La differenza fondamentale fra Internet e gli altri mezzi di comunicazione sta nel fatto di essere “bi-direzionale”: mentre i giornali, i libri, la radio o la TV viaggiano sempre “a senso unico” (dalla fonte all’utenza, che può usufruirne solo in modo passivo), in Internet è possibile far viaggiare il messaggio anche in senso inverso.
Inizialmente, anche in Internet esistevano solo i siti cosiddetti “statici” – quelli con i contenuti fissi, “da consultare” e basta – ma presto comparvero anche i siti cosiddetti “dinamici” (come il nostro, e mille altri), che permettono all’utenza di intervenire in tempo reale, modificandone continuamente il contenuto. E’ in questa “bi-direzionalità” della comunicazione che sta la vera forza di Internet, poichè si azzerano le “gerarchie intellettuali”, e si mette chiunque allo stesso potenziale livello di importanza.
A quel punto, sta a ciascuno di noi far valere le proprie idee rispetto a quelle altrui. Ma nessuno parte favorito.
In questo senso è importante, in Internet, non tornare ad adagiarsi nell’antico uso “passivo” del mezzo – quello di “leggere e basta” – ma tenere presente che è solo contribuendo ad un input collettivo che si realizza in pieno la quintessenza di questo mezzo rivoluzionario. Per ricevere in maniera adeguata, bisogna anche sforzarsi di dare qualcosa.
Basta fare un breve esempio sulle recenti elezioni politiche, per toccare con mano l’importanza di quanto detto: fino a ieri ciascuno di noi poteva avere la sua convinzione personale sulla questione voto/non-voto, ma nessuno poteva sapere con certezza che cosa ne pensassero “gli altri”. (Al massimo, si poteva avere un dibattito con i colleghi di lavoro, o con la ristretta cerchia di amici e familiari, ma la cosa si fermava lì). Grazie invece al confronto aperto, che mette in contatto tutti i ceti sociali, di tutte le categorie, da ogni parte d’Italia, ciascuno di noi si è fatto un’idea complessiva di quali siano le motivazioni che generalmente stanno dietro alle posizioni diverse dalla nostra, e a sua volta ha potuto perorare le proprie, motivandole in maniera chiara ed argomentata.
Si è così verificato quel “travaso di idee”, fra i diversi individui, che è l’unica strada per arrivare ad una evoluzione collettiva del pensiero, e con essa – ci si augura - ad un più rapida crescita verso una società più matura e responsabile.
Questa lunga sfilza di belle parole era solo per introdurre una semplice proposta:
A partire dalla prossima domenica, gli utenti sono invitati a scrivere un proprio articolo, ... ... che verrà inizialmente pubblicato nello spazio dedicato ai commenti di un articolo ancora “vuoto”. Si potranno pubblicare articoli fino alla mezzanotte della domenica stessa. Nelle seguenti 24 ore gli utenti potranno votare per l’articolo migliore, e alla mezzanotte di lunedì l’articolo più votato verrà passato in homepage, ovvero andrà ad occupare lo spazio, sopra gli stessi commenti, che fino a quel momento era rimasto vuoto. Da quel momento in poi, si potrà commentare l’articolo prescelto, esattamente come tutti gli altri.
Riepilogando:
Prima fase: la domenica mattina compare in homepage un articolo “vuoto”, che dice solamente “pubblica qui il tuo articolo”. Utilizzando lo spazio dei commenti, ciascuno potrà postare il proprio articolo.
Seconda fase: dalle 24 di domenica la frase “pubblica qui il tuo articolo” diventa “vota l’articolo preferito”, e da quel momento (non si possono più postare articoli, ma) si possono votare quelli già pubblicati.
Terza fase: alle 24 di lunedì l’articolo più votato prende il posto della scritta “vota l’articolo preferito”, e rimane definitivamente in home page, diventando commentabile come tutti gli altri.
Che succede agli altri articoli?
