di Giorgio Mattiuzzo
Sono passati cinque anni da quei giorni di luglio a Genova, da quel G8 segnato dalla morte di un ragazzo e da scontri di piazza tra manifestanti e polizia. Ma il caso ha voluto che poche settimane dopo avvenisse un enorme cataclisma mediatico, che da quel momento in poi ha agito da grande silenziatore, da custode di ogni segreto e da giustificazione per ogni peccato: l'11 settembre.
Come un'esplosione nucleare, ha accecato tutte le comunicazioni rispetto al
prima, aprendo la via ad ogni genere di censura non dichiarata, legittimando moralmente l'asservimento dei mezzi di comunicazione di massa ai detentori del potere.
Nessuno nega che ogni evento politico e sociale, a partire dal 12 settembre 2001, sia in qualche modo connesso agli attacchi del giorno precedente. Tuttavia poco ci si sofferma a riflettere ... ... sui legami tra 11 settembre e quello che è accaduto prima, in forza di quella frattura totale di cui si è detto.
Ricorre il quinto anniversario di quei giorni orrendi. Gli anniversari forse sono una forma di retorica, ma se la retorica serve a mantenere la memoria vigile, allora noi – per una volta – vogliamo essere retorici.
E vogliamo farlo nel solo modo che conosciamo: chiedendo verità. E nient'altro.
Quel famoso G8 fu, a guardarlo con mente lucida, una vera follia. L'aria che si respirava prima del 20 luglio 2001 era tesa, ma anche irrazionale.
Da un lato i contestatori, quel variegato, eterogeneo, incoerente movimento che, paradossalmente, trovava la sua unità materiale in forza della presenza di quei capi di Stato.
Dall'altro l'apparato Stato-media. Per giorni e giorni il governo continuò a emettere comunicati su comunicati, con lo scopo evidente di terrorizzare i genovesi e gli italiani tutti. La minaccia incombeva, i barbari stavano per calare ancora. Sulla Liguria stavano convergendo tutti i nemici che i governi avessero fino ad allora fronteggiato: anarchici, comunisti, islamici, terroristi.
Tutti sentivano che qualcosa sarebbe successo. O meglio: i giornalisti così tanto convinsero il pubblico dei deliri del governo che alla fine si arrivò a prendere per vera la notizia che i “no-global” avevano preparato un piano diabolico. Avrebbero attaccato a dei palloncini sacche di sangue infetto per far ammalare non si sa chi. Un delirio incontrollato.
Genova non conobbe misure di sicurezza tali nemmeno quando, Repubblica marinara, ebbe a fronteggiare nemici di ogni sorta. 300.000 uomini delle forze dell'ordine (il doppio dei soldati usati per invadere l'Iraq). I tombini sigillati. I cancelli e le grate di ferro a chiudere la zona rossa. I pass agli abitanti per poter tornare a casa loro, la sera. I controlli e le perquisizioni, anche di notte, nelle case dei cittadini. Container per chiudere l'accesso a diverse zone della città. Docce di decontaminazione all'Ospedale San Martino. Missili e mine anti-sottomarino in porto. Sospensione del trattato di Schengen e chiusura delle frontiere. Addirittura erano pronte 200 bare. In caso di intensi lanci di estintori.
E non solo questo.
Spazio aereo interdetto e batterie di missili terra aria. Eh già, il caro Presidente egiziano aveva avvertito che “qualcuno” voleva dirottare e far schiantare aerei civili da qualche parte. Ha sbadatamente omesso il dove e il quando.
Tutto questo per difendersi da cosa? Come abbiamo avuto modo di imparare dopo l'11 settembre, questa domanda non ha mai una risposta semplice. C'erano le “tute bianche”, che ogni santo giorno andavano in televisione a descrivere per filo e per segno cosa avrebbero fatto. Il fine ultimo era attraversare la “linea rossa”, il limite invalicabile. Nessun giornalista ha naturalmente mai chiesto né a loro né ai poliziotti cosa mai sarebbe potuto accadere una volta superata la linea rossa.
Poi c'erano gli anarchici. Ecco, questo dimostra il provincialismo della politica italiana. E' dall'assassinio di re Umberto che il Ministro degli Interni tira fuori gli anarchici quale causa di ogni sventura. Dovremmo imparare dagli Stati Uniti: un tempo c'erano Sacco e Vanzetti, ma adesso Bush non si sognerebbe mai di varare un
Patriot Act per fermare gli anarchici. Facciamo sempre la figura più meschina.
Poi c'erano loro. Neri. Pochi. Invisibili. Veloci. Camaleontici. Li chiamano Black Bloc.
