Vorrei proporre una piccola disquisizione di tipo "strategico", che parte dall'episodio Teodori, ma che vuole arrivare a principi più generali, applicabili soprattutto all'11 Settembre. Non si illuda quindi Teodori di meritare più righe di quelle che già ha avuto, ci stiamo solo servendo della sua recente "performance" per imparare qualcosa in più.
Il problema di fondo, detto in soldoni, è questo: "come fare a vincere", quando si sa di avere davanti un avversario scorretto. Ovvero, si escludono qui le discussioni in cui ambedue i contendenti difendano le proprie idee in perfetta buona fede. Di certo con Teodori questo non era il caso (altrimenti bisognerebbe cominciare a dubitare della sua intelligenza, e ciò non è carino).
La mia teoria è che, in caso di malafede altrui, si debba a tutti costi scovare almeno una domanda che, DA SOLA, basti a metterlo in angolo, impedendogli di ammortizzare il colpo o di deviarlo. Io la chiamo, alla Monty Python, il "sixteen-tonner", quel peso da 16 tonnellate che perseguita i vari personaggi della serie TV. In altre parole, bisogna cercare a tutti costi il knock-out, il cazzotto vincente, perchè nel corpo a corpo l'avversario scorretto ti si attacca da tutte le parti, ... ... ti trattiene, ti sputa, di impedisce di boxare, ti morsica l'orecchio, e alla fine ti va bene se porti a casa un pareggio.
L'occasione per il knock-out però è unica: lo devi preparare con grande attenzione, devi saper rinunciare a tutte le tentazioni di rissa, e aspettare con pazienza il momento giusto per piazzarlo.
Nel caso di Teodori, ben sapendo che avrei avuto a disposizione una sola domanda, avevo messo a punto la seguente: "Diciamo pure, per assurdo, che a Falluja ci fossero 19.998 terroristi asserragliati, e che gli altri due fossero sua moglie e sua figlia - nel caso ne abbia - di cui si fanno scudo umano. Lei sarebbe d'accordo sull'incendiare tutti, indiscriminatamente?"
Ora naturalmente io non sapevo che Teodori avesse ricevuto minacce - così lui sostiene - riguardo proprio ad una moglie ed una figlia, ma questo paradossalmente è stato un bene, perchè se lo avessi saputo avrei formulato la domanda in maniera diversa, proprio per evitare malintesi. Invece così, senza saperlo, gli ho offerto sul piatto d'argento una via d'uscita talmente allettante che lui, preso dal panico, l'ha subito imboccata, finendo per squalificarsi da solo.
E' come se, una volta all'angolo, mi fosse sgusciato fra le gambe in ginocchio. Ha evitato il cazzotto nei denti, ma è uscito di scena fra i fischi del pubblico. Non so fra i due quale fosse peggio.
Se infatti l'appiglio "lettere minatorie" non ci fosse stato, i quattro secondi di esitazione con cui ha accolto la domanda mi dicono che lì di possibilità dialettiche gliene restavano molto poche. A riprova, quando sono riuscito a porglielela di nuovo, di nuovo non ha risposto. La domanda ERA quella giusta.
Cosa mi rispondi, infatti, di fronte a quella? "No, se i civili sono iracheni possono crepare, ma nel caso di mia moglie cambia tutto?" Certo che no. Ma nemmeno "non vale buttarla sul personale" sarebbe bastato, perchè io avrei replicato "Mi scusi, caro Teodori, ma lo ha detto lei che 'la guerra è guerra', e quindi, per quanto estrema, l'ìpotesi lei deve accettarla. Che fa? Brucia, o non brucia?"
Se avesse voluto rimanere coerente, l'unica risposta che Teodori aveva a disposizione era dire che sarebbe giusto sacrificare anche sua moglie e sua figlia, perchè "la guerra è guerra, e non si guarda più in faccia nessuno."
Ma non l'ha fatto, perchè stupido non è. Però intanto non ha risposto, e ha perso la partita.
Lo ripeto, la sceneggiata delle lettere minatorie è stata solo una cortina fumogena per uscire di scena, ma che sgusciava fra le gambe lo hanno visto tutti.
Facciamo la prova del nove: Davide Gramiccioli, il conduttore della trasmissione, a un certo punto della bagarre ha detto: "La faccio io la domanda giusta, al signor Teodori (per incastrarlo, intendeva): Signor Teodori, secondo lei è giusto uccidere dei civili, in guerra?"
La risposta è stata una melassa nauseante, che inziava con "Beh certo, se lei me lo chiede in quei termini, non troverà mai una persona al mondo che le dica che è giusto uccidere i civili, solo che qui bisogna vedere …..", e che finiva?
Appunto, non se lo ricorda più nessuno. Che effetto ha avuto quindi, quella domanda, sull'esito finale del confronto? Meno di zero.
