di Massimo Mazzucco, Freeman, Claudio Negrioli
L'incidente del Tonchino (da "Il Nuovo Secolo Americano"):
IL VERO PROBLEMA
Secondo voi, quanti italiani su cento sanno che nei giorni scorsi “c’è stata una provocazione di alcune motovedette iraniane contro la flotta USA”? A occhio e croce direi almeno novanta, cioè tutti quelli che bene o male guardano la TV o leggono i giornali almeno superficialmente.
Secondo voi quanti degli stessi italiani sanno oggi che in realtà la provocazione era inventata? A occhio e croce direi non più del dieci per cento, cioè tutti quelli che si informano su Internet, o che leggono i giornali con grande attenzione, dalla prima all’ultima pagina.
Questo è il problema.
Il problema non sta nelle guerre, il problema non sta negli attentati, il problema non sta nel terrorismo: il problema sta nell’informazione. Sta tutto nell’informazione. Controlli quella, e controlli il mondo.
“What you don’t see doesn’t hurt you”, dicono in America, ... ... mentre in Italia diciamo “Occhio non vede, cuore non duole”. Qualunque siano gli eventi reali, è l’informazione che fa da cerniera fra noi e quegli eventi: se “non ce lo dicono”, è esattamente come se la cosa non fosse avvenuta.
La “notizia” della provocazione iraniana ha riempito le prime pagine dei giornali e ha fatto da apertura ad almeno venti edizioni del telegiornale, mentre la notizia che la provocazione fosse stata inventata è passata in sordina, nelle pagine interne, e senza un millesimo del clamore iniziale.
Eppure, in un mondo sano, dovrebbe essere l’esatto contrario: si dà la notizia della provocazione con le dovute cautele – visti soprattutto i pregressi poco edificanti da parte degli USA – e casomai si urla allo scandalo quando si scopre l’inganno.
Invece i nostri giornalisti a) ignorano platealmente la storia, e b) amano essere presi in giro al punto tale da non scandalizzarsi minimamente se scoprono di essere stati usati per scopi propagandistici meschini e beceri come quelli del caso in questione.
Proviamo solo a pensare a cosa sarebbe successo se fossero stati gli iraniani a lamentare una provocazione da parte degli USA, e si fosse scoperto in seguito che la provocazione l’avevano costruita loro a tavolino.
Invece che cosa succede? Succede che l’amministrazione americana, forte del coro uniforme e compatto dei media occidentali, riprende spudoratamente la cantilena del “cattivo iraniano”, per bocca dello stesso Bush, attualmente in visita in Medio Oriente.
Massimo Mazzucco
NOTIZIA E CONTRONOTIZIA
Conoscendo le tecniche di psy-op e delle operazioni false flag poste in essere da americani & soci, per raggiungere i loro scopi politico/militari, la notizia dell’incidente sfiorato domenica scorsa nello stretto di Hormuz, tra imbarcazioni iraniane e navi americane, fa subito scattare in me il ricordo del Golfo del Tonkino (l’incidente molto simile che aprì la guerra del Vietnam, di recente sconfessato dallo stesso ministro degli esteri di allora, Robert McMamara, come pretesto del tutto inventato).
I nostri “giornalisti” però ci forniscono “la prova” della provocazione iraniana, ovvero il filmato diffuso dalla marina degli USA. “Ecco il filmato che prova l’attacco”, dice enfaticamente un mezzo busto qualunque. E tutti i quotidiani dietro: “il filmato dell’attacco”, la “prova”, ecc. ecc. Nessuna considerazione, nessun dubbio, nessuna critica, neanche l’ombra di giornalismo vero, insomma.
In realtà si vede solo un barchino che fa evoluzioni sull’acqua in un video girato male, con audio posticcio dove un “terrorista” con tono da operetta recita “sto venendo per voi, vi faccio saltare”, ma nessuno si chiede dove stia davvero questa prova.
Senonché, L’Iran non ci sta, e
mostra un suo filmato, spiegando che l’audio è falso - come pure il filmato, che è girato con pezzi “di repertorio” - e che comunque le cose non sono andate come dicono gli americani.
Passano alcuni giorni tra accuse reciproche. Poi arriva il colpo di scena:
Iran: Marina Usa fa marcia indietro sull’incidente navale sfiorato nello stretto di Hormuz
Colpo di scena sull’incidente navale sfiorato di domenica nello stretto di Hormuz. Il comando della Quinta Flotta statunitense in Barhein fa marcia indietro e rivela di non essere piu’ certo che la minaccia di farsi saltare in aria contro tre unita’ navali americane provenisse dai cinque battelli iraniani riprese mentre si avvicinavano a grande velocita’ contro le navi. “Non c’e’ modo di saperlo”, fanno sapere dal comando della marina statunitense dopo la diffusione del filmato della versione iraniana dell’incidente. (Fonte)
Qualcosa deve essere andata storta, cerchiamo di capire meglio:
Iran-Usa, Pentagono ridimensiona crisi Hormuz
WASHINGTON - Non rappresentavano un pericolo i piccoli oggetti lanciati in mare domenica scorsa dalle vedette iraniane che sono state protagoniste di momenti di tensione con navi da guerra americane nello Stretto di Hormuz. Lo hanno detto fonti della Quinta Flotta americana al Washington Post. Le ricostruzioni sull’accaduto continuano ad accumularsi, con nuovi dettagli. Il Pentagono ieri ha reso noto che l’episodio non è stato il primo del genere. Altri due incontri ravvicinati analoghi erano avvenuti a dicembre e in un caso era stato anche esploso un colpo di avvertimento. Il capo degli Stati Maggiori del Pentagono, ammiraglio Michael Mullen, ha sostenuto che quello che è avvenuto domenica nello Stretto è stato l’incidente “più provocatorio e drammatico” di questi ultimi tempi tra americani e iraniani e fa parte di “una nuova impostazione strategica” degli iraniani, legata al concetto di guerra asimmetrica.
