IL CONFLITTO DI INTERESSI, E GLI INTERESSI NEL CONFLITTO
Halliburton accusata di frode per quasi due miliardi di dollari. Chi è Dick Cheney.
11.08.04 - Berlusconi dagli americani ha solo da imparare. Se si credeva tanto astuto, nell’aver aggirato il problema del conflitto di interessi modificando la legge che lo determina, deve misurarsi con un certo Richard Cheney, detto Dick, attualmente in carica alla vice-presidenza degli Stati Uniti.
Cheney è comparso accanto a George W. Bush una ventina di secondi dopo che quest’ultimo è stato candidato alla presidenza dal partito repubblicano, nell’estate del 2000. Tanto veloce è stata la sua materializzazione, e tanto assidua è stata fin da allora la sua presenza accanto all’enfant prodige di casa Bush, che sembrava quasi che fossa stato lui a scegliere George, e non viceversa.
Due problemi si posero immediatamente per Cheney, nel momento in cui la stampa nazionale si accorse che, ... ... da una parte, egli era il CEO (amm. delegato, con pieni poteri) della Halliburton, società “tentacolare” coinvolta in mille attività para-governative, e dall’altra era cittadino texano, quando la costituzione vuole giustamente che presidente e vice-presiedente vengano almeno di due stati diversi.
Nessun problema: anche se un pò a malincuore, Cheney diede le dimissioni dalla Halliburton, consolandosi con una liquidazione di trentaquattro milioni di dollari, stabilita dall’amministratore uscente, cioè lui stesso. E poco prima, quando la Halliburton gentilmente aveva avvisato i suoi azionisti che i titoli avrebbero potuto subire un “leggero ribasso” (in seguito ad alcune ipotesi di illeciti che iniziavano a circolare), Cheney si era premurato di vendere tutto ciò che aveva, portandosi a casa altri 18 milioni di dollari in contanti, senza per questo poter essere accusato di inside trading. (Quando mai una società annuncia un “possibile ribasso delle sua azioni”, è ancora tutto da scoprire).
Per quel che riguardava invece il secondo problema, Cheney semplicemente spostò la sua residenza in uno stato vicino, dopodichè continuò tranquillamente a vivere a casa sua nel Texas.
Cheney era arrivato alla Halliburton – vera e propria multinazionale di servizi petroliferi - nel 1995, e grazie alle sue conoscenze a Washington (era stato, fra le altre cose, ministro degli esteri sotto Bush padre, durante la prima guerra del golfo, al posto che oggi è di Powell), aveva portato la società ad incrementare del 90 per cento il suo fatturato, mentre passava da una media di qualche centinaio di milioni di dollari all’anno di tasse pagate, addirittura ad un rimborso tributario di circa 80 milioni di dollari. Ovvero, aveva raddoppiato il fatturato, smesso di pagare le tasse, e si prendeva pure il contentino a fine anno.
Come già Donald Rumsfeld, che ha venduto armi a Saddam sin dal 1983, anche la Halliburton di Cheney ha fatto affari d’oro con l’Iraq. Solo che ha dovuto farli tramite una serie infinita di sussidiarie, tutte con sede alle Cayman, Bahamas o giù di lì, poichè l’embargo stabilito – guarda caso - dallo stesso Cheney, alla fine della prima guerra del Golfo, impediva ufficialmente alle società americane di mettersi in affari con il tiranno di Baghdad. Ovvero, gli altri non potevano, ma lui ci riuscì lo stesso. (Sempre il caso ha voluto che la società che gestiva l’accounting di questo castello di carte azionario – 44 società diverse - cioè la Anderson-Cooper, fosse la stessa che è poi finita nei pasticci per aver gestito un simile castello – ma questo di ben 629 società - chiamato Enron).
Ma tutto questo non è nulla, se paragonato al balzo in avanti che ha fatto la Halliburton da quando Cheney è tornato a Washington nelle vesti di vice-presidente. Oggi Halliburton fattura circa 8 miliardi di dollari all’anno, avendo quindi quintuplicato gli introiti rispetto al 2000, anno della dipartita di Cheney. (A rigor di logica bisognerebbe concludere che o Cheney, come vice-presidente, c’è dentro fino al collo, oppure che come CEO non valesse nemmeno poi granchè).
