(Due spezzoni del discorso di Obama, sottotitolati in italiano)
In 24 ore Barak Obama è riuscito a capovolgere una situazione per lui disastrosa, trasformandola nella carta che potrebbe anche permettergli di conquistare la presidenza degli Stati Uniti. Sono due giorni che in America non si parla d’altro.
Tre giorni fa è improvvisamente comparso su tutte le televisioni d’America lo spezzone di una predica in cui il pastore della parrocchia di Obama (nero, cristiano protestante) si lanciava in un violento discorso contro “i ricchi bianchi che controllano l’America“, nel quale non era difficile distinguere toni di “razzismo capovolto”: quello che deriva dell’odio innegabile che buona parte dei neri americani prova per i bianchi loro connazionali.
Per un candidato che sostiene di voler unire neri e bianchi, asiatici e ispanici sotto la stessa bandiera, non era certo un buon biglietto da visita.
Colto alla sprovvista, Obama non ha saputo replicare immediatamente all’attacco ... ... che gli è piovuto da ogni parte d’America, per non essersi preventivamente dissociato dal pastore “incendiario” della sua parrocchia. Intervistato in diretta, Obama ha farfugliato qualcosa del tipo “non ero al corrente di queste dichiarazioni“, oppure “e poi comunque il pastore sta per andare in pensione, quindi non mi era sembrato il caso di cambiare chiesa“.
Ma quel pastore conosce Obama da venti anni, lo ha sposato, ha battezzato i suoi figli, ed è stato definito più volte dallo stesso Obama “il suo mentore spirituale”. Obama non poteva quindi sperare di cavarsela con quelle risposte evasive. Ed infatti, in poche ore l’accusa di essere un “razzista al contrario“ gli si è appiccicata addosso in maniera imbarazzante, e rischiava di compromettere definitivamente le sue possibilità di farsi eleggere come candidato democratico. (Con un’etichetta del genere addosso, non avrebbe mai potuto conquistare la maggioranza degli americani nelle presidenziali del prossimo autunno, e questo avrebbe dato il via libera alla nomination di Hillary Clinton).
Ma Obama ha dimostrato di possedere una delle qualità dei grandi leader, che è quella di saper trasformare le più brucianti sconfitte in vittorie sonanti. Bisogna infatti tenere presente che in America l’argomento razzismo è assolutamente tabù: è quello che gli americani definiscono “the gorilla in the room”, il gorilla nella stanza che tutti fingono di non vedere.
Non a caso, nessun candidato fino ad oggi aveva toccato l’argomento della razza, ben cosciente nel rischio che questo avrebbe comportato. Specialmente da parte dello stesso Obama che, essendo nero, si sarebbe immediatamente alienato la simpatia dei potenziali elettori bianchi - i cosiddetti indecisi - dei quali avrà bisogno chiunque voglia vincere le prossime presidenziali.
Nonostante questo, Obama ha dimostrato ieri un notevole coraggio, e invece di distanziarsi - retroattivamente e tardivamente - dalle posizioni del suo pastore, ha affrontato la questione di petto.
Con un discorso calmo e diretto, senza giri di parole, Obama ha detto che quello è sempre stato il suo pastore, e che non ha mai sentito il bisogno di distanziarsi da lui, nonostante si sia trovato spesso in disaccordo con le sue posizioni. Lo stesso cristianesimo insegna – ha ricordato Obama - che non bisogna rigettare chi non è d’accordo con te, ma bisogna cercare di comprendere i motivi della barriera che ti separa. E il mio pastore – ha proseguito Obama - come la mia parrocchia e moltissime altre parrocchie nere americane, non fanno che riflettere il dramma della popolazione nera, piena di rabbia per l’ingiustizia in cui è costretta a vivere. A mia volta, essendo figlio di padre nero e madre bianca, ho conosciuto da vicino l’avversione e la paura che certi bianchi provano per i neri. Tutto questo deve, e può, finire. Ma sta agli americani, e non soltanto al loro presidente, fare lo sforzo per superare la barriera che li divide.
Con questo discorso, spiazzando tutti, Obama si è conquistato la simpatia dell’intero “arco costituzionale“. Persino i più accaniti conservatori - salvo rare eccezioni - si sono dichiarati favorevolmente colpiti dal suo discorso, che ha improvvisamente “alzato il livello delle presidenziali a una quota degna di questo paese”, e che “per la prima volta ha trattato gli americani come degli adulti, e non come dei bambini”.
A sua volta, questo discorso ha fatto apparire la Clinton improvvisamente piccola e insignificante, aggiungendo un notevole handicap alla sua già sfavorevole posizione all’interno del partito democratico.
E’ tutt’altro che certo Obama diventi presidente, ma se questo accadrà sarà stato in gran parte grazie a questa svolta decisiva, che ha messo l’America di fronte a uno dei suoi problemi più ingombranti, mostrando nel contempo un leader capace di affrontare qualunque argomento senza paure e senza ipocrisia.
Più che di John Kennedy, Obama sembra essere l’erede naturale di Martin Luther King e di Robert Kennedy, il cui discorso congiunto è rimasto in sospeso fin dal 1968, anno in cui i due leader furono assassinati a poche settimane di distanza uno dall’altro.
Massimo Mazzucco
Quello che segue è il discorso che Bob Kennedy improvvisò a Indianapolis, di fronte ad un pubblico interamente di neri, nel dare loro l’annuncio dell’omicidio di M.L.King appena avvenuto a Memphis, nel Tennesse. Non tutti sono in grado di citare Eschilo, in una situazione del genere.
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