In un
articolo intitolato
“Guerra e gas naturale. L’invasione di Israele e i giacimenti di gas naturale al largo di Gaza”, Michel Chossudowsky propone un’interessante analisi che porta a leggere l’attuale invasione di Gaza come il culmine - pianificato con gelido cinismo - di un logorante braccio di ferro per ottenere il controllo delle riserve di gas naturale scoperte di recente al largo di Gaza, e quindi di proprietà palestinese.
La cosa paradossale è che a questo punto i palestinesi appaiono come un semplice disturbo aggiuntivo, la cui rimozione non sia il fine ultimo della crociata sionista, ma un mezzo per raggiungere li vero obiettivo, il totale controllo di quello che viene chiamato il "corridoio energetico levantino", nel bacino orientale del Mediterraneo.
Chossudowsky inizia dicendo che
“l'invasione militare da parte dell'esercito israeliano della striscia di Gaza è direttamente correlata al controllo e al possesso delle riserve strategiche sottomarine di Gaza. Questa e una guerra di conquista. Ci sono grandi riserve di gas al largo di Gaza”.
Poi Chossudowsky spiega che
“il British Gas Group” (BG) e la consociata greca Consolidated Contractors International Company (CCC), di proprietà delle famiglie libanesi Sabbagh e Koury, avevano ottenuto nel 1999 dall’Autorità Palestinese i diritti di sfruttamento per 25 anni dei fondali di Gaza. Questi accordi riservavano all’Autorità Palestinese il 10 % dei proventi complessivi.
L'accordo prevedeva la costruzione di un gasdotto per sfruttare i nuovi giacimenti, che sono contigui a quelli già esistenti, di proprietà di Israele.
La questione della sovranità territoriale sui fondali con riserve di gas – prosegue Chossudowsky -
è cruciale. Da un punto di vista legale... ... queste riserve appartengono alla Palestina, ma la morte di Arafat e il crollo dell'Autorità Palestinese hanno permesso ad Israele di stabilire un controllo de facto sulle riserve sottomarine di Gaza.
Il gruppo BG tratta direttamente con il governo di Tel Aviv, aggirando il governo di Hamas per tutto quel che riguarda i diritti di sfruttamento dei nuovi giacimenti.
L'elezione del primo ministro Ariel Sharon ha rappresentato, nel 2001, una svolta cruciale in questa vicenda.
Il diritto di sovranità sui giacimenti fu infatti contestato di fronte alla Corte Suprema di Israele, mentre Sharon dichiarava che Israele non avrebbe mai comperato gas dalla Palestina, affermando che le riserve al largo di Gaza appartengono a Israele. "
Provate a pensare a cosa succederebbe nel mondo se, ad esempio, l’Italia contestasse davanti alla
propria Corte Costituzionale il diritto della Francia di sfruttare i suoi giacimenti al largo di Marsiglia, dicendo che sono nostri.
Nel 2003 Sharon pose il veto ad un accordo che avrebbe permesso alla BG di fornire a Israele il gas proveniente da Gaza.
La vittoria di Hamas nel 2006 portò alla disfatta dell'Autorità Palestinese, che restò confinata in Cisgiordania, sotto il governo-fantoccio di Mahmoud Abbas.
Nel 2006 la BG stava per firmare un accordo per spedire il gas all'Egitto, ma pare che il primo ministro inglese Tony Blair sia intervenuto a favore di Israele per sabotarlo."
Di fatto, sappiamo che quell’accordo non fu mai firmato.
"Nel maggio del 2007 – prosegue Chossudowsky -
il governo israeliano approvò la proposta del primo ministro Ehud Olmert di acquistare gas dalla autorità palestinese. Sul tavolo c'era un contratto da 4 miliardi di dollari, con utili nell’ordine di due miliardi, dei quali uno sarebbe andato ai palestinesi."
Sembrava una soluzione onorevole per tutti.