La domanda morbida, elegante, educata, corretta, vale ed è apprezzata nell'ambito di una discussione fra due persone in buona fede, altrimenti offre chi non lo è la possibilità di aggrapparsi, di sputarti nell'orecchio, di trattenerti, e alla fine sei fortunato - come è successo con Ranucci a Primo Piano - se non passi tu per quello che ha torto.
Quando i due contendenti sono coperti di melassa, è molto più difficile distinguere quello che ha vinto da quello che ha perso.
Obbligando invece l'altro a ricevere un colpo secco, brutale, diretto, "o la va o la spacca", quello o lo para, e allora tu hai perso (vuol dire che avevi preparato male la domanda), o gli arriva dritto nei denti, e quello lo vede tutto il mondo.
Dopo può anche andare in giro a piagnucolare "non mi hai fatto niente… faccia di serpente….", ma la mandibola al posto dell'orecchio ce l'ha lui, e quella la vede anche un bambino.
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Veniamo adesso all'11 settembre, che è un tipo di discussione in cui siamo sempre di più ad essere coinvolti, ed è molto più importante di un qualunque battibecco con Teodori.
Qui non c'è di mezzo il dover riconoscere soltanto di essere dei servetti del sistema. Qui si tratta di capovolgere da cima a fondo le proprie coordinate esistenziali, oppure, come già detto altre volte, di "rifare completamente l'arredamento al proprio cervello". Col rischio che i nuovi divani, particolarmente ingombranti, non ci stiano del tutto.
L'individuo normale fa quindi ricorso, istintivamente, a tutte le forme di negazione che riesce ad immaginare. Farò un esempio che vale per tutti: una volta un amico, messo di fronte alla foto del Pentagono dove si vede chiaramente che il Boeing non c'è, arrivò a dire, in perfetta buona fede, "forse hanno portato via tutti i pezzi prima che scattassero le foto".
E' una cosa a cui non penseresti nemmeno lontanamente, se tu non fossi dominato da un bisogno primordiale di negare a tutti i costi quello che ti sta venendo detto. "Ti stai sbagliando chi hai visto non è… " cantava Battisti.
E non è facile per nessuno accettare che sia Francesca, riconosciamolo.
Bsogna quindi imparare a distinguere, prima di tutto, chi rifiuta la verità sul 9/11 per necessità di sopravvivenza, e lo fa inconsciamente, quindi "in buona fede", e chi lo fa invece per disegno politico, o per qualunque altro motivo, in perfetta e cosciente mala fede. Magdi Allam di certo non è fra i primi, tanto per capirci, e Vittorio Zucconi ancora meno.
Io ho trovato, nel tempo, che di solito la persona in mala fede tende a negare tutto, comunque e sempre, per principio. Non concede cioè nessuna possibilità all'ipotesi del complotto, nemmeno la più microscopica, perchè "teme" che il terreno si cominci a sgretolare sotto i suoi piedi, e che di lì a presto diventi valanga. In altre parole, mostrandosì così restìo su tutto, senza concedere nulla all'ipotesi avversa, dimostra di sapere benissimo dove si sta andando a parare. (Ma se lo sai, vuol dire che ci hai già ragionato...)
Chi invece cerca la verità in buona fede, ma è naturalmente spaventato da quello che potrebbe trovare, procede per passi microscopici, si lascia condurre cautamente da un passaggio all'altro, accetta piano piano evidenze minimali, frena magari anche in salita, a volte, ma rimane comunque "in movimento". Alla fine della giornata avrà fatto sempre un suo minimo di percorso, riconoscerà che le cose non stanno più come lui pensava che fossero, anche se mostra una grande cautela prima di sbilanciarsi in qualunque direzione.
Ovvero, il secondo vede ogni metro di terreno perduto come una potenziale conquista, anche se dolorosa, il primo invece lo vede come la misura progressiva di una disfatta incombente, che vuole a tutti i costi evitare.
Facendo attenzione al modo in cui ciascuno si pone di fronte ai singoli problemi sollevati, dopo un pò si riesce solitamente a capire quale sia l'atteggiamento interiore di quella persona verso l'11 settembre, e quindi se sia in buona o in mala fede quando discute con te quello che gli metti davanti.
Una volta stabilito che hai a che fare con un'anguilla insaponata, diventi quindi inutile - come mostrato dal caso Teodori - affrontarlo in un leale corpo a corpo. Al primo montante, ti ritrovi il braccio serrato sotto l'ascella, e da lì non esci più.
Ma esistono, e quali possono essere, le domande sixteen-tonners in grado di azzoppare in un colpo solo qualunque contendente sull'11 settembre?
Devono essere domande, ricordiamolo, che per come sono strutturate non consentano, già dal PRIMO passaggio, NESSUNA via di uscita. Io ne conosco almeno tre, ma qualunque altro suggerimento, prima di dire la mia, è più che benvenuto.
(Altro che quiz della settimana enigmistica, ragazzi).
Massimo Mazzucco