Il ministero della Difesa americano ripete di essere preoccupato dal ricorso a piccole imbarcazioni che possono minacciare le grandi navi da guerra e che l’attenzione in questo senso è cresciuta dopo l’attacco del 2000 al cacciatorpediniere ‘Cole’ in Yemen da parte di Al Qaida (17 marinai americani furono uccisi). Per questo, secondo Mullen, quello dell’Iran è un tentativo deliberato di provocare, con un metodo che Teheran sa essere motivo di preoccupazione per gli americani. Ma un’ammissione di una portavoce militare, il comandante di Marina Lydia Robertson, della Quinta Flotta di stanza nel Golfo, sembra ridimensionare la portata del pericolo percepito dagli Usa. Quando i comandanti delle navi da guerra coinvolte nell’ incidente di domenica hanno visto gli iraniani gettare in mare piccoli oggetti bianchi delle dimensioni di scatole, hanno in un primo momento temuto fossero congegni esplosivi. Ma gli oggetti, secondo la Robertson, si sono rivelati innocui galleggianti. Un alto ufficiale americano, il vice ammiraglio Kevin Cosgriff, ha inoltre sottolineato che le navi Usa e le vedette iraniane si trovano spesso faccia a faccia e confronti del genere non sono novità. A conferma, sono arrivate dal Pentagono ieri rivelazioni su alcuni precedenti. In un caso, il 19 dicembre scorso la nave da guerra anfibia ‘USS Whidbey Island’ ha esploso anche un colpo di avvertimento contro una vedetta iraniana che si era avvicinata troppo.
Per rispondere alle accuse iraniane di avere gonfiato l’incidente, il Pentagono ha anche reso pubblico tutto il filmato - circa 30 minuti di materiale integrale - sull’ultimo incidente. Come si vede dalle immagini non montate, membri dell’ equipaggio di una delle navi da guerra Usa, la Hopper, seguono i movimenti delle vedette che girano attorno alle tre navi Usa, diventando a mano a mano più nervosi quando i guardiani della rivoluzione (pasdaran) si avvicinano troppo. Restano però interrogativi aperti sulle minacce verbali che sono state raccolte dai militari americani su un canale radio durante la vicenda. Una voce di cui non è stata chiarita l’ origine minacciava di far “esplodere” un bersaglio non meglio precisato. Indagini sono in corso negli Stati Uniti per ricavare ulteriori informazioni sulla voce. Esperti di farsi e studiosi iraniani negli Usa, interpellati dai media, sostengono che l’accento non possa essere di provenienza iraniana. Secondo Karim Sadjadpour, uno studioso di origini iraniane al centro studi Carnegie Endowment for International Peace, l’accento “suonava pachistano, del sud dell’Asia, o di un americano che cercava di apparire iraniano, ma certamente non era iraniano”. (Fonte)
Freeman
Tratto dal blog
Huey Freeman speaks out
FACENDO FINTA DI NIENTE
La tetra possibilità che presto le terre persiane vengano flagellate dal bellico fuoco distruttore si fa sempre più concreta.
Nell'ultima tappa dello sgangherato viaggio in Medio-Oriente che ha portato Re George II°, che oramai cammina sul "viale del tramonto", con imponente scorta armata e Gran Coorte ad Abu Dhabi, il nostro Esarca ha sibilato inequivocabili avvertimenti minacciosi diretti al regime dei Mullah, capitanati da Mahmoud Ahmadinejad. Ha detto che l'Iran "minaccia la sicurezza di tutti i Paesi del mondo" e tutti gli alleati arabi dovrebbero unirsi agli Stati Uniti "prima che sia troppo tardi".
Ha inoltre affermato che "Teheran finanzia i terroristi, danneggia la pace in Libano, intimidisce i paesi vicini, invia armi ai Taliban, sfida le Nazioni Unite e destabilizza la intera regione rifiutando di essere aperta sul suo programma nucleare."
Poi, con tono paternalistico ha esortato i capi del regime di Teheran ad ascoltare la volontà del popolo iraniano e ad esaudirne le aspirazioni, promettendo che se faranno "mea culpa" con sottomissione, potranno rientrare nella felice comunità del mondo libero che lui, il 43° presidente americano George Bush II° rappresenta.
Riprendendo con foga rubizza, ha poi cambiato discorso scandendo in modo perentorio le seguenti parole: "E' giunto il momento di vedere israeliani e palestinesi vivere insieme in pace in Terra Santa".
“Invito gli amici arabi - ha concluso con tono buonista standard - ad appoggiare gli sforzi di pace tra Israele ed i palestinesi".
Intanto, poco lontano, la sua preferita Sion faceva sapere per bocca del suo balivo, Ehud Olmert, che "l'Iran resta per Israele un pericolo, anche dopo la pubblicazione di un rapporto dell' intelligence degli Stati Uniti secondo cui nel 2003 avrebbe sospeso gli sforzi di dotarsi di armi nucleari... occorre operare affinchè questo pericolo venga rimosso... gli Stati uniti se ne rendono certamente conto".
Eccoci quindi al dunque: il due in uno Us-raeliano si toglie la maschera e mostra il suo volto già pitturato con i colori di guerra. Aspettando la prossima buona occasione, dopo lo scatto a vuoto della trappola galleggiante con evidente imperizia piazzata otto giorni orsono nello stretto di Hormuz, Golfo Persico.
La grande Aquila bianca marina ha fame ed i suoi artigli fremono impazienti di ghermire la sua vittima, la piccola Aquila dorata delle sabbie.
Claudio Negrioli (Clausneghe)
(Fonte)