di Paolo Franceschetti
Notte tra il 1° e il 2 giugno 2005, a Nereto. L’avvocato Libero Masi, noto nella zona perché presidente di Slow Food Abruzzo, viene ritrovato cadavere in casa, smembrato a colpi di ascia insieme alla moglie. Ai cadaveri mancano i denti. Il paesino è un tipico borgo abruzzese, con pochissimi abitanti, in cui è quasi impossibile muoversi senza essere notati, eppure il colpevole non verrà mai trovato. La magistratura apporrà addirittura il segreto di stato sul fascicolo.
Secondo la migliore tradizione giudiziaria non solo italiana, a un certo punto emerge un reo confesso; si chiama Massimo Bosco, è il solito sfigato, drogato, barbone, analfabeta (stesso copione che troviamo in Olindo e Rosa, come i ragazzi delle Bestie di Satana, come Michele Misseri, come i compagni di merende nel Mostro di Firenze), che si autoaccusa del delitto. La sua versione è talmente strampalata che questa volta i giudici non credono all’autoaccusa e lasciano libero il reo confesso; costui, trasferitosi a Castiglion Fibocchi, verrà poi a sua volta assassinato il 14 novembre 2013 a colpi di pietra e bastoni da due barboni, ufficialmente per un posto in tenda, ma più probabilmente per mettere a tacere un testimone che un giorno o l’altro avrebbe potuto raccontare chi e perché lo aveva istruito a “confessare”.
Luglio 2007. Si suicida l’avvocato Corso Bovio nel suo studio, sparandosi con una 357. Nessuno crede al suicidio, ma ovviamente gli inquirenti concludono subito per un suicidio, mettendo una pietra tombale alla possibilità di cercare la verità.
Aprile 2009. Viene “suicidato” l’avvocato Balzano Prota, ... ... ma ovviamente gli inquirenti concludono subito per un suicidio, mettendo una pietra tombale alla possibilità di cercare la verità.
Aprile 2009. Viene “suicidato” l’avvocato Balzano Prota, che difese imputati eccellenti nel processo Mani Pulite. Era depresso e stanco. E tanto basta per archiviare il tutto come suicidio.
20.11.2009. L’avvocato Luca Fontana viene trovato morto. Nel suo studio, secondo un giornale; nella sua casa, impiccato con una sciarpa (sic!) legato alla scala a chiocciola di casa.
21.1.2010. L’avvocato Antonio Colella si suicida nella doccia. E’ praticamente impossibile suicidarsi in una doccia, non essendoci spazio per lanciarsi nel vuoto, e non essendo in genere le strutture idrauliche di una doccia così resistenti da reggere il peso di un corpo umano. Ma tant’è… il caso è chiuso. In fondo, concludono laconicamente i giornali, qualche mese prima si era suicidato anche Luca Fontana. Una zona sfigata, quella del padovano.
26.2.2010. L’avvocato Enzo Fragalà, parlamentare di AN, viene aggredito fuori dal suo studio a Palermo. Gli viene fracassato il cranio. Una modalità quindi non tipicamente mafiosa, ma tipicamente massonica. Risultato delle indagini: è stata la mafia. Interesse dei media per la notizia: zero.
17.9.2010. L’avvocato Monica Anelli, nipote dello scrittore Stefano Anelli, alias John Kleeves, viene assassinata dallo zio con un colpo di balestra, stando a quel che dicono i giornali. Lo zio poi si suiciderà (sempre con un colpo di balestra) in auto. In realtà Stefano Anelli da anni si occupava dell’ingerenza della CIA in Italia, toccando quindi temi molto scomodi. Il suo è un caso classico di duplice omicidio, fatto passare per omicidio-suicidio al fine di liquidare il caso senza troppo clamore e senza alcuna indagine.
Ma per gli inquirenti non c’è nulla di meglio che la possibilità di archiviare come omicidio-suicidio un caso di strage. Nessuna indagine, nessuna rottura di palle, e si può tornare a guardare la partita serale, sicuri di non rischiare il posto andando a toccare qualche personaggio scomodo che è coinvolto nell’omicidio.
Il fatto che sia impossibile suicidarsi in una utilitaria con una balestra, specie per un uomo della corporatura di Anelli? Irrilevante.
Il fatto che non avesse alcun motivo di suicidarsi? Irrilevante.
Il fatto che non avesse alcun motivo di uccidere la nipote? Irrilevante.
