Nei commenti ad un precedente articolo avevo scritto che “Non è tanto l’uomo contro l’ignoto che misura la paura, ma la distanza fra i suoi sogni e la realtà che lo circonda”, e un altro utente ha risposto chiedendo ”secondo te lavorano anche per accrescere questo divario?”
Quel “lavorano” è riferito a “loro”, e ripropone una figura che su questo sito (e non soltanto) viene citata molto spesso, la cui esistenza è data da molti per scontata. Sono i fantomatici uomini dei poteri forti - illuminati, massoni, ebrei, banchieri, muratori o cappuccioni che dir si voglia – che controllerebbero le sorti del mondo dall’alto di una cupola tanto invisibile quanto impenetrabile.
Non ho elementi per dimostrarlo, ma qualcosa mi dice che quella cupola non esiste, almeno non nei termini semplicistici e manichei – ovvero, romanzeschi – in cui troppo spesso viene descritta.
Naturalmente, a Davos non si riuniscono di certo i pescatori di trota al cucchiaino, gli appassionati di giardinaggio orientale, o i superstiti della prima guerra mondiale. A Davos ogni anno si riuniscono 300 fra le persone più potenti ed importanti del mondo... ma sono appunto 300, non sono 3 e nemmeno 30.
Avete mai provato a mettere d’accordo più di 3 persone per andare a vedere lo stesso film? E’ praticamente impossibile. Per quanto siano tutti amici, e tutti vogliano passare una allegra serata in compagnia, ce ne sarà sempre almeno uno che è scontento, uno che quel film l’ha già visto, uno che comunque avrebbe preferito vederne un altro.
Che quindi trecento persone – le cui esigenze non sono quelle di una semplice serata in compagnia, ma addirittura il presunto dominio del mondo – possano “accordarsi” all’unisono ... ... su una soltanto delle mille decisioni da prendere, diventa altamente improbabile.
In un conclave ci sono 200 cardinali, eppure a volte ci vogliono intere settimane per metterli d’accordo sul papa da eleggere. Figuriamoci se da decidere ci sono semplicemente di mezzo “i destini del mondo”.
Chi vuole la guerra ora? E chi invece la preferirebbe fra un anno? Fra quali stati conviene scatenarla, in vista delle alleanze future? Chi vorrebbe far crollare l’indice Dow Jones, e chi invece vorrebbe sostenerlo artificialmente per altri tre mesi? Chi dice che è meglio tenere Saddam, per usarlo magari contro l’Iran, e chi invece sostiene che è ora di levarselo di mezzo una volta per tutte? E’ meglio arrestare adesso l’epidemia di AIDS, o ci sono ancora troppi africani “inutili”, rispetto alla forza lavoro che realmente ci serve in quella zona del mondo?
All’interno di ciascuna di queste domande, si apre poi ad ombrello una cascata di sottodomande altrettanto importanti e decisive: se ad esempio scegliamo di fermare l’AIDS, chi si prende i profitti della nuova medicina che metteremo sul mercato? Conviene venderla a prezzi impossibili, guadagnando subito il massimo del ricavabile, oppure è meglio regalarla per pochi centesimi, contando di recuperare sulle nuove generazioni? E se invece decidiamo di continuare lo sterminio AIDS, chi si fa carico del costo crescente dell’apparato sanitario? Lo mettiamo in debito alle nazioni africane e ce ne assumiamo il rischio, oppure investiamo direttamente in nuove strutture, che poi ci restano a disposizione, una volta raggiunta la “quota utile” di human labor?
Questi sono solo argomenti e “alternative” banali e grossolani, che possono venire in mente a sprovveduti come me, che Davos non sanno nemmeno bene dove sia. Ma chissà cosa davvero si discute, a certi livelli, quali saranno davvero le forze che si scontrano, quali gli interessi che entrano in conflitto, e quali i gruppi di potere che li rappresentano di volta in volta?