L’autore, se lo desidera, potrà tornare a postarli in futuro, fino a un massimo di tre volte. In questo modo un articolo valido non rischia di andare perduto solo perchè magari, quando è comparso la prima volta, ce n’era uno ancora più valido che è finito in homepage. (Magari all’inizio possiamo mettere un limite di 5-6 articoli pubblicati per ogni domenica, se ce ne fossero troppi. Ma temo piuttosto il problema opposto).
Perchè tutta questa apparente complicazione?
Premesso che si tratta di un esperimento, che può benissimo non funzionare, lo scopo è duplice:
1) Togliere alla redazione il “privilegio” - o l’onere, a seconda dei punti di vista - di decidere per conto di tutti se un articolo sia interessante o meno.
2) Stimolare i “quasi scrittori” a diventare tali.
Il secondo punto è sicuramente quello più importante, poichè ci riporta al discorso originale dell’informazione “bi-direzionale”. La grande maggioranza di noi, infatti, è un autore in pectore, ma non sa di esserlo, o comunque “non osa” pensarlo. Chi non ha mai pubblicato nulla, normalmente vive nella convinzione che per farlo siano necessarie doti molto particolari, che non tutti hanno.
Questo è vero, ma solo in parte. Bisogna infatti distinguere fra le capacità espositive (“saper scrivere”) e la presenza di idee vere e proprie (“avere qualcosa da dire”). Mentre le prime non appartengono a tutti, ma si possono tranquillamente sviluppare, io credo che ciascuno di noi abbia dentro di sè tanto da dire quanto ne hanno tutti gli altri. Deve solo trovare il modo di esprimerlo al meglio, superando la timidezza da un lato*, e affrontando un certo sforzo pratico nell’esporre in maniera comprensibile le proprie idee, dall’altro.
Ma - come abbiamo già detto - se si vuole ricevere, bisogna anche sforzarsi di dare. Altrimenti, è molto più comodo accendere il televisore, e lasciare che il nostro cervello venga cullato dalla ninna-nanna altrui.
* Ricordo come se fosse ieri la prima volta che “pubblicai” qualcosa di mio in Internet. Era un brevissimo commento, in un qualunque thread politico di America On Line, di cui non ricordo nemmeno l’argomento: per quanto si trattasse di un concetto banalissimo, probabilmente già esposto da mille altri prima di me, il semplice fatto di vedere le mie parole comparire ufficialmente su una pagina di Internet mi fece sentire, per la prima volta, di “aver contato qualcosa”. Naturalmente, giusto il tempo di vivere questa storica emozione, e il mio commento era già scomparso dalla homepage, sepolto da mille altri che lo seguivano; ma da quel momento mi sono reso conto di poter anch’io dire la mia (e come vedete la malattia non ha fatto che progredire, peggiorando nel corso del tempo).
Seguono alcuni consigli pratici, ricordando che non sono consigli “per gli altri”, ma anche e prima di tutto per la persona che li legge, cioè tu. (Quante volte abbiamo detto che “gli altri siamo noi?" Ebbene, questo è il momento di dimostrarlo).
COSA SI INTENDE PER “ARTICOLO”?
Per articolo si intende un qualunque pezzo - di lunghezza simile a quelli da noi normalmente pubblicati – che abbia in qualche modo un senso compiuto. Per “senso compiuto” si intende un pezzo che contenga un cosiddetto “inizio”, un “centro” e una “fine”, ovvero una premessa, uno sviluppo e una conclusione. In altre parole, si intende un pezzo che sia in grado di reggersi da solo, senza dover fare necessarianente riferimento a qualunque altro scritto esistente.
Prendete un qualunque articolo fra quelli pubblicati, e vedrete che bene o male è strutturato in quel modo. Anche il più breve, come ad esempio “Hillary Clinton ha praticamente perso la corsa alla candidatura democratica”, segue quella struttura:
PREMESSA: Dopo l’incoraggiante vittoria in Pennsylvania, Hillary Clinton aveva bisogno di riportare in Indiana e North Carolina due secche vittorie, per poter continuare a sostenere il suo diritto a combattere fino alla fine per la candidatura del partito alle presidenziali di novembre.
