All’inizio delle primarie americane, qualche mese fa, i favoriti erano Rudolph Giuliani per i repubblicani e Hillary Clinton per i democratici.
Era però prevedibile che Giuliani, con il suo pesante fardello di ambiguità, sia politiche che personali, non facesse troppa strada in direzione della Casa Bianca. Ed infatti la sua candidatura è durata poco più di una settimana: giusto il tempo di rendersi conto di quanto facile fosse impallinare l’ex-sindaco di New York (è bastato l’arresto di Bernard Kerik, senza nemmeno bisogno di scomodare le bugie di Giuliani sull’undici settembre), e i repubblicani lo hanno subito abbandonato alla deriva, rifugiandosi sul più moderato ma apparentemente più difendibile John McCain.
A quel punto non ci voleva molto a immaginare che anche la candidatura di Hillary Clinton, costruita su misura per contrastare quella di Giuliani (una democratica moderata era perfetta contro un falco “spumeggiante” come lui), avrebbe perso molto del suo appeal contro il già moderato McCain, aprendo invece la strada al più “liberal” e combattivo Barak Obama.
Anche in quel caso i democratici hanno capito l’antifona, ed hanno chiaramente scelto Obama, il cui grande vantaggio, rispetto alla Clinton, è di aver votato contro il rifinanziamento della guerra in Iraq. Questo offre al senatore dell’Illinois un’arma di primaria importanza, nella battaglia elettorale del prossimo autunno, che Hillary invece non potrebbe utilizzare.
Ma c’è un’altra grossa differenza fra Barak e Hillary, che non solo depone a favore del primo, ma permette legittimamente di sperare ... ... in una sua vittoria finale contro McCain. Nei pochi mesi di campagna elettorale a cui abbiamo assistito, Obama ha dimostrato di saper letteralmente trascinare le masse come in America non accadeva dai tempi di Robert Kennedy, “tirando fuori” decine di migliaia di giovani che a novembre voteranno per la prima volta “solo perchè c’è lui”.
Come molti sanno infatti, il problema principale in America non è convincere la gente a votare per te, ma convincerla a votare e basta. Nel paese in cui è nata la moderna democrazia, ironicamente, vota di solito meno della metà degli aventi diritto, ed è quindi chiaro che ogni nuova “sacca sociale” che si riesca a conquistare significa un immediato salto in avanti per chi sia riuscito a farlo.
Questo significa che Obama è teoricamente in grado di ribaltare a proprio favore il voto di novembre nei cosiddetti “swing states” – gli “stati che oscillano”, fra una maggioranza democratica e una repubblicana – che sono quelli che normalmente determinano l’esito finale delle presidenziali. Oltre alla famigerata Florida, che vale da sola metà della posta ancora in dubbio, oggi i nuovi stati “in bilico” sono il Colorado, l’Ohio, la Pennsylvania, il Missouri, il Nevada e qualche altro. Ce n’è a sufficienza per far sentire McCain tutt’altro che tranquillo.
Ma forse è ancora presto per fare questo tipo di ragionamenti, perchè da oggi a novembre possono arrivare delle sorprese – intese come “rivelazioni” negative sui candidati - capaci di ribaltare in qualunque momento la situazione esistente. Anche in questo caso però sembra che Obama sia in netto vantaggio: mentre lui in fondo ha già pagato il suo scotto, con la storia del prete nero “antiamericano” della sua parrocchia, per McCain potrebbe anche covare la più grande e devastante di tutte le sorprese.
Ricordate la faccenda del “vero eroismo” di McCain, che fa curiosamente a cazzotti con la sua politica oscurantista sul passato del Vietnam? Ebbene, a quanto pare non siamo solo “noi di Internet” ad essere al corrente di questo suo piccolo scheletro nell’armadio: poche sere fa Keith Olbermann, in una delle sue classiche “tirate” antirepubblicane sulla MSNBC, ha criticato McCain per aver accusato Obama di “inesperienza militare”, ed ha concluso dicendo: “Bisogna stare molto attenti a fare questo tipo di discorso, specialmente se si ha un passato da
Manchurian Candidate, nel quale per cinque anni ti sei fatto fare il lavaggio del cervello in qualche lontano paese dell’Indocina“.
Se Olbermann già si preoccupa di farci sapere che “lo sa”, secondo voi a nessuno verrà voglia, al momento giusto, di tirare fuori questa storia?
In ogni caso, a tutti coloro che dicono che “tanto è lo stesso, i candidati sono tutti uguali”, si può rispondere che sarà anche vero, ma che è comunque preferibile vedere alla Casa Bianca uno “uguale” come Obama che uno “uguale” come McCain. Quelli come il primo normalmente danno più soldi alle scuole pubbliche e agli ospedali, mentre gli altri li danno ai militari per combattere in Iraq. Non è che sia proprio la stessa cosa.
Massimo Mazzucco
VEDI ANCHE:
Il piccolo sporco segreto di John McCain