di Andrea Franzoni
Quello per il controllo dell'opinione pubblica è stato, specie negli ultimi tempi, il fronte più importante della generalizzata guerra al "terrore" del governo statunitense. E' stato lo stesso Rumsfeld ad ammettere come i più critici campi di battaglia, per l'amministrazione Bush, sono oggi le sale stampa.
«I nostri nemici si sono abilmente attrezzati per combattere la guerra nell'odierna era delle comunicazioni, ma il nostro paese non l'ha fatto». Probabilmente non saremo troppo d'accordo con questo, ma il fatto che Rumsfeld lo dica apertamente, lamentandosi addirittura della mancanza di "riverenza" da parte dei media, è sintomo di una spavalderia e di una arroganza inaudita.
Donald Rumsfeld ha invitato gli apparati militari e le altre agenzie governative ad adoperarsi in una aggressiva e innovativa campagna di "informazione" … … per contrastare i messaggi degli estremisti nei media mondiali e locali. Rumsfeld ha poi criticato l'assenza di un "istituto strategico" (Goebbels - Ministero per la Chiarezza Pubblica e la Propaganda, ProMi - e Ciano - Ministero della Cultura Popolare, MinCulPop - insegnano) dedicato proprio a questo tipo di propaganda atta, nell'accezione moderna, a "combattere il terrorismo" e a catturare i consensi dell'opinione pubblica erodendo il consenso delle più disparate forme di opposizione e di resistenza e auspicando, de facto, il pensiero unico.
«La vittoria finale in questo lungo conflitto dipende dalla strategia comunicativa che si adotterà per contrastare quella dei "nemici"», che «hanno avvelenato con successo l'opinione che i musulmani hanno dell'occidente, mentre il governo USA ha fallito nel raggiungere con i propri messaggi questo ampio pubblico». Rumsfeld, in questi anni, sta dando impulso a una riorganizzazione di alcuni apparati del Pentagono per aumentare il livello di abilità nel condurre "operazioni di informazione", come confermato da numerosi ufficiali del Pentagono (che c'entrino qualcosa i sondaggi americani di Berlusconi?). Nell'ultimo discorso ha ribadito questo concetto, invocando la creazione di un centro attivo per 24 ore su 24 che utilizzi, per la propaganda, anche Internet, i blog e le televisioni satellitari.
L'intervento di Rumsfeld commenta la scandalo venuto alla luce tempo fa che ha dimostrato come i comandi USA in Iraq avessero pagato profumatamente gli editori dei giornali iraqeni affinchè pubblicassero articoli propagandistici scritti dagli stessi comandi USA nei quali venivano esaltati sforzi per la ricostruzione o per l'addestramento delle truppe, e successi di tipo sociale e militare, ampiamente gonfiati. Rumsfeld ha criticato a riguardo l'approccio dei media statunitensi, subito seguiti a ruota da Pentagono e la Casa Bianca, che hanno criticato e condannato la pratica. Rumsfeld ha accusato i media americani di avere avuto, con la loro iniziativa, un effetto negativo e di scoraggiamento delle truppe USA dal trovare "metodi creativi" per "vincere" le resistenze della popolazione iraqena. I media, ha detto Rumsfeld riferendosi alle attività propagandistiche con le quali il "terrorismo" fomenta l'odio contro l'occidente, «sembrano pretendere la perfezione soltanto dal governo USA e non applicano gli stessi standard ai nemici e nemmeno, talvolta, a loro stessi».
Addirittura alcuni "notabili"i del Pentagono, oltre che i "media ufficiali", avevano criticato aspramente il programma, affermando quanto sia ipocrita da parte degli Stati Uniti promuovere i principi democratici, la libertà di espressione e la trasparenza in politica, mentre la loro ala militare dissemina i giornali iraqeni di propaganda profumatamente pagata. L'operazione, inoltre, avrebbe nettamente violato una recente direttiva del Pentagono che proibisce alle truppe di effettuare "operazioni psicologiche" con i media come obiettivo. Direttive che per Rumsfeld non permettono agli USA di combattere con la determinazione necessaria una guerra importante come quella della propaganda.
Andrea Franzoni (mnz86)
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"Da Dallas alle Torri Gemelle". . La dinastia Bush e la svastica di famiglia. Come una dozzina di persone ha guidato il mondo dai tempi di Hitler fino ad oggi.