compito dei caschi blu (fra i quali i nostri soldati) in Libano sarà con tutta probabilità quello di dare una patente di legalità alla pulizia etnica messa in atto da Israele. La forza militare a guida francese sarà chiamata a sovrintendere al disarmo delle milizie Hezbollah al fine di proteggere la sicurezza d’Israele e dovrà vigilare sulle frontiere evitando i traffici d’armi considerati illegali. Inevitabilmente si creeranno numerose situazioni ad alta tensione ed il rischio di conflitti e perdite umane sembra ragionevolmente essere molto alto.
Ancora una volta la sicurezza dello stato israeliano sarà anteposta a quella del popolo libanese e l’Italia investirà uomini mezzi e denari per preservare gli interessi dell’aggressore fingendo di soccorrere l’aggredito, una tecnica raffinata che i fini dicitori amano chiamare peace keeping.
Marco Cedolin
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