Ricapitolando, c'erano trecentomila poliziotti che sapevano da settimane chi cercare: o dei tizi vestiti di bianco che si aggrappavano alle reti o dei tizi vestiti di nero che si muovevano al di fuori dei cortei per distruggere i simboli del capitalismo. Un lavoretto facile facile. Si manda un elicottero per aria, questo via radio segnala al reparto più vicino il luogo del crimine, il reparto coglie in flagranza dieci ventenni che spaccano una vetrina. Veloce, rapido e indolore.
Per chi a Genova non c'era, l'unica fonte di informazione sono stati i giornali. E le tv. Decine di telecamere accompagnavano altrettanti menagrami in attesa che succedesse qualcosa per mettere in diretta nazionale il loro bel faccino arrossato dai lacrimogeni.
Finalmente i manganelli smettono di dondolare inerti, sulla folla piovono gli agenti chimici sparati dalla polizia, le falangi dell'ordine cominciano a schierarsi a difesa dei buoni. Ed infine la catarsi, dopo settimane di tensione latente. I black bloc iniziano a distruggere indisturbati, la polizia picchia, i manifestanti lanciano sassi. Il fumo e le barricate. Comunisti e fascisti. Guardie e ladri. Tutto secondo copione. Finché qualcosa va storto. Un carabiniere uccide un manifestante. Momenti di silenzio, poi tutto ricomincia, il fumo e i manganelli. Comunisti e fascisti. Guardie e ladri.
Le tv e i giornali iniziano. Genova devastata. G8 finito nel sangue.
Solo che questa volta è diverso. Questa volta migliaia di telecamere sono in funzione. E non sono della Rai o di Mediaset o di La7. E siamo nel 2001. Non occorre la televisione per fare televisione. Non servono i giornalisti per fare informazione. Servono solo un cervello, un computer e un pizzico di dirittura morale e metti alla berlina tutte le menzogne scodellate quotidianamente in edicola. Questa volta è diverso perché non si deve più accettare la versione ufficiale per mancanza di altre fonti.
E, potendo guardare indietro, c'è stato molto da imparare dalle tecniche di disinformazione.
Che tutto fosse già stato scritto sembra quasi evidente. 300.000 poliziotti mandati a Genova per fermare i Black Bloc e non uno viene identificato, fotografato, arrestato. Niente.
Vengono addirittura mandati i Carabinieri paracadutisti della Folgore: il meglio del meglio. Peccato che non riescano a far niente, perché
persero l'orientamento. Mentre il terribile blocco nero, un agglomerato incoerente di ragazzi che vengono da ogni parte del mondo e che probabilmente non avrebbero nemmeno potuto chiedere informazioni ai passanti, si spostano come i commando dei
Navy Seals. Assaltano il carcere mettendo in fuga i Carabinieri, armati di pietre e fazzoletti neri, e lo fanno sotto l'occhio delle telecamere (naturalmente).
E poi tutti gli altri indemoniati che hanno distrutto la città. Per mettere a ferro e fuoco il luogo più sorvegliato, monitorato , presidiato del mondo, quanti ventenni armati di molotov sono necessari? Molti, davvero molti. Sicuramente qualche migliaio, considerando che dovevano impegnare simultaneamente almeno 100.000 poliziotti. Dopo cinque anni, il numero degli arrestati ha raggiunto la vertiginosa cifra di 26. Esattamente: l'unico processo celebrato (e ancora in corso) per le devastazioni di quei giorni ha coinvolto 26 persone. In una normale domenica di campionato le denunce sono molte di più. E c'è da aggiungere che molti sono stati prelevati dagli ospedali, non arrestati mentre facevano qualcosa. A questo punto le cose sono due: o i 26 erano realmente dei
Navy Seals, o i 300.000 poliziotti si stavano facendo la manicure. La seconda ipotesi pare improbabile, visto l'enorme numero di manifestanti colpiti da manganelli e intossicati dagli agenti chimici. Quindi i 26 si sono addestrati in America.
Alla fine i processi saranno più d'uno ma, con un colpo di scena degno della miglior commedia dell'arte, tutti a carico dei responsabili dell'ordine pubblico.
Uno riguarda l'irruzione nella scuola Diaz da parte della polizia. Un altro invece i fatti avvenuti nella caserma di Bolzaneto. Un terzo è a carico di un ufficiale di polizia ed alcuni agenti per aver sfigurato a colpi di manganello un ragazzo che non stava facendo niente.
