Rispondo pubblicamente a Vulcan, dopo aver ricordato che non è all’individuo che mi rivolgo, ma alla forma di pensiero che lui rappresenta e condivide, nell’ambito del dibattito in corso. Per quanto nessun altro “vulcan”, per ora, si sia fatto avanti, è infatti ragionevole pensare che non sia lui l’unico ad essersi posto le domande che si è posto.
Il suo gesto, altamente apprezzabile, è reso ancor più onorevole dal fatto che Vulcan abbia poi cercato il confronto diretto con gli “amici di scienza”: “La mia curiosità – ha scritto nei commenti - è di capire quanto possa essere considerato conservatore dal "lettore comune" e quanto invece troppo "avanzato" o imprudente da chi la scienza veramente la pratica.. medici, fisici o biologi che siano”.
Ed è a questa domanda che vorrei rispondere, poichè mette in evidenza, a mio parere, il vero cuore del problema.
Vulcan infatti era partito dal metodo scientifico come oggetto della discussione (domandandosi cosa debba o non debba fare la scienza medica di fronte a un caso come quello di Simoncini), ma inconsapevolmente ha finito per trasformarlo in soggetto, “esterno” al dibattito stesso, nel momento in cui lo ha eletto a parametro di misura per giudicare la sua posizione.
Questo è, a mio parere, un errore che rivela la profondità del danno che è stato fatto, nel corso dell’ultimo secolo, da coloro che hanno abusato del metodo scientifico per farne lo strumento di ben altre finalità.
Caro Vulcan, non è il metodo scientifico che deve decidere quanto un uomo sia nel giusto, ma è l’uomo che deve decidere quanto sia giusto il metodo scientifico. Sei tu che devi sapere se sei nel giusto, … … dentro di te, senza bisogno di chiederlo a nessuno.
Altrimenti hanno ragione le multinazionali, che seguendo i loro “criteri di sopravvivenza” ci impongono di mangiare cibi geneticamente modificati. Oppure ha ragione Bush, quando dice che “non possiamo mettere dei limiti troppo rigorosi alle emissioni di carbonio, perchè costerebbe troppo alle industrie”.
Le multinazionali le ha create l’uomo, le industrie le ha create l’uomo, e il metodo scientifico lo ha creato l’uomo: sono loro che debbono adattarsi alle nostre esigenze, e non viceversa.
Nel momento in cui tu demandi al “metodo scientifico” il potere di “dare il voto” al tuo comportamento, hai rinunciato ad essere un uomo nel più profondo e primordiale dei suoi aspetti: il tuo diritto di conoscere, interpretare, ed evenualmente modificare la realtà che ti circonda.
Tu sei un essere umano che ha scelto di fare il medico all’interno di una società, non sei un “prodotto medico” della società [un terapeuta] con sembianze umane.
Ogni volta che accettiamo una ”categoria” di qualunque genere – religiosa, politica, oppure scientifica - al di sopra di quella umana, abbiamo reso automaticamente l’uomo schiavo di quella società.
Abbiamo creato Metropolis.
Ora, che esistano umani a cui piaccia molto muovere le fauci del Grande Moloch è fuor di dubbio, ma sta a noi permetterglielo o meno.
Nel caso specifico, tu hai di fronte un medico “anomalo”, che propone un metodo ancora più “anomalo” per curare una certa malattia. Il problema da porsi, a mio parere, non è se il suo modo di procedere aderisca o meno ai canoni prevalenti, ma se la terapia che propone sia utile o meno agli altri esseri umani.
Nel momento in cui decidi che lo sia - e questa decisione, lo sottolineo, rimane fra i diritti più inalienabili di ciascuno di noi, che nessun altro ti può imporre – il fatto che ci sia arrivato con metodi più o meno canonici diventa secondario.
Altrimenti accade – come è accaduto nei commenti - che ti senti dire “mah, potrebbe anche essere un’idea interessante, peccato che questo dottore non abbia la minima idea di come presentarla in modo scientifico”. Si è data cioà prevalenza al metodo sul risultato, e di fatto, usando questa giustificazione, ci si libera dall’obbligo di andare incontro alla sua eventuale scoperta.
Se un giocatore della nazionale segna il gol che ci regala la vittoria ai mondiali con un fortunoso colpo di polpaccio tu cosa fai? Festeggi il mondiale con la laringe fuori dai denti, o dici “che schifo, lo ha segnato col polpaccio”, e torni a casa triste e scornacchiato?
Non dimentichiamoci mai, perfavore, di essere prima di tutto uomini.
Massimo Mazzucco