"Tel Aviv però non aveva nessuna intenzione di dividere gli utili con la Palestina. Una squadra di negoziatori fu messa in piedi dal governo di Israele per stilare invece un accordo diretto col gruppo BG, aggirando sia il governo di Hamas che l’Autorità Palestinese. "Le autorità della difesa israeliana – si giustificò allora il governo - vogliono che i palestinesi siano pagati in beni e servizi, ma insistono che il governo controllato da Hamas non debba ricevere soldi”.
Siamo quindi alle comiche: il Primo Ministro chiede un accordo, il Governo lo firma, ma la Difesa si oppone, accampando motivi di sicurezza che evidentemente nè il Primo Ministro nè il Governo avevano preso in considerazione. D'altronde, non è che siano abituati a vivere nella paranoia, da quelle parti.
“Lo scopo ultimo – conferma infatti Chossudowsky -
era quello di nullificare il contratto iniziale del 1999, firmato dal gruppo BG con l'autorità Palestinese di Arafat.”
Ma il balletto non è finito, e le vere vittime della danza ipnotica continuano a ballare ignare del proprio destino:
“Il nuovo accordo proposto alla BG nel 2007 prevedeva un gasdotto sotterraneo che portasse il gas direttamente allo snodo costiero israeliano di Askelon, trasferendo di fatto ad Israele il controllo delle vendite del gas naturale di Gaza.
Sembrava fatta, finalmente. Noi pompiamo - pensarono gli inglesi - loro vendono, e i palestinesi tornano a coltivare i cedri.
Ma l'accordo, che avrebbe comunque portato qualche soldo nelle tasche dei palestinesi, fallì per l’intransigenza del capo del Mossad, che “per motivi di sicurezza” riteneva necessario precludere ai palestinesi qualunque introito monetario derivante dalle vendite del gas.
A quel punto la BG si ritirò dalle trattative, e nel dicembre 2007 chiuse i suoi uffici a Tel Aviv."
A Israele non restava che invadere, e prendersi con la forza quello che l’intransigenza altrui le impediva di ottenere con regolare contratto.
Chossoudowsky infatti sottolinea che
“il progetto d'invasione della striscia di Gaza, chiamato operazione Piombo Fuso, fu messo in moto nel giugno 2008, ma diverse fonti militari hanno rivelato che l’esercito fosse stato allertato già sei mesi prima”. Ovvero, dal momento in cui era “definitivamente” fallita la trattativa con la BG.
Tanto definitivo fu quel fallimento, che mentre Israele lustrava i cannoni qualcuno contattava segretamente il gruppo BG,
“per riaprire le importanti trattative sullo sfruttamento del gas al largo di Gaza. Di fatto sappiamo – scrive Chossudowsky -
che fossero in corso trattative fra BG e Israele nell'ottobre del 2008, due o tre mesi prima dell'inizio dei bombardamenti, avvenuto il 27 dicembre”.
Chossudowsky non sa dire a che punto siano oggi le trattative, ma sembra chiaro che Israele abbia previsto fin dall’inizio di mettere gli inglesi di fronte al fatto compiuto, obbligandoli a quel punto ad accettare le loro condizioni, pur di vedere qualche dollaro sgorgare finalmente dai loro prezzolati giacimenti.
Chossudowsky acclude una cartina che aiuta a comprendere meglio la lungimirante strategia di Israele, nella cruciale redistribuzione delle risorse energetiche attualmente in corso.
Perchè di questo si tratta, e di null’altro. Chi controlla l’energia, domani controllerà il mondo.
Nel frattempo appare evidente come i reali proprietari dei giacimenti rappresentino poco più di un disturbo temporaneo nel grande quadro strategico di Israele. Se non camminassero e piangessero come tutti gli altri, il problema non sarebbe nemmeno mai sorto.
Talmente determinata appare Israele nell’aver perseguito questa strategia, che sembra non essersi fermata nemmeno di fronte ai propri padrini e alleati, quegli inglesi senza i quali oggi Israele sarebbe solo il nome di una antica tribù sperduta nel deserto.
Ma evidentemente non è questo il tempo di rendere i favori. Ora è necessario accaparrarsi al più presto tutte le risorse ancora disponibili, prima che inizi il grande Armageddon.
Massimo Mazzucco