Questo è il contributo di 25 minuti che avevo mandato a Matrix, di cui la redazione ha utilizzato circa la metà. A sua volta, il contributo è una sintesi del film completo, che dura circa 80 minuti.
Questa sera Matrix ha dedicato una interessante puntata al ricordo di Robert Kennedy, nel quarantennale della sua uccisione, avvenuta a Los Angeles il 6 giugno 1968.
Ospiti di Mentana erano Walter Veltroni, Jas Gawronski e Alessio Vinci.
La puntata è stata per metà “istituzionale”, e per metà “complottistica”, e su questo bisogna rendere merito a Mentana nell’aver rigorosamente tenuto separati i due livelli di lettura: il crimine peggiore, rispetto alla memoria di Bob Kennedy, sarebbe stato quello di mescolare la ricostruzione storica della sua figura con una qualunque ombra di polemica, che nel momento in cui si iniziano a discutere le responsabilità dell’assassinio diventa praticamente inevitabile.
Anche se in questo caso, bisogna dire, è stato quasi divertente vedere Gawronski ... ... letteralmente “circondato” da tutti gli altri, che quasi non credevano alla sua assoluta impermeabilità rispetto alla possibilità di un complotto governativo.
Nessuno è obbligato a credere alla tesi dell’ “assassino programmato dalla CIA” – alla quale ha fatto cenno il filmato realizzato dal sottoscritto – ma quando ti viene detto che di certo all’Ambassador furono sparati almeno undici colpi, mentre la pistola di Sirhan poteva contenerne soltanto otto, come si fa a rispondere che “hai bisogno di prove concrete per credere ad un complotto”?
Lo stesso stupore si moltiplica quando ti viene detto - come ha ricordato Veltroni allo stesso Gawronski – che il colpo mortale fu sparato a bruciapelo (max. 3 cm.), e tu rispondi che “in fondo un metro non è poi così distante”. Vai a chiederlo a un giocatore di biliardo, che differenza c’è fra 3 centimetri e un metro.
Per non parlare della curiosa ricorrenza – fatta giustamente notare da Mentana - del “folle assassino solitario” negli omicidi politici americani, che Gawronski si è illuso di liquidare dicendo che “in fondo in America ci sono molto più squilibrati che nel resto del mondo”.
Letteralmente strepitosa, a quel punto, è stata l’entrata di Veltroni, che ha fatto notare come curiosamente questi “folli solitari” non sbaglino mai un solo colpo. Sono meglio dei più prezzolati killer professionisti. Persino Gawronski, se non ricordo male, ha dovuto sorridere.
Molto più serio e importante, sempre da parte di Veltroni, il doveroso richiamo a Ustica, con l’invito ad “alzare la mano” per chiunque si dica convinto della versione ufficiale, seguito da un rigoroso quanto significativo silenzio. Come dire “Signori, non stiamo a prenderci per i fondelli, perfavore.” (*)
In ogni caso, se c’è una “morte importante” nella quale il complotto istituzionale è facilmente dimostrabile è proprio quella di Bob Kennedy, ed ormai perfino i media tradizionali hanno sposato in linea di massima questa tesi. (Persino Guido Olimpio, dopo il referto audio di Van Praag, si è sbilanciato in tal senso.)
Parliamo invece di quello che hanno detto i tre ospiti nella prima parte della puntata, dedicata al ricordo storico di Kennedy.
Come ha ricordato Mentana, Alessio Vinci “nasceva” proprio in quel periodo, ed è probabilmente questa la causa della sua apparente incapacità di inquadrare il fenomeno Bob Kennedy nella giusta prospettiva storica. Nessuno infatti gliene fa una colpa: è evidente che certi momenti storici bisogna averli vissuti, per riuscire a vederli almeno a 3 dimensioni.
Ben diverso l’approccio di Veltroni, il quale invece - come il sottoscritto, e moltissime altre persone di quella generazione – ricorda l’istante esatto in cui vide la notizia sui giornali, nel pomeriggio del giorno 6. (Unica imprecisione, da parte sua, il fatto che “stiano buttando giù l’Ambassador”: lo storico hotel di Los Angeles è stato demolito ormai da più di un anno).
Ma è stato Veltroni a ricordare a tutti che oltre a “Luther King e i Beatles”, quelli di Bob Kennedy erano gli anni del Vietnam, e che “la prima volta che gli americani videro in TV gli effetti dei bombardamenti al napalm” ebbe un peso considerevole sull’ascesa al successo di Bob Kennedy (che era favorevole al ritiro immediato delle truppe, se eletto presidente).
Mentre spetta a Gawronski anche la palma della “aleatorietà” del giudizio storico su Bob Kennedy: premesso che ciascuno ha diritto ad interpretare la storia come vuole, non si può andare in TV a dire che “Bob Kennedy era una figura minore, cresciuta all’ombra del fratello”, quando tutti sanno che fu lui il vero “motore ideologico” della politica del presidente, nonchè il deus ex-machina di tutte le sue vittoriose campagne elettorali. Averne, di “figure minori” di quel genere.
Ci vuole anche una bella faccia tosta per arrivare a dire che “Bob Kennedy in fondo era un conservatore”, solo perchè collaborò con McCarthy (e senza domandarsi perchè lo fece), mentre ci vuole un coraggio da leoni a sostenere che “Bob Kennedy non sapeva parlare”, quando abbiamo di fronte un uomo che nel dare l’annuncio in diretta dell’assassinio di Martin Luther King – con il resto dell’America che in quel momento stava letteralmente bruciando - si mise a recitare Eschilo.
Imperdonabile infine, da parte di Gawronski, definire Jimmy Hoffa “il capo della mafia”, quando lo stesso Bob Kennedy ebbe dei notevoli problemi per riuscire a trovare il modo di sbattere in galera quello che ufficialmente era un semplice “capo dei teamsters” degli autotrasportatori. Non era Gavronski, fra l’altro, quello che “vuole prove concrete” prima di fare affermazioni forti? (E poi scusate, se Hoffa era “il capo della mafia”, Lansky e Giancana chi erano? Due giocatori di baseball?)
Un’ultima precisazione: non è vero, come è stato detto in trasmissione, che nessuno abbia mai intervistato Sirhan:
In ogni caso, puntata estremamente valida e brillante, anche se penalizzata da una collocazione che è di “seconda serata” solo a parole: quando raggiungi il clou di una discussione così importante alle 1.30 del mattino, quante persone sono rimaste ad ascoltarti con la meritata attenzione?
Massimo Mazzucco
* Ma questo è lo stesso Veltroni che ha perso le elezioni da poco, oppure è solo un omonimo? Anche se in forma retorica, me lo domando seriamente, e credo anche di aver capito il suo dramma, quando ha detto [cito a braccio] che “in America, a differenza dell’Italia, i candidati sono liberi di esprimere liberamente le proprie idee, mentre qui da noi bisogna tenere conto delle coalizioni”. A parte che sulla premessa ci sarebbe da discutere per un mese, ma non ha mai pensato Veltroni di dire anche lui chiaramente quello che pensa, con onestà ma senza arroganza, con diplomazia ma senza ipocrisie, con attenzione ma senza ambiguità – esattamente come ha fatto stasera da Mentana - nella normale vita politica italiana? Perchè a mio parere rischia addirittura di apparire coerente, lucido, e in qualche modo addirittura credibile.
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