PER L’EUROPA UN’OCCASIONE IRRIPETIBILE
di Fabio de Nardis
17.4.04 - L’avvicinamento degli Stati Uniti alle posizioni di Israele ha creato scompiglio tra i leader arabi. Nel recente incontro con Sharon, Bush ha assicurato il pieno sostegno americano al piano del leader del Likud. Ha affemato che le posizioni di Sharon sono ragionevoli e che non è pensabile che i profughi palestinesi ritornino nelle proprie case su territorio israeliano. Una simile presa di posizione ha scatenato un putiferio a cui come al solito ha cercato di mettere una pezza con un giro di telefonate il povero Colin Powell che ormai si è aggiudicato il titolo di “balia dell’anno”.
Il Presidente libanese Emile Lahoud dichiara ... ... che il cambiamento di rotta da parte dell’Amministrazione americana “mina la speranza di una pace giusta e ragionevole, infiamma i sentimenti di inimicizia e diffidenza nei confronti dell’America e apre nuovamente la strada alla violenza e alla legittima volontà di resistenza del popolo palestinese”. Bush, come spesso capita, non sembra rendersi conto del rischio, e ci mette il carico da novanta, dichiarando che “alla luce dei nuovi sviluppi [quali?] non è realistico pensare che Israele possa ritornare ai confini precedenti la guerra arabo-israeliana del 1967”. Un diplomatico arabo, che preferisce rimanere anonimo, afferma che una simile posizione non fa che peggiorare la già tragica situazione in Medio-Oriente e “potrebbe anche istigare ulteriori atti di terrorismo”. Il politologo e parlamentare siriano George Jabbour afferma con forza che il mondo non può rimanere in balìa di un uomo che riconfigura a suo piacimento il diritto internazionale, al solo fine di perseguire i suoi scopi elettoralistici.
Intanto, i rappresentanti dell’Autorità palestinese ragionano sul da farsi, e ancora non esprimono una posizione ufficiale. Solo Yasser Abed Rabbo, esponente del team palestinese che si occupa del negoziato con Israele, si lascia scappare questa affermazione: “Stiamo considerando diverse opzioni anche se crediamo che si sia ormai giunti a un punto di non ritorno. L’impressione è che l’Amministrazione statunitense, in accordo con il Governo di Israele, abbia deciso di assassinare il processo di pace”. In coro quasi unanime, i rappresentanti della Lega Araba criticano la novità Americana affermando che, nell’assumere come proprio il piano di Sharon, Washington non potrà essere a lungo considerata un mediatore obiettivo nel processo di pace (honest broker for peace), e fanno appello ai paesi europei affinchè si inseriscano nel contenzioso.
Tutto questo rappresenta per l’Europa un’occasione irripetibile di visibilità e al contempo di auto-affermazione come potenza mondiale che fa della politica e della diplomazia lo strumento principe per la risoluzione dei conflitti. Ma non è facile essere ottimistii. Gli Stati che afferiscono all’Unione Europea stentano a parlare un linguaggio unitario lasciando spazi di azione alla politica militaristica degli Stati Uniti. Il caso iracheno è paradigmatico. Solo Francia e Germania hanno avuto il coraggio di proprorre un’alternativa all’American Deal, mentre la maggior parte dei paesi europei non ha saputo dire di no alla violenza. Chi, come Blair, perché sconta una storia di subalternità strutturale agli Stati Uniti; chi, come i poveri Stati dell’Europa Orientale, perché letteralmente comprato con promesse di finanziamenti a valanga; e chi, come Berlusconi, perché ancora non ha capito la differenza che corre tra l’essere statista e l’essere cabarettista, scambiando la guerra con una specie di battaglia navale con in palio un bacino sulla fronte da parte di Bush.
Fabio de Nardis