Mentre la sinistra italiana si ritrova a leccarsi le ferite, dopo una batosta che nemmeno gli avversari avevano probabilmente immaginato, i democratici americani rischiano addirittura di passare alla storia per essere l’unico partito al mondo che riesce a regalare ai propri avversari tre vittorie consecutive, senza che costoro ne abbiano meritato mezza.
Già nelle presidenziali del 2000 pareva impossibile che Al Gore, che ereditava otto anni trionfali da parte di Bill Clinton, potesse perdere contro chiunque, e gli stessi repubblicani riconoscevano, all’inizio della stagione elettorale, di non avere la minima idea di come fare per scalfire l’enorme vantaggio di cui godeva il vice-presidente uscente nei sondaggi nazionali.
Ci pensò lo stesso Al Gore a rovinare tutto, proponendosi come una specie di ridicolo “superman“, vanitoso e arrogante, che permise a George Bush di giocarsi la carta dell’uomo qualunque - non che la cosa gli riesca particolarmente difficile, sia chiaro – conquistandosi così la simpatia del famoso “grande centro“ degli indecisi.
Vero è che la vittoria di Bush fu rubata con mille trucchi e mille inganni, ma rimane una sostanziale responsabilità da parte di Al Gore ... ... l’aver permesso al candidato repubblicano di avvicinarsi di quel tanto da poter provare, all’ultimo momento, a forzare la mano in Corte Suprema.
Non andarono meglio le cose nel 2004: con una guerra in Iraq ormai chiaramente fallimentare, e con un presidente ormai più ubriaco che lucido, i democratici non riuscirono in alcun modo a neutralizzare la “campagna terroristica“ che Dick Cheney orchestrava in maniera superba, e gli americani caddero nuovamente nel tranello della paura collettiva.
(Sarebbe bastato mostrare agli americani il video di Bush, che fissa il vuoto inebetito, nella scuola della Florida, per sei minuti consecutivi, domandando nel contempo “Siete sicuri di voler essere difesi da questo fulmine dell’intelletto, o preferireste il vostro cane paralitico, alla Casa Bianca?”)
Ma John Kerry preferì la giocata elegante (forse perchè lui stesso aveva la coscienza sporca, per motivi simili), indossò il suo giubbotto da ex-militare, e andò in giro per l’America a dire “io sono più bravo di lui”.
Naturalmente non bastò, e ci dovemmo sorbire altri 4 anni di follia restauratrice.
Ora la situazione sembra ripetersi, in termini ancora più paradossali ed assurdi: con non uno, ma due candidati perfettamente in grado di sconfiggere il repubblicano McCain, la guerra casalinga fra Obama e la Clinton sta per trascinare a fondo l’intero partito democratico.
Come sappiamo, da molte settimane ormai Obama ha accumulato un numero di delegati sufficiente a legittimare la sua nomination per il partito democratico. (Se anche Hillary vincesse tutte le primarie che rimangono, arriverebbe a malapena a pareggiare il conto con Obama, e obbligherebbe la convention di giugno - che tradizionalmente è una semplice incoronazione - a trasformarsi in un vero e proprio ring, dal quale uscirebbero tutti sconfitti: tale sarebbe infatti l’astio fra le due fazioni - dicono i sondaggi - che almeno il 20% dei perdenti, chiunque fossero, preferirebbe votare McCain piuttosto che vedere gli avversari alla Casa Bianca.
Ma il duo Billary ha troppa voglia di rientrare alla Casa Bianca – probabilmente per levarsi una buona manciata di sassolini dalle scarpe - e non vuole saperne di abbandonare una battaglia ormai praticamente persa.
Sarà solo una coincidenza, ma a questo punto non si può non notare questa strana incapacità delle “sinistre“ in genere – le virgolette ormai sono d’obbligo, per qualunque partito progressista al mondo – nel gestire le proprie strategie, mentre i conservatori sembrano essere diventati abilissimi nello sfruttare i loro passi falsi, tornando regolarmente al potere con il massimo profitto ed il minimo sforzo.
Forse alla fine sono più intelligenti loro, nonostante tutto.
Massimo Mazzucco