Il caso della Georgia, la cui caratteristica principale sembra essere l’ambiguità politica – è Putin il “cattivo” di turno, oppure è stato vittima della propaganda occidentale? – in realtà ricade nella più classica “casistica bellica” dell’intera storia dell’umanità.
Non a caso il termine “casus belli” risale ai tempi dell’Impero Romano.
A partire dal Medio Evo in poi, diventano sempre più rari i casi in cui una nazione ne abbia improvvisamente aggredito un’altra per sua semplice e dichiarata volontà di conquista. C’è sempre stata di mezzo una scusa, che giustificasse in qualche modo un gesto che evidentemente l’uomo – da un certo punto della storia in poi – ha iniziato a riconoscere come profondamente immorale e illegittimo.
La scusa più comune è quella di “dover difendere” degli esseri umani sottoposti a “ingiustizie” o “vessazioni” da parte di altre nazioni, alla quale si affianca la “necessità di doversi difendere da una minaccia incombente”, che naturalmente non si è ancora manifestata.
In questo senso Hitler fu un vero maestro, riuscendo a utilizzare sia la prima scusa, per invadere i Sudeti, ... ... che la seconda – “lebensraum” - per supportare la sua sete di dominio mondiale.
Più micidiale ancora è il cocktail delle due giustificazioni presentate nello stesso momento, come nel caso dell’Iraq: gli USA hanno invaso il paese perchè volevano contemporaneamente “liberare gli iracheni dalla dittatura di Saddam”, e “difendersi da un suo eventuale attacco con armi di distruzione di massa”.
Irresistibile la necessità, e impossibile a quel punto opporsi pubblicamente a quella scelta.
Naturalmente, il mezzo per veicolare l’operazione rimane, da sempre, il controllo della pubblica informazione. Che si trattasse di un editto dell’imperatore, che annunciava “la necessità di liberare Gerusalemme dal tallone degli infedeli” – sempre loro, poveracci – o che si trattasse di propaganda mediatica vera e propria (si seppe in seguito che le “interviste disperate” dei cittadini dei Sudeti, che Hitler mostrò nei cinegiornali tedeschi, erano state realizzate negli studios di Berlino), è sempre l’informazione deformata a garantire la riuscita dell’operazione, rendendo accettabile la guerra a coloro che devono mandare i propri figli a combattere sul fronte.
A questo punto diventa quasi futile stabilire se sia Putin il cattivo di turno, o se sia stato vittima della propaganda occidentale. Il fatto stesso che avesse dato, in passato, il passaporto russo ai cittadini del sud Ossezia, non era che la premessa per poter eventualmente intervenire “in loro difesa”, mentre le “proteste” occidentali, che si appellano sdegnate al rispetto della sovranità georgiana, non sono che un’ipocrita copertura per la rabbia provata nel vedersi eventualmente sfuggire il controllo della regione.
Ma sempre di potere e di conquiste si tratta.
Nel frattempo, nessuno si preoccupa delle migliaia di morti innocenti che ci vanno ogni volta di mezzo, pagando il prezzo di una spartizione di potere della quale non godranno comunque in pieno i benefici. Che siano governati da una potenza piuttosto che dall’altra, i cittadini di ogni parte del mondo resteranno comunque schiavi di un sistema di potere che sfrutta le loro fatiche in cambio di un tozzo di pane. Oppure che li utilizza, appunto, come carne da macello per ampliare il proprio raggio di potere.
Questo pone un problema di carattere universale: come potrà l’uomo affrancarsi un giorno dalla schiavitù di chi lo comanda, finendo regolarmente per pagare sulla propria pelle gli scontri di potere che avvengono sopra la sua testa?
Le Nazioni Unite sanciscono il “diritto all’autodeterminazione dei popoli” in maniera tanto roboante quanto poi si dimenticano di chiarire che cosa si intenda per “popolo”. Gli Osseti sono un “popolo” solo perchè condividono la stessa etnia e gli stessi desideri di indipendenza? E se all’interno di una stessa etnia convivessero religioni differenti, a chi tocca decidere dove inizi un “popolo” e dove ne finisca un altro?
Procedendo di questo passo, non si arriva forse a porre il problema del diritto all’autodeterminazione del singolo individuo?
Massimo Mazzucco
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