di Andrea Franzoni
L’uomo pare portato a credere che esista un “tipo umano” ideale, correttamente sviluppato, e non una serie di variazioni, di opinioni, di scelte di vita, “libere” o “orientate” ma comunque ugualmente degne. Le forze che tendono a conformare gli individui, nel tentativo di creare esemplari intellegibili privi di una sostanziale individualità e del gusto di costruirsi un percorso di vita ed una personalità propria, hanno sempre professato apertamente l’opposizione tra un ideale, l’uomo come dovrebbe essere, l’uomo secondo natura (razionale o pio, biondo o consumista), ed ogni possibile deviazione.
Le forme di deviazione e di ribellione sono sempre state viste come un errore nel corretto sviluppo da correggere o emarginare. La cultura dei diversi popoli tende ad attribuire questo “errore” ad un vizio di costituzione, come ad esempio una scarsa volontà o deficit intellettivi e fisiologici, a un influsso negativo di natura soprannaturale, oppure a problemi nello sviluppo, dovuti ad infanzie travagliate, metodi educativi od ambienti di formazione dissoluti o troppo chiusi.
I devianti venivano comunque considerati individui non perfettamente realizzati, incompleti o degenerati, come una casa a cui mancasse il tetto, le finestre o le fondamenta.
Non è mai stata contemplata l’ipotesi che l’uomo che agiva al di fuori dagli schemi classici si comportasse in quel modo non per un “errore costitutivo” quanto per una scelta personale, ... ... per un percorso individuale o per una sfumatura del proprio carattere dotate di dignità, parziale autonomia e “sanità” pari a quelle degli individui “retti”.
I metodi per curare ogni scostamento dall’”uomo “ideale” sono stati i più vari, dalle diverse forme di rieducazione all’eliminazione vera e propria, dall’allontanamento alla sottomissione più o meno forzata, e alla limitazione delle possibilità e dei diritti. Cambiavano le cause, ma non cambiava la sostanza: da una parte l’uomo ideale, almeno per quanto riguarda la facciata, e dall’altra una serie di condizioni vissute con vergogna, odio, paura, emarginazione, fino alla disgustosa compassione, che nasconde in questi casi un sentimento ipocrita di superiorità. Discriminazione, insomma, in ogni caso.
In passato la credenza in influssi magici o demoniaci, e soprattutto il concetto di vizio come “debolezza peccaminosa” e di colpa, erano considerati gli elementi che differenziavano l’uomo correttamente evoluto dall’uomo-errore. Nell’ultimo secolo, tuttavia, ogni forma di discriminazione ha dovuto per forza cercare basi scientifiche per poter sopravvivere. Meno di un secolo fa prostitute, pigri, violenti, sovversivi e comuni criminali (coloro che prima sarebbero stati semplicemente bollati ed allontanati come peccatori) venivano studiati nella speranza di comprendere il “guasto”. Non ci si accontentava di parlare di vizio e di stregoneria, di demonio e di fragilità morale. Si misuravano la forma del cranio, i particolari anatomici, e spesso si provava a intervenire a casaccio sul cervello dei malcapitati. In alcuni casi, ad esempio nei lager nazisti, grandi scienziati sezionavano il corpo degli omosessuali alla ricerca delle disfunzioni, per sviluppare metodi di riconoscimento preventivo e possibilmente di cura.
Anche oggi la ricerca di una origine esclusivamente fisiologica dei comportamenti devianti (o meglio varianti) continua. Ciò che la società ha bisogno di trovare è quella ragione ineluttabile, identificata in laboratorio, che rende il comportamento dell’uomo-errore schiavo di un errore costitutivo, e non libero di svilupparsi secondo i presunti parametri “naturali”.
Certo esistono modi più raffinati per interpretare la realtà. Da una parte, all’interno delle scienze umane, si è sviluppato ad esempio uno studio del comportamento e delle scelte che tiene conto in maniera olistica di componenti sociali, individuali, e di tutti quegli aspetti che stanno alla base di ogni processo decisionale. Queste ricerche, attualmente, hanno un atteggiamento neutro e metodologicamente relativista, cioè che non contrappone uno sviluppo ideale a forme inferiori, ma che anzi è più impegnato a smascherare le debolezze e gli inganni nel sistema di credenze della maggioranza che si crede libera e coerentemente sviluppata. Tutti i comportamenti sono ugualmente condizionati ed ugualmente “naturali”, e quindi dotati della stessa dignità, a prescindere dalla connotazione etica o giuridica che ad essi si può dare. Sono solo sbocchi diversi per percorsi diversi, tra di loro tutti sullo stesso piano: scelte private, intime ricerche di un benessere personale. I parametri di bene e male ovviamente esistono, ma sono costruzioni culturali, contratti, convenzioni: laddove esiste un minimo contatto con la realtà e dove non esiste pericolo per la collettività, ogni scelta individuale ha uguale dignità e diritto a prescindere dai pareri personali.
