LA FORZA DELLA BUGIA
Parlavo con un amico che non sentivo più da tanti anni. Personaggio conosciuto, uomo di mondo, parla sette lingue, è a casa sua fra i VIP di Montecarlo come fra i barboni della Bowery, ha preso più aerei nella vita di quanti ne abbiano mai presi la mia famiglia e la tua messe insieme, non c'è luogo al mondo che non conosca, e raramente ci si imbatte in un argomento sul quale non abbia qualcosa di interessante da dire.
Eppure.
Eppure di fronte all'ipotesi dell'autoattentato a Torri e Pentagono è cascato letteralmente dalle nuvole. Sì, certo, "qualcosa aveva sentito", ... ... ma non vi aveva fatto il minimo caso. Ed è stata appena sufficiente - lo confesso - la lunga conoscenza reciproca, perchè non chiudesse definitivamente la porta in faccia a questa nuova, inattesa possibilità.
"Ma dààài, perfavore!" è stata la prima reazione, che ben conoscono tutti coloro che provano ogni tanto a suggerire ad altri una verità diversa sui fatti di quei giorni. "Gli americani non possono essersi fatti una cosa del genere, ma stiamo scherzando!"
Purtroppo no, dicevo io timidamente, ben conscio di cosa significhi dover pensare a rifare di colpo l'intero arredamento del proprio cervello. Ho provato a suggerire un "se l'hanno fatto a Pearl Harbour, dopotutto…" ma non credo di aver ottenuto più di tanto.
D'altronde, ammettere questa nuova verità sull'11 Settembre significa doverne abbattere altre fra le più solide, importanti e sedimentate nel tempo, che consideravamo inamovibili fino a poco tempo fa. Ecco infatti la prima, che si ribella con forza alla prospettiva del trasloco: "Ma scusa, adesso non vorrai mica dirmi che tutta la stampa americana è comperata, per caso?"
Come fare, a "non" dirglielo? Non è stato facile, ma ho cercato almeno di non dirlo apertamente, pur ovviamente senza negarlo. Anche perchè "tutta" la stampa americana è moltissima, siamo d'accordo, ma i gruppi che la controllano alla fine sono tre o quattro. E' proprio nell'illusione della molteplicità che sta il segreto del controllo dell'informazione.
Ed ecco la seconda certezza, messa in crisi direttamente dalla prima: "Ma dài, la democrazia americana è una cosa seria! Non è come qui da noi, paese da operetta dove non va mai dentro nessuno. Lì si che le teste saltano, se appena sgarri un pochino".
Certo che saltano, mi veniva da dire, ma nel senso di Dallas, non di Watergate. Se c'è uno infatti che si è messo a muso duro contro l'establishment - CIA, militari, mafia e Federal Reserve tutti in una volta - è stato proprio John Kennedy, e la fine che ha fatto era qualcosa che ormai anche lui stesso, con atteggiamento fatalistico, considerava inevitabile. Mentre i Watergate in America succedono solo quando tutti i buoi sono ormai scappati dalla stalla, e si cerca almeno di salvare la faccia del "sistema". Ed infatti, si riesce comunque a mettere in extremis un Gerry Ford alla vice-presidenza, che perdoni il presidente uscente per tutte le sue malefatte il giorno stesso in cui ne prende il posto.
La fatica di rifare l'arredamento nel proprio cervello, dicevamo: è questo il vero problema. Sono i concetti di fondo su cui poggiano le nostre certezze - "il sistema funziona", "delle istituzioni mi posso fidare", "non è possibile che l'uomo sia così cattivo" - e che non ci possiamo permettere di spazzare via in un sol colpo, a porre un ostacolo quasi insormontabile alla diffusione di una verità che sarebbe altrimenti alla portata di tutti. Ed è proprio dall' "enormità", per molti inaccettabile, dello scompenso che implicherebbe questa nuova verità, che trae la sua forza l'enormità spudorata della bugia che la copre.
Ma l'amico in questione non è certo un bigotto, trincerato dietro a dogmatismi a senso unico, e ha promesso che al più presto andrà a dare un'occhiata ai fatti più da vicino. Non è però detto che lo faccia, nonostante la sua indubbia buona volontà: ormai il meccanismo del denial, applicato a questo argomento, lo conosciamo troppo bene: basta aver qualcosa di importante da fare - e l'uomo non è certo uno che ami stare con le mani in mano - per poter rimandare l'appuntamento con quella verifica abbastanza a lungo da poter pensare che io mi dovevo essere bevuto il cervello, nei lunghi anni in cui non ci si era sentiti.
Sarebbe certo una "verità" molto più piccola da accomodare, e del tutto indolore.
Massimo Mazzucco
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