Certo, nelle fortune Halliburton non va dimenticato il provvidenziale intervento di Osama, amico di vecchia data, che lanciando al momento giusto i suoi scagnozzi contro le torri di New York, ha spalancato le porte all’armata americana in Afghanistan. E fu proprio Cheney, trovatosi in quel giorno di Settembre – sempre casualmente - al comando della nazione (Bush era in Florida a leggere favole ai bambini, e gli fu impedito di tornare a Washington fino a sera inoltrata), a non riuscire ad alzare un solo caccia in più di mezz’ora, con le torri già in fiamme, e con Pentagono e Casa Bianca minacciati da un terzo aereo, dirottato, che faceva rotta dritto su di loro.
Conquistato l’Afghanistan, la Casa Bianca insediava a governarlo un ex-socio della Hallliburton, tale Hamid Karzai, il quale per sdebitarsi non trovava di meglio che assegnare subito alla stessa Halliburton la commessa per costruire il grande gasdotto dall’Uzbekistan all’Oceano Indiano. (Che era poi il motivo principale per aver invaso l’Afghanistan, oltre a far ripartire la produzione di oppio, che era stata improvvisamente congelata dai talebani, evidentemente in rotta con gli ex-amici di Washington).
Ma il piatto forte della partita era l’Iraq, chiave di volta dell’intero riassetto strategico auspicato pubblicamemnte dal PNAC (Project for the New American Century, di cui Cheney è stato uno dei padri fondatori). Era infatti lo stesso Cheney a piantare letteralmente le tende alla CIA, nel gennaio dell’anno scorso, finchè non ne uscì con in mano le famose “prove” - che poi Powell esibì all’ONU - che l’Iraq avesse le famose armi di distruzione di massa. Quella piccola bugia, alla fine, è costata “soltanto” le dimissioni di Tenet, il quale – nominato ancora da Clinton - era comunque in lista di partenza sin dall’inizio. (Adesso si è finalmente capito perchè lo avessero ”tenuto” fino ad allora).
Veniamo ora allo “scandalo” del giorno. I ragazzi americani che crepano in Iraq, mandati da Cheney a difendere l’occidente da un pericolo che ha inventato lui, sono quasi tutti volontari, e sono regolarmente stipendiati dal governo USA. Esiste cioè un regolare contratto fra il Pentagono (Ministero della difesa), e le varie organizzazioni che li rappresentano, ed il rapporto è talmente basato su criteri economici, che abbiamo scoperto, nel tempo, che i militari americani debbono addirittutra comprarsi coi loro soldi dai giubbotti antiproiettile alla carta igienica, o alla stessa acqua da bere. A la guerre comme a la guerre finchè vuoi, ma business is business.
Da quando la guerra è iniziata, la Halliburton ha ricevuto dalle autorità americane praticamente tutte le commesse relative all’Iraq, fra cui ovviamente la gestione dell’intero apparato petrolifero del paese. Ed il più delle volte non c’ è nemmeno stata l’asta di facciata, che di solito serve a giustificare, almeno formalmente, questo favoritismo spudorato.
Fra i mille contratti oggi in vigore fra privati e governo, c’ è anche quello che il Pentagono ha stipulato, all’inizio della guerra, con la società Kelloggs, per l’approvigionamento di viveri, bevande,tende da campo e docce calde per i suoi 140.000 soldati. E pare che ad oggi, scontrino più scontrino meno, la Kellogs si sia “sbagliata” di un paio di miliardi di dollari circa, nel fatturare il Pentagono. Se ne è lamentato lo stesso Rumsfeld, che si rifiuta di pagare un solo dollaro in più, finchè i conti non torneranno a quadrare un pò meglio.
Inutile dire che anche la Kellogs è una creazione di Cheney, ovvero una delle 44 sussidarie, esentasse naturalmente, della Halliburton.
Ora uno si domanda: se esistono persone che, pur di perseguire i propri interessi, riescono a mettere in piedi un baraccone del genere, scatenando addirittura una guerra tutt’altro che necessaria, per poi mandarci a morire i propri connazionali, mentre gli fanno pure la cresta sulle bibite, noi dobbiamo stare ancora qui a chiederci se sia davvero possibile che le Torri “se le siano buttati giù da soli”?
Non rischiamo piuttosto di scoprire che alla fine questo sarà stato l’atto più compassionevole di tutta l'operazione?
Massimo Mazzucco