A questo punto verrebbe voglia di scommettere che il nuovo presidente degli Stati Uniti sarà John McCain.
Ieri infatti il South Carolina ha mandato un segnale tanto chiaro quanto sorprendente, assegnando a McCain una netta vittoria (33% contro 30%) su Huckabee, mentre ha seccamente bocciato le aspirazioni di Mitt Romney, che ha riportato solo il 15% dei voti. Ron Paul si è assestato sul 4%, cifra che riflette abbastanza bene le sue preferenze a livello nazionale.
Ma mentre Romney è mormone (una scheggia impazzita fra i cristiani d’America), Huckabee è un evangelico doc, e questo rende la vittoria del “laico” McCain ancora più significativa, in uno stato a forte prevalenza di elettori evangelici.
La tradizione inoltre gli è favorevole, poiché fino ad oggi tutti i candidati repubblicani che abbiano avuto la nomination del partito avevano sempre vinto prima lo stato del South Carolina. (Fu proprio il South Carolina, nel 2000, a bocciare McCain, ... ... aprendo a George W. Bush la strada per la nomination del partito).
Sembrano quindi prendere corpo quei segnali che ci mostravano una leadership industriale preoccupata per l’eventuale nomination di un candidato “debole” (nell’ambito delle presidenziali vere e proprie, si intende) come Romney o Huckabee, e di fronte al crollo improvviso della popolarità di Giuliani avrebbero deciso di coalizzarsi (leggi: finanziare copiosamente) a favore di John McCain.
Questo significa che a sua volta McCain deve aver trovato il modo di rassicurare la base repubblicana, nonostante sia notoriamente un moderato che addirittura non si oppone all’aborto, e che spesso ha firmato leggi con noti “comunisti” come lo stesso Ted Kennedy.
Naturalmente, c’è ancora da superare l’ostacolo della Florida, dove lo attende un Giuliani che ha deciso di investire tutto sul popoloso stato degli emigrati cubani e dei pensionati di New York, che premia il vincitore con un numero di delegati che da solo supera tutti quelli assegnati fino ad oggi.
Ma l’astuzia di McCain è stata quella di pestare senza pudore sul pedale della “guerra al fanatismo islamico”, per togliere benzina al motore di Giuliani, che sembra girare solo su quella nota particolare. Mentre McCain ha dalla sua un serio passato da ex-combattente, con cinque anni di prigionia in Vietnam, oltre a un valido programma economico e a una notevole esperienza legislativa, tutte cose che mancano all’ex-sindaco di New York.
Sul fronte opposto, ha nuovamente vinto Hillary Clinton (i democratici hanno votato in Nevada, ma non in South Carolina) che ha distaccato di qualche punto Barak Obama, ponendosi ormai come l’unico solido leader per i democratici. (Fortemente distanziato Edwards, che ormai corre soltanto per l’onore).
In un’eventuale confronto con John McCain, però, le possibilità di Hillary Clinton si riducono di molto: una cosa sarebbe stato battere Romney o Huckabee (oppure lo stesso Giuliani, che a quel punto avrebbe visto ritornare in massa i fantasmi dell’11 settembre), mentre John McCain - come già detto - dispone di una credibilità notevole in tutti i campi, e questo lo rende, almeno attualmente, il favorito per la vittoria finale.
(Per quanto possa apparire “guerrafondaio”, McCain sta giocando solamente una partita di parole, per non mettersi contro la destra repubblicana in un momento così delicato. Ma McCain è anche l’unico che si sia sempre dichiarato contro la tortura - scelta coraggiosa quanto impopolare, di questi tempi - e il fatto stesso che abbia firmato molte leggi importanti accanto a senatori democratici testimonia per una sua notevole capacità di equilibrio e di giudizio in generale. Se usassimo i parametri nostrani, fra i republicani sarebbe di gran lunga “il meno peggio”).
Massimo Mazzucco