SVILUPPO (il fatto accaduto): Invece in North Carolina ha preso da Obama una sonora batosta (42-58), mentre in Indiana ha vinto con un margine talmente risicato (51-49) che al momento di scrivere non si può ancora dire con certezza assoluta che abbia vinto.
CONCLUSIONE: Ma in ogni caso la causa di Hillary Clinton è ormai perduta: con sei sole primarie che mancano all’appello, il vantaggio di delegati accumulati da Obama ormai è tale che il senatore di Chicago non potrebbe più essere raggiunto.
Provate a togliere una qualunque delle tre parti - premessa, sviluppo o conclusione - e vedrete che di colpo l'articolo non sta più in piedi.
(Volendo anche le barzellette, che sono una delle forme più brevi di narrazione in assoluto, sono strutturate così:
PREMESSA: C’è uno che odia sua moglie e vuole ucciderla, ma non sa come fare per non andare in galera.
SVILUPPO: Il suo amico dottore gli consiglia di fare l’amore con lei finchè muore, e gli dà una pozione speciale per aumentare le sue prestazioni sessuali.
CONCLUSIONE: Dopo un paio di settimane, il dottore passa a trovare l’amico a casa sua. Trova la moglie che canta felice, e l’amico distrutto e praticamente in coma, a causa del “superlavoro”. Con un filo di voce, l’amico gli fa un sorriso sornione e gli dice: “Senti la stronza: canta, e non sa che deve morire”).
Tornando a parlare seriamente: questo non significa che prima di scrivere un articolo dobbiate per forza fare l’analisi strutturale del pezzo, ma siete certamente in grado di stabilire, da soli, se il pezzo che avete scritto abbia o meno una sua effettiva autonomia. Per verificarlo, basta provare a leggerlo “come se fosse di un altro”, e domandarsi: le informazioni che mi dà questo articolo sono sufficienti a comprenderlo, senza chi io debba per forza “sapere altre cose” che qui non compaiono? Se la risposta è sì, quello è comunque “un articolo” – bello o brutto che sia - per definizione. Altrimenti, aggiungete le informazioni mancanti, e lo diventa.
Lo ripeto, però: le regole che permettono di verificare la solidità di un articolo esistono e sono molto utili, ma alle fine è sempre il buon senso che vi permette di stabilire se avete scritto qualcosa che sta in piedi da solo oppure no.
DI CHE COSA SCRIVERE?
Teoricamente, un articolo può trattare di qualunque argomento voi riteniate interessante. Può essere un fatto che vi è accaduto di persona, una riflessione provocata da un evento di cui avete letto sui giornali, una proposta per cambiare qualche cosa nella nostra società... In qualunque caso, bisogna imparare a distinguere bene ciò che è importante “per noi”, e quello che può esserlo ANCHE per gli altri.
Se la scorsa settimana avete avuto un incidente, e vi siete rotto una gamba, sono certo che per voi l’episodio è stato di primaria importanza: avrete infatti a) sofferto come dei cani, b) perso giornate di lavoro, c) dovuto imparare a camminare con le stampelle, d) trovare qualcuno che vi portasse in giro in macchina, ecc. ecc.. Ma sono sempre e soltanto problemi che riguardano voi, e che potrete al massimo condividere con altre persone che abbiano avuto un incidente simile di recente. Ma agli altri, senza offesa per nessuno, della vostra gamba e delle vostre stampelle non può fregare di meno.
Se invece nel corso dell’infortunio vi siete scontrati, ad esempio, con il classico caso di corruzione, di malsanità, o di generica inefficacia della struttura pubblica, ecco che il vostro incidente perde l’aspetto puramente personale, e diventa “universale”, ovvero condivisibile da tutti.