Il fatto che si occupasse di servizi segreti e ingerenza CIA? Tesi complottiste, non dimostrate.
16.10.2010. L’avvocato Silvia Guerra viene “suicidata” con una calza da donna (altri giornali dicono un foulard) legata alla finestra. Nonostante poche settimane prima fosse scampata per poco ad un incidente potenzialmente mortale, ovviamente nessuno ipotizza l’omicidio. Indagini zero, il caso è chiuso.
28.10.2010. L’avvocato Massimo Pallini viene ucciso da un cliente, Natalino Di Mambro, in via Cimarosa a Cassino, per non averlo difeso adeguatamente in un processo fallimentare. Manco a dirlo, le telecamere dei TG inquadrano insistentemente la targa con il nome della via.
4.1.2010. L’avvocato Franco Romani, presidente della camera penale di Ferrara, impegnato nella lotta alla mafia, viene trovato suicidato nel suo garage. Il fatto che fosse attivo nel campo della lotta alla mafia e della legalità non spinge nessuno a dubitare o indagare in altre direzioni.
5.4.2012. L’avvocato milanese Enrico Todisco si getta dal ponte San Michele e muore affogato nell’Adda. Stava costruendo una torre di 40 piani a Dubai, dove aveva lo studio, e secondo i giornali si sarebbe suicidato per i troppi debiti.
1.2.2013. L’avvocato Bartollini, di Terni, si suicida “gettandosi nel fiume Nera”. Come ci si possa suicidare gettandosi in un fiume è difficile capirlo, a meno che ovviamente il fiume non sia profondo e la persona non si leghi un peso che lo porti a fondo. Ma le domande, si sa, non sono il pezzo forte dei giornalisti e tantomeno degli inquirenti.
3.5.2013. L’avvocato Giovanni Antonetti, coordinatore dell’Italia dei Valori per la città di Sorrento, candidato sindaco, impegnato nella lotta alle ecomafie e in molti campi sociali, allegro, impegnato, motivato, attivo, si “suicida” gettandosi da un ponte della Circumvesuviana di Vico Equense. Il motivo? Non aveva superato il concorso da notaio ed era depresso (NB: non superare il concorso da notaio a 33 anni è perfettamente normale; è il concorso più difficile in Italia). Il caso è chiuso.
29.5.2013. Viene trovato morto il figlio di uno degli uomini più potenti d’Italia: l’avv. Michele Raffi, figlio dell’avvocato Gustavo Raffi, Sovrano Maestro Venerabile del Grande Oriente d’Italia, l’obbedienza massonica più numerosa in Italia, quella cui appartennero Garibaldi, Mazzini e Cavour. “Suicidato con un’arma bianca”, liquidano i giornali. Non una parola di spiegazione. Non una domanda, un dubbio, un approfondimento, che sarebbero più che legittimi in un caso di tanta importanza. Lo capiscono tutti che è un omicidio e in certi ambienti la cosa si dà per scontata, senza neanche “ipotizzare” che sia un reale suicidio. Ma nessun giornale o nessuna tv ne accenna.
3 settembre 2013. Si getta sotto un treno l’avvocato Claudio Dondi, nel mantovano. L’avvocato, persona molto sportiva, donatore di sangue, molto attivo anche nel sociale, non aveva dato alcun segno di squilibrio o depressione. Ovviamente nessun sospetto alternativo al suicidio.
17.09.2013. Nei pressi di Udine. Silvia Gobbato, praticante avvocato 28enne, viene uccisa a coltellate mentre fa jogging al parco insieme ad un suo amico (figlio di uno degli avvocati più in vista di Udine, presso cui Silvia lavorava). Entro pochi giorni la ragazza avrebbe dovuto sostenere l’esame orale per diventare avvocato, dopo aver brillantemente superato lo scritto. Oltre ad amare il proprio lavoro, era anche impegnata nel sociale. Due giorni dopo il delitto, viene arrestato Nicola Garbino, un giovane uomo disoccupato e studente universitario fuori corso, che confessa di aver ucciso la Gobbato perché voleva rapirla. Ma nella ricostruzione del delitto non quadra nulla: dai tempi di esecuzione alle modalità. Nonostante ciò, gli inquirenti prendono per buona la confessione di Garbino e non si pongono ulteriori domande. L’uomo è il classico reo confesso sfigato e disadattato: caratteristiche che come abbiamo visto ritornano spesso in questi delitti.