Se si osserva il quadro generale, da lontano, non si può non notare che 300.000 poliziotti si sono rivelati completamente inutili nel prevenire qualsiasi tipo di violenza, ma che nel frattempo hanno esercitato una violenza incontrollata contro persone inermi. Qui non si parla di detenzioni eccessive, di cariche dure. Abbiamo assistito a pestaggi in piena regola: non c'è altro modo per definire quattro poliziotti che battono con furia cieca una persona a terra.
Alcuni segni premonitori erano già presenti prima di quei giorni. Ad esempio, un fatto successivamente passato sotto silenzio, perché minore rispetto a ciò che accadde, è quello dell'adozione, invece del solito sfollagente, del tonfa, il manganello con l'impugnatura a “T”.
Esiste un Decreto del Presidente della Repubblica (n. 359 del 1991) che fa chiarezza sul tipo di sfollagente che deve essere utilizzato:
lo sfollagente in dotazione ordinaria di reparto deve essere in gomma o materiale sintetico, cilindrico, internamente cavo, con impugnatura scanalata, anello in lamierino con doppia campanella, moschettone e cinturino di cuoio fissato all'attacco o alla base dell'impugnatura, diametro di cm 3 e lunghezza compresa tra cm 40 e cm 60. Questo tipo di struttura è pensata perché il manganello non sia uno strumento letale, cosa che nella gestione dell'ordine pubblico si tende ad evitare al minimo, perché del tutto controproducente ai fini del “controllo della piazza”.
Importante è ricordare che un tonfa non risponde a queste caratteristiche, ed è quindi illegale. Ma molto più importante è sapere che il tonfa non è uno sfollagente, come erroneamente si crede, ma un'arma tradizionale giapponese, di Okinawa, come il bastone lungo, i nunjaku e la katana. Di certo non è di gomma e vuoto, anzi. Ed è un'arma particolarmente efficace. Se ben maneggiato, consente di difendersi ed attaccare sia corpo a corpo che ad una distanza media. Poiché lo si fa ruotare tenendolo per l'impugnatura, il tonfa può raggiungere una velocità molto alta prima di colpire. Di molto superiore a quella che viene impressa allo sfollagente tradizionale con il solo movimento del braccio.
Tuttavia appare del tutto inutile in servizio di ordine pubblico: nella tipica formazione a falange utilizzata dai reparti mobili non esiste lo spazio materiale per poter utilizzare il tonfa, che infatti, come le immagini dimostrano, in realtà veniva maneggiato come un normale bastone. Solo che a questo punto il tonfa diventa controproducente, perché scomodo e sbilanciato, nonché estremamente facile da perdere, non avendo il cinturino di cuoio che lo assicuri al polso né un'impugnatura adatta.
Ma allora perché è stato utilizzato? Analizzando i filmati una spiegazione potrebbe essere data. Come si vede molto spesso, Polizia e Carabinieri non caricano ordinati, ma si lanciano in inseguimenti singoli contro manifestanti in fuga. In questo caso l'utilizzo del tonfa diventa comprensibile, per due motivi. Se tenuto lungo il braccio, diventa un'arma molto discreta, ma efficace: si può colpire con l'estremità che spunta di fronte alla mano. In una collutazione questo metodo risulterebbe quasi invisibile dall'esterno (magari a qualche telecamera non accreditata che non aspetta altro se non vedere la mano del Carabiniere alzarsi brandendo il manganello) non richiedendo che un piccolo movimento del braccio, ma ha conseguenze devastanti su chi viene colpito, soprattutto se il colpo investe il plesso solare o i reni. Se tenuto dall'estremità opposta a quella dell'impugnatura può essere usato come un vero e proprio martello, moltiplicando i già pesanti effetti dell'arma.
Dunque abbiamo una situazione di questo tipo: la polizia usa un'arma illegale e dagli effetti micidiali, che però risulta quasi inutile nelle normali tecniche di contenimento delle manifestazioni. Ed infatti queste tecniche non vengono utilizzate, a favore di collutazioni corpo a corpo, nelle quali il tonfa è utilissimo.
Non è difficile scorgere la volontà da parte di chi doveva gestire la piazza di colpire per far male. Usare un tonfa su una persona significa semplicemente giocare con la sua vita.
Non va dimenticata nemmeno la fondina ad estrazione rapida in dotazione in quei giorni all'Arma dei Carabinieri. Di solito la polizia, pur essendo obbligata ad avere con sé la pistola di ordinanza, nelle manifestazioni fa in modo che il suo utilizzo sia estremamente difficoltoso, e infatti si vede che l'arma viene fissata con un bel po' di giri di nastro adesivo (gli stessi agenti di Polizia a Genova ricorsero a tale metodo, semplice ma utile).