Lo stesso criterio vale, nel mondo reale, per i film e i libri di grande successo: un film come Titanic, ad esempio, ha avuto il successo che ha avuto perchè non racconta “solo” l’avventura di quel particolare ragazzo, ma perchè quell’avventura contiene l’archetipo di una avventura che tutti noi in qualche modo nella vita dobbiamo affrontare: il “viaggio” verso l’età adulta, verso l’affermazione nella società, e verso il riconoscimento da parte della stessa della nostra esistenza.
L’affermazione dell’individuo, e il suo riconoscimento da parte della società, rappresentano forse l’archetipo più importante in assoluto in tutte le culture e le società del mondo, e l’aver trovato una storia che lo contenga e lo rappresenti in modo così completo ed efficace sta alla base del successo mondiale di quel film. (Tutto questo non ha nulla che vedere con il “gusto” personale di ciascuno di noi, sia chiaro: il film può piacere o meno, ma il suo record mondiale al botteghino resta un fatto incontrovertibile).
Questo non significa che ciascuno di voi, prima di scrivere un articolo, debba per forza domandarsi “che tipo di archetipo contiene la mia storia?” Questi sono ragionamenti che intervengono solo a livello di editoria professionale, o di distribuzione cinematografica vera e propria, ma l’esempio era utile per far capire la differenza fra “interessante” a livello personale, e “interessante” a livello collettivo.
In ogni caso, c’è solo un modo per sapere con certezza se si è scelto l’argomento giusto su cui scrivere: provarci. Nel caso di esitazione, il mio suggerimento è quello di fidarsi del proprio intuito, e non del ragionamento: se “sentite” che altri vorrebbero leggere quell’articolo scrivetelo, altrimenti non fatelo, senza stare troppo a chiedervi perchè. Oppure scrivetelo lo stesso, e fatelo prima leggere a chi vi sta intorno (se solo sapeste quanti miei articoli, fra quelli che non pubblico, vengono “cassati” senza pietà da mia madre o da mia moglie...).
Tenete comunque presente che nessuno è mai stato condannato a morte per aver scritto un articolo poco interessante. Al massimo non viene letto o votato, senza che per questo voi perdiate la stima degli altri esseri umani (anche perchè non è il vostro mestiere, che è poi la premessa di tutto questo esperimento).
COME SCRIVERE?
Come vi viene meglio, senza stare a porsi problemi di “stile", di “linguaggio”, o altre questioni di secondaria importanza. Prima di tutto scrivete DI GETTO quello che vi viene da dire, senza stare a pensarci troppo. Solo in un secondo momento, di fronte a quanto avete scritto, si può pensare di correggerlo, modificarlo, o revisionarlo in modo da renderlo più leggibile o interessante per gli altri. Come disse Mario Puzo, “writing is really re-writing” (scrivere significa in realtà ri-scrivere). Vi posso garantire che nessuno al mondo, da Alberoni fino a Tolstoj, riesce a buttare giù una prima stesura che sia già quella definitiva. (Forse Alberoni sì, in quanto è difficile concepire un livello di banalità superiore ai suoi scritti pubblicati. A lui evidentemente vengono già così, per natura).
In conclusione, direi di non stare troppo a parlarne, ma di provarci.
Per quello che posso, io sono a disposizione di chi avesse dei dubbi di qualunque tipo. Potete mandare a me i vostri pezzi prima di pubblicarli (redazioneATluogocomune.net, sostituendo AT con la chiocciola), per un parere o suggerimento, o anche per riscrivere eventualmente un articolo da cima a fondo, se ne valesse la pena. Ad una condizione però: io rispondo a tutti, ma senza peli sulla lingua, e senza dover necessariamente argomentare ogni volta la mia opinione (dipenderà dal tempo a disposizione, e dal numero di articoli ricevuti). Se il mio consiglio vi è utile prendetelo, altrimenti ignoratelo, senza farne in ogni caso una tragedia o una questione personale. E ricordate sempre che io posso comunque sbagliare, come tutti gli altri.
Che ne dite?
Massimo Mazzucco
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