Costretti a passare dall’immagine romanzata del “potere unificato” – chissè come mai nei fumetti e nei film il cattivo è sempre un individuo singolo, ben preciso e identificabile? – ad una sua rappresentazione più realistica e plausibile, ci si rende conto della complessità effettiva che deve avere la ragnatela del potere mondiale, e diventa obbligatorio concludere che l’unica dinamica che possa tenerla in vita sia quella del “corso naturale” delle cose. Non esiste cioè un unico centro di potere, compatto e omogeneo, ma esistono diversi gruppi più o meno potenti, ciascuno con i suoi alleati e i suoi nemici, e ciascuno con i suoi sottogruppi, a loro volta con alleati e nemici, che si confrontano attraverso l’unico meccanismo plausibile in un caso del genere: le leggi della natura. Ognuno spinge nella direzione in cui gli conviene spingere, lo fa con la massima forza che ha a disposizione, e il risultato è la componente ultima di tutte queste forze che agiscono in maniera indipendente, scontrandosi a tutti ed a ciascun livello della ragnatela.
Provate ad osservare da un elicottero il tratto di autostrada che defluisce nella “barriera” del casello finale: le tre corsie regolari si aprono a ventaglio, trasformandosi in una una quindicina di file parallele, ciascuna con un casellante che ti attende. Man mano che gli automobilisti arrivano scelgono ovviamente la fila più breve, dando luogo ad un equilibrio costante nella lunghezza delle file, senza che nessuno glielo abbia imposto o suggerito. E’ il sistema stesso – che ti permette di scegliere la fila più breve fra le 15 disponibili - a produrre la massima fluidità di traffico senza alcun intervento aggiuntivo.
Ogni automobilista pensa esclusivamente ad arrivare a casa il più presto possibile, e se ne fotte altamente di quello che succederà agli altri, ma di fatto con la sua scelta “egoistica” produce la massima fludità per tutti.
Mutatis mutandis, ogni gruppo di potere persegue egoisticamente i propri interessi e spinge nella direzione che più gli conviene, fottendosene altamente del destino o delle esigenze degli altri gruppi, e lo fa in maniera assolutamente autonoma e indipendente. E’ il sistema stesso – la piramide economico-sociale in cui viviamo - che è concepito in modo da produrre risultati comunque vantaggiosi per loro, senza che debba per forza esistere un “grande vecchio” che ogni mattina dice a tutti quello che devono fare.
Nel frattempo, a noi viene data in pasto la storiella delle “società segrete”, che ci regala l’illusione di “aver scoperto” qualcosa che non si doveva scoprire. Ma se sono davvero segrete, scusate, come mai i suoi “adepti” vanno a parlarne tranquillamente in TV (come fece ad esempio John Kerry per gli “Skull & Bones” un paio di anni fa)?
Questa visione semplicistica e romanzata – da una parte “loro”, i ricchi potenti e cattivi, uniti e compatti nell’unica missione congiunta che li possa soddisfare tutti in un colpo solo, e dall’altra “noi”, il popolo succube degli sfruttati inconsapevoli, che litiga per stare in prima fila al derby di campionato - è particolarmente dannosa, perchè offre al “pensatore evoluto” un falso approdo qualunquistico (“tanto non cambia nulla”, “tanto è già stato tutto deciso”), che gli impedisce di far fruttare al meglio le sue preziose capacità critiche.
In altre parole, il ”popolo bue” viene addormentato con l’oppiaceo calcio-televisivo, e ai pochi che rischiano di capirci qualcosa vengono date in pasto le storielle degli “Skull and Bones”, dei “massoni” e degli “illuminati”, in modo che si demoralizzino di fronte a questa “barriera impenetrabile”, e rinuncino sin dall’inizio ad indagare più a fondo sulla realtà delle cose.
Si potrà dire tutto quel che si vuole, ma di fatto in questo modo non pensa nessuno: non pensa il popolo bue, anestetizzato dal televisore, e non pensano quei pochi che potrebbero farlo, demoralizzati dal fatto che “tanto non cambia comunque nulla”.
Missione compiuta quindi in ogni caso, sembrerebbe.
Massimo Mazzucco
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