Questo perché si vuole evitare che in un tafferuglio qualche manifestante lesto di mano prenda possesso della pistola e inizi a sparare addosso ai poliziotti. E poi perché si fa in modo che il singolo agente non abbia modo di estrarre la pistola con facilità, magari preso dal panico. Sembrerebbero norme di buon senso, ma non per i Carabinieri, che scelgono di fare esattamente l'opposto. E
il caso ha voluto che un proprio un Carabiniere, ferito, al primo momento di difficoltà vera, fronteggiato da alcuni manifestanti (cioè nelle condizioni tipiche di un'operazione di ordine pubblico) abbia estratto la pistola, sparato e ucciso.
Non sono mancati nemmeno i classici trucchetti anni '70, come per esempio far vestire un poliziotto di nero e col volto coperto, mandarlo a far casino in mezzo ai manifestanti per poi cogliere la ghiotta occasione e scatenarsi. Solo che negli anni '70 i manifestanti non avevano la possibilità di filmare gli agenti provocatori che parlottano con gli agenti in divisa. Nel 2001 sì.
Infine arriviamo al capitolo “prove false”. I 300.000 agenti, non essendo riusciti ad arrestare un solo black bloc, hanno pensato bene di fabbricare un consistente numero di prove false per avere la legittimazione ad azioni di pestaggio di massa come non se ne vedevano da tempo. Alla scuola Diaz sono entrate decine di poliziotti che hanno pestato a sangue tutti i presenti (a sangue, perché sui muri della scuola erano ben visibili le impronte di sangue di mani e teste) e poi, vista la feroce resistenza opposta dagli occupanti, hanno smontato tutti i computer e preso a manganellate gli hard disk. Poi hanno testimoniato di una sassaiola inesistente, hanno portato come prove molotov trovate in un giardino pubblico il giorno prima ed infine hanno inscenato un finto accoltellamento ai danni di un agente.
E come dimenticare la piccola bottega degli orrori, dove finalmente le forze dell'ordine sono riuscite a dare una lezione come si deve a tutti i barboni che avevano raccattato per strada? A Bolzaneto, la caserma a tempo determinato, il Governo, il Ministero degli Interni e la Polizia hanno dato veramente il meglio di sé. Sapevate che se divaricate le dita di una mano ad una persona potete aprirle la carne per 5 centimetri? E che se vi gettano nella cella gas urticante-asfissiante non morite? E che in fase di arresto è possibile che un vostro piede si fratturi (ma non chiedete come)? E che potete avere come suoneria del cellulare “Faccetta Nera”?
Sicuramente le accuse saranno state gravi per meritarsi questo trattamento... Certamente. Ecco i reati per cui erano state arrestate quelle persone. Il più contestato è quello di essere
zecca figlio di puttana stronzo comunista di merda bombarolo di merda lurido comunista negro di merda schifoso frocio, e tutto in una volta sola. Le donne invece più spesso vennero incriminate per essere
puttane zecche bocchinare sporche bastarde.
Qualcuno si chiederà che fine ha fatto il processo per l'omicidio di Carlo Giuliani. Il fatto è che non c'è mai stato alcun processo. Legittima difesa, archiviato ancora prima di iniziare. A molti la morte del ragazzo potrà sembrare chiara. Esiste un filmato in cui si vede Giuliani vicino al Defender dei Carabinieri, si sente un colpo di pistola, si vede il lampo e il ragazzo morto.
Ciò che è ovvio, quasi sempre è sbagliato.
L'autopsia ha detto che Giuliani è morto per un colpo di pistola che gli ha attraversato il capo dallo zigomo alla nuca. Caso chiuso. E invece no.
Come abbiamo scoperto due mesi più tardi, nella zona operativa di sovversivi, anarchici, terroristi, le leggi della fisica non valgono più. La regola vale anche in questo caso.
Le pallottole standard per le forze di polizia sono le 9 mm NATO, dette anche parabellum oppure full metal jacket. Gli effetti di questa pallottola sono ben conosciuti. Solo che sul corpo di Giuliani non hanno fatto niente di tutto ciò che di solito fanno. Quindi i periti, dopo aver scartato l'ipotesi del colpo diretto, hanno introdotto la teoria del colpo di rimbalzo. Rimbalzo dove? Sull'estintore che Giuliani teneva sollevato sopra la testa, è chiaro. Peccato che l'estintore non porti segni di impatto alcuno. I periti allora, non paghi, hanno osservato tutti i video a loro disposizione ed hanno stabilito che la pallottola è stata sparata verso l'alto e, sfortuna, ha incocciato un laterizio che volava da quelle parti proprio in quel momento, è stata deviata verso il basso e si è conficcata nel volto di Giuliani. A volte il destino è cinico e baro. Ma la matematica no:
un'analisi tecnica del video che riprende la scena dimostra come questa ricostruzione non stia in piedi nemmeno con la colla.