Dall’altra parte, tuttavia, genetica e neuroscienze sembrano ancora alla ricerca di ragioni fisiologiche che condannino a monte gli esseri umani ad un determinato comportamento considerato, proprio in quanto non libero e determinato da una disfunzione biologica, anormale, vizioso, figlio di una menomazione. Rispetto ai dottori nazisti lo fanno in maniera per ora meno invasiva (almeno in genetica), spesso confondendo le cause con le conseguenze (le neuroscienze), e soprattutto sottovalutando la complessità dell’organismo e dello sviluppo psicologico dell’individuo. E talvolta lo fanno riaggiornando semplicemente i vecchi pregiudizi.
Proprio pochi giorni fa il premio Nobel per la medicina James Watson ha dichiarato ad esempio di ritenere che nei prossimi 10 anni sarà scoperto il gene responsabile della minore intelligenza nelle persone di colore.
Spesso le ragioni fisiologiche o genetiche si risolvono in una scusa, che priva l’azione di responsabilità e quindi di dignità. Di fronte ad un comportamento o ad una tendenza “deviante”, che si sente di dovere giustificare come un guasto ad un motore, la spiegazione scientifica trova consensi e diventa luogo comune anche quando è riduttiva, parziale, se non addirittura del tutto ipotetica.
L’individuo X è omosessuale. Ma non è colpa sua, ci dice certa scienza: lo è per ragioni genetiche. Non si può correggere, né accusare di nulla. Sta scritto nel suo genoma: è nato omosessuale. Non agisce sulla base di un’inclinazione, di una propensione maturata nei più disparati modi, di una scelta, di una preferenza, di un’esigenza, di un istinto, come si preferiscono le bionde alle more, si vota per un partito o si preferiscono le gonne o il pantalone, la discoteca o l’irish pub. Ha una disfunzione profonda. Va accettato, come si accettano pietosamente le bizze di un individuo che è nato con una menomazione e si trova a convivere con essa. Come si accetta chi è costretto a essere schiavo di qualcosa, ed intimamente dovrebbe e vorrebbe (ma non può) essere come la natura aveva previsto.
L’individuo conforme si sente così “giusto”, liberamente naturale e quindi dotato di dignità, pronto per salire sul piedistallo e dispensare compassione.
E’ possibile leggere in qualche chiave, tra il consolatorio e il pietista, la campagna del comune di Firenze (DS) e del Ministero per le Pari Opportunità (1) che ha come immagine simbolo quella di un neonato che indossa un braccialetto con, al posto del nome, il marchio “omosessuale” con dicitura “l’orientamento sessuale non è una scelta”, che sposa la teoria dell’origine genetica dell’orientamento sessuale.
Ciò che è diverso dalla media va giustificato, non può essere un’opzione, un essere o un agire dotato di uguale dignità. Solo una schiavitù che non si può spezzare. Esiste un corretto sviluppo sessuale, una libera realizzazione della nostra natura, ed esistono gli errori: il progresso è che, invece che correggere, dobbiamo rassegnarci e compatire. Non esistono scelte, parzialmente libere quanto le nostre, né processi complessi di differenziazione di stili di vita, di strade che uno sente e prova a percorrere spinto dal bisogno di costruirsi una serenità differente. Non esiste una varietà nei comportamenti privati, una libertà nelle pratiche sessuali, ma solo il giusto, e l’errore. E che la natura dell’errore sia il vizio, l’influsso del demonio o un gene, la sostanza non cambia. Sempre errore è.
La genetica, sebbene non abbia scoperto nulla di sostanziale, è la scusa di cui avevamo bisogno per addolcire, ma conservare, un pregiudizio.
Le cause dell’omosessualità sono dibattute, come è dibattuto il fatto se esista una causa per l’omosessualità o se ne esistano molte, distribuite tra tutte le sfere dell’organismo umano.
Ma propendere per la tesi esclusivamente genetica, un’ipotesi come altre, è solo un modo per provocare comprensione, compassione, attenzione e non rispetto per uno stile di vita che, questo andrebbe scritto sui manifesti, ha la stessa dignità e la stessa bontà di tutti gli altri.
Può forse addolcire gli omofobi. Ma, di fronte ad un individuo adulto, consapevole e realizzato, la compassione di chi presenta la sua condizione come una schiavitù genetica non è un sentimento liberale, né civile.
Anche se cambiano le forme, gli atteggiamenti e le giustificazioni, l’unico problema di fondo rimane quello di continuare a considerare l’ “errore” un errore.
Andrea Franzoni (Mnz86)