di Enrico Sabatino
Il Ministro degli Esteri D’Alema ha dichiarato in queste ultime ore: ”Il governo sta lavorando ad un disimpegno militare effettivo e pieno dall'Iraq. Ci sono molti Paesi presenti in Iraq senza contingenti….. Ci sono diverse modalità di presenza, stiamo studiando quelle effettivamente compatibili con il ritiro delle forze armate…. Le forze armate consentono una presenza più significativa della missione civile, ma noi intendiamo mantenere l'impegno che abbiamo assunto con gli elettori di ritirare i militari”.
Il sottosegretario alla Difesa Forcieri ha affermato anche che resteranno almeno 600-800 soldati che entrerebbero a far parte delle strutture internazionali a guida americana che agiscono nelle diverse province irachene (i PRT, Provincial Reconstruction Team) e che si occuperebbero di garantire la sicurezza dei funzionari e volontari italiani addetti a gestire la ricostruzione civile dell’Iraq.
Concetto ribadito anche da alti membri dell’Esercito Italiano che hanno aggiunto che per ogni civile italiano in missione … … servirebbero almeno 10/15 soldati di scorta a cui si aggiungerebbero altri soldati per garantire la sicurezza delle strutture logistiche.
Tutto questo ovviamente comporta anche l’impiego di mezzi blindati già utilizzati negli spostamenti in questi tre anni di permanenza militare italiana in Iraq.
Il nodo fondamentale da sciogliere però è un altro. Questa eventuale presenza residuale di 600/800 soldati italiani, anche se con il solo compito di scortare i volontari civili del MAE e delle ONG, rimane sempre figlia e conseguenza diretta di una scelta politica sbagliata del precedente governo italiano che si è accodato ad una guerra preventiva sbagliata e disastrosa decisa dagli USA e dalla Gran Bretagna le cui conseguenze di morte e distruzione sono sotto gli occhi di tutto il mondo e continuano tuttora.
Perciò come si può conciliare questa presenza residuale e proporla come svolta agli iracheni se contemporaneamente a 300 km di distanza aerei USA continuano a bombardare villaggi e città, se i marines continuano a uccidere civili innocenti come hanno fatto a Haditha, se Bush e Blair ammettono alcuni errori verbali ma non rinnegano affatto la scelta della guerra e dichiarano solennemente che non ritireranno i loro soldati, se continuano ad operare impunemente squadroni e milizie armate che uccidono quotidianamente, se le autobombe si susseguono giornalmente, se prosegue indisturbato lo stillicidio di soldati USA uccisi da gruppi guerriglieri sempre più efficaci nelle loro azioni di combattimento, se ci sono voluti cinque lunghi mesi per la nascita di un governo iracheno monco dei ministeri chiave - come Interni, Difesa e Sicurezza Nazionale - e il cui premier chiede un piano concreto di ritiro di tutte le truppe straniere parlando però al vento?
In sintesi, come si può parlare di svolta e quindi di missione civile se lo scenario in cui essa opererà è sempre quello di una illegittima e devastante guerra di occupazione ancora in corso?
L’argomento trito e ritrito che non bisogna lasciare da soli gli iracheni perché altrimenti scoppierebbe il caos e ci sarebbe la guerra civile è ormai totalmente superato dalla realtà concreta dei fatti, in quanto il caos c’è sempre stato e c’è tuttora e una strisciante guerra civile è in corso da tempo, e in modo ancor più evidente dopo l’attentato di Samarra del Febbraio scorso.
La stessa cosa dicasi per la questione della ricostruzione civile. Se nella provincia in cui ha operato dal 2003 il nostro contingente è stato fatto ben poco finora, per i problemi legati alla sicurezza, non si capisce come da un giorno all’altro e soprattutto lasciando 600/800 soldati la situazione sul campo debba immediatamente migliorare permettendo ai funzionari del MAE e delle ONG italiane di operare efficacemente e in tempi rapidi.
L’Iraq poi non è un Paese sottosviluppato, semmai lo è diventato a causa della guerra in corso, e ha persone competenti tecnicamente per portare avanti da sé il processo di ricostruzione. Certo, ha bisogno di un sostegno economico che il nostro Governo può e deve offrire, ma lasciando agli iracheni il compito di operare sul campo e organizzando brevi missioni di monitoraggio e verifica con personale italiano che può invece costantemente operare da Paesi confinanti come Kuwait e Giordania e che quando si reca in missione temporanea in Iraq può benissimo essere scortato da qualche carabiniere o agente dell’intelligence armato ma in abiti civili e con l’appoggio fondamentale di affidabili partner locali che possano garantire la sicurezza in loco, senza invece doversi spostare dentro mezzi militari blindati dell’esercito italiano che agli occhi di chi combatte le truppe straniere non sono affatto diversi rispetto a quelli oggetto di attentati mortali del recente passato.
Chi continua anche oggi a mettere ordigni esplosivi ai bordi delle strade e li aziona a distanza vedrebbe infatti solo un mezzo blindato dell’esercito che passa e si disinteresserebbe del fatto che a bordo ci sono dei volontari civili di ONG. E lo stesso dicasi nel caso le intenzioni fossero di rapimento, come si è già visto sia in Iraq che in Afghanistan.
Quindi il Governo italiano dovrebbe agire nel senso di responsabilizzare sempre di più le autorità locali irachene e dovrebbe muoversi per massimizzare l’impiego di competenze locali nel processo di ricostruzione riducendo al minimo l’uso in loco di personale italiano che, ripeto, può tranquillamente operare dai Paesi limitrofi fino a quando anche i soldati americani e inglesi saranno partiti dall’Iraq, si sarà ristabilita una situazione di normalità e il Governo iracheno tornerà ad essere quindi del tutto sovrano e nella pienezza dei poteri.
Naturalmente tutto ciò deve essere preceduto da un ritiro totale del contingente militare italiano nel più breve tempo possibile dal punto di vista tecnico-logistico. Perché solo con queste modalità la svolta politica che il nuovo Governo italiano intende attuare relativamente alla questione irachena troverà il suo significato più vero e concreto sia qui in Italia che soprattutto in Iraq.
Enrico Sabatino
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