Hanno poi dimenticato di chiedersi perché sulla fronte c'è una strana ferita, comparsa
dopo che la polizia circonda il corpo, perché vicino alla testa compare un sasso parecchi minuti
dopo l'uccisione, perché sul muro della chiesa di piazza Alimonda c'è un foro di proiettile... Insomma, della morte di Carlo Giuliani non sappiamo ancora niente, dopo cinque anni. I genitori e tutti coloro che chiedono verità stanno ancora aspettando di sapere molte, troppe cose: non si sa cosa sia successo realmente in piazza Alimonda prima della fuga dei militari che ha dato origine a tutto; non si sa quanto lontano fosse Carlo Giuliani dal Defender; non si sa se veramente ci fossero, a pochi metri dalla jeep, ufficiali dei Carabinieri appartenenti a reparti speciali; non si sa chi veramente abbia sparato; non si sa in che modo il proiettile abbia colpito Carlo Giuliani; non si sa l'origine della misteriosa ferita.
Una cosa la sappiamo però. Non appena sono arrivate a piazza Alimonda le telecamere del Tg5, un manifestante ha iniziato a gridare ai poliziotti “assassini!”. A pochi metri dalla telecamera un poliziotto grida di rimando al ragazzo “l'hai ammazzato te, col tuo sasso. Bastardo!” Il poliziotto inizia a rincorrere il manifestante che scappa e dopo pochi metri si dilegua, mentre il poliziotto torna indietro. Ecco, sappiamo almeno questo: in Italia ci sono così tanti casi di omicidi irrisolti perché i poliziotti sono troppo ciccioni per inseguire i colpevoli.
Da un punto di vista mediatico, il G8 del 2001 è stato l'antecedente diretto dell'11 settembre. Esistono due realtà: quella ufficiale e quella alternativa. I più grandi apparati di sicurezza vengono messi alla berlina da quattro uomini qualunque armati di coltellini o di sassi. Esiste una versione ufficiale, ma che forse sarebbe meglio chiamare convenzionale: non esiste in realtà nessun rapporto ufficiale che descriva ciò che è accaduto. Quella che viene definita versione ufficiale è il prodotto della simbiosi tra media e potere, che lascia a tv e giornali il compito di ricreare la realtà in funzione dell'utile. La versione ufficiale non è scritta in alcun luogo, non esiste, è solo il frutto di anni di meticoloso lavoro disinformativo e col tempo diviene conoscenza comune, dato di fatto, evidenza inappellabile. Se chiediamo a una persona qualunque cosa è successo a Genova in quei giorni, si sentirà parlare di scontri e devastazioni, e di un manifestante ucciso. Ma certamente nessuno saprà che sono finite sotto processo solo 26 persone e che quindi o non sono avvenute le devastazioni di cui si parla, o la polizia ha voltato la faccia quando qualcuno spaccava una vetrina.
Che in realtà non si sa nemmeno chi abbia sparato il proiettile che ha ucciso Carlo Giuliani.
Che in realtà non sappiamo niente, se non che tutto quello che ci viene detto è semplicemente falso.
Così come per l'11 settembre, non è stata necessaria alcuna legge speciale per eliminare la verità. E' bastato tacere e far lavorare i media, ed ecco che, come per magia, il 90% della popolazione crede che a Genova orde di invasati abbiano attaccato la polizia, che in America 15 arabi abbiano piegato la superpotenza mondiale.
E se qualcosa non torna, si tira fuori il coniglio dal cilindro: incapacità e sfortuna. L'incapacità di chi deve controllare e la sfortuna che fa accedere cose incredibili. Un pericoloso miscuglio che in quell'anno tragico ha permesso ai terroristi di tutto il mondo di infierire sulla democrazia come nemmeno l'URSS era riuscita a fare.
Giorgio Mattiuzzo (Pausania)
Fonti:
Piazza Carlo Giuliani
Le controinchieste
Piazza Alimonda: niente da archiviare
Genova 2001: supporto al team legale
Inchiostro G8
Appello legale G8
Su Luogocomune:
I “comunisti”, i “fascisti” e piazza Alimonda
Genova. 5 anni dopo. Quale verità per piazza Alimonda?