5.10.2013. Rossana Cancellieri, avvocato 35enne di Potenza, passa la serata con gli amici. Nessuno nota nulla di strano. A fine serata prende la sua auto e si allontana. Viene trovata morta in una scarpata. L’auto è parcheggiata su un ponte, ma la rete di protezione è troppo alta per potersi buttare da quel punto. La soluzione è semplice: l’avvocatessa è salita sul tetto della macchina e si è lanciata da lì. Il caso è chiuso.
Novembre 2013. L’avvocato civilista Carmelo Tumolillo si getta dal ponte di Posillipo a Napoli. Era depresso, scrivono i giornali. E se era depresso, c’è forse motivo di dubitare che non sia un suicidio?
8.11.2013. Una donna, avvocato civilista incinta all’ottavo mese, si butta dal sesto piano del palazzo in cui viveva. Manco a dirlo era depressa. Non lo sanno tutti che le donne incinte sono depresse? Caso chiuso.
31 dicembre 2013. L’avvocato Andrea Stilo si “suicida” gettandosi da un viadotto della superstrada Jonio Tirreno. I familiari sostengono che non si sarebbe mai suicidato. Ma – ci scommettiamo – nessuno batterà piste alternative, nonostante il legale si sentisse minacciato e avesse confidato ai familiari di sentirsi in pericolo. Se si è suicidato, era depresso. E i depressi si suicidano. Con questa logica ferrea, ogni suicidio è matematicamente un caso di depressione; e con logica altrettanto ineccepibile, se uno è depresso, è assolutamente normale che si tolga la vita.
17.1.2014. Campi Bisenzio, Firenze. L’avvocato Lamberto Albuzzani stermina la famiglia e poi si suicida con un colpo (di fucile) al petto. L’avvocato era coinvolto in un’indagine relativa ad alcuni illeciti avvenuti all’interno della Banca di credito cooperativa per cui lavorava.
Ovviamente, l’ipotesi dell’omicidio plurimo da parte di terzi è esclusa e il tutto viene archiviato con celerità ed efficienza.
A questo elenco occorrerebbe aggiungere tutti gli avvocati colpiti da malori improvvisi, ictus, malattie incurabili che si propagano velocemente. Poi quelli che ho omesso, perché conosco le famiglie o le situazioni e non ho intenzione di farli comparire in questo elenco. E infine tutti quelli di cui le cronache non parleranno mai, ufficialmente per “rispetto verso le famiglie” o perché “un suicidio non fa notizia”.
Quello che non torna, a leggere le cronache, sono i dati statistici.
In primo luogo a suicidarsi dovrebbero essere quelli giovani, senza lavoro, e fragili psicologicamente. Invece, come per miracolo, vengono sovvertite tutte le statistiche e prevalgono i suicidi di avvocati famosi, in carriera.
In teoria un avvocato sa come suicidarsi perché avendo accesso facile a manuali di criminologia conosce i metodi migliori (farmaci, sostanze particolari, ecc.) e non userebbe metodi improbabili come l’impiccagione in una doccia o il gettarsi in un fiume. Eppure sono statisticamente più numerosi i casi di caduta dall’alto, probabilmente ad indicare un contrappasso rispetto ai motivi della loro morte.
Il mio pensiero corre agli incidenti che ho avuto in moto da cui mi sono salvato per miracolo, ai colleghi che sono scampati ad altrettanti incidenti strani, a quando trovai Solange svenuta per terra nella camera da letto e chiamai l’ambulanza domandandomi se, arrivando un po’ più tardi, sarebbe stato un “suicidio” o cosa.
E ripenso alle parole di mio padre: “Dai, iscriviti all’albo degli avvocati. E’ un lavoro un po’ noioso e tranquillo, ma si guadagna bene”.
Proprio un lavoretto tranquillo, sì.
Il tutto, poi, fa porre una domanda di fondo sullo stato penoso del giornalismo italiano: ma non ci raccontano (e la maggior parte degli italiani ci crede) che i giornali sono sempre in cerca di scoop? E come mai si sono lasciati sfuggire proprio questi scoop, anche trasmissioni sensazionalistiche e false fino al midollo come Chi l’ha visto o Quarto grado? Eppure, vicende come quella di Stefano Anelli, di Michele Raffi, o di Libero Masi, potrebbero tenere inchiodati gli italiani alla poltrona molto di più dei vari Sarah Scazzi Show o Yara Gambirasio.
Paolo Franceschetti
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