Frustrati da decenni di soprusi ininterrotti, nati e cresciuti nello stesso ribollire di una spirale infinita di violenza, i palestinesi hanno iniziato a comprendere di essere in quel modo la causa involontaria dei loro stessi problemi.
Finché un palestinese lancerà un solo sasso, gli israeliani potranno sempre sostenere di mettere in atto la repressione “in difesa e a salvaguardia della propria sicurezza“.
Ma nel momento in cui i palestinesi perseguissero i loro diritti attraverso la strada della non-violenza, verrebbero a togliere agli israeliani la scusa stessa per trattarli come li stanno trattando ormai da decenni: prigionieri in casa propria.
E’ quello che è accaduto in un piccolo ma significativo episodio, l’altro giorno, sulla strada di Betlemme, ... ... quando un gruppetto di 10 palestinesi, invece di prendere di mira come al solito i soldati di guardia ai posti di blocco, ha rimosso il grande masso che bloccava le comunicazioni con il villaggio vicino, per poi mettersi in pacifica attesa di un bulldozer israeliano, che sarebbe certamente venuto per rimetterlo a posto.
Con loro grande sorpresa, i palestinesi si sono ritrovati al loro fianco un attivista israeliano, che nella premessa della non-violenza ha difeso volentieri i loro diritti, schierandosi apertamente accanto a loro.
Abbiamo scritto più volte come in realtà la soluzione possa venire solo dall’interno di Israele stesso, nel giorno in cui i sostenitori del diritto palestinese alla loro terra riuscissero in qualche modo a contrapporre la propria filosofia a quella fondamentalista e repressiva, finora dominante.
L’episodio di Betlemme diventa ancora più significativo in luce di una recente risoluzione della Corte Suprema israeliana, che ha imposto la rimozione di 18 chilometri del famoso “muro”, attorno al villaggio di Bilin (West Bank, a nord-est di Gerusalemme), in quanto “il transito dei palestinesi in quella zona non avrebbe rappresentato un rischio immediato per la sicurezza nazionale”.
In altre parole, mostrando di perseguire i propri diritti senza ricorrere alla violenza, i palestinesi tolgono ad Israele la ragione stessa - o la scusa stessa, secondo i punti di vista - per mantenerli in un vero e proprio stato di cattività, non lontano da quello delle bestie nei nostri moderni “zoo filo-ambientali“, in cui i leoni hanno tre alberi simili a quelli della savana, sotto i quali accontentarsi di fingere di essere i re della foresta. Ma alla sera, lontano dagli occhi dei turisti inconsapevoli, arriva il forcone per ricacciarli nella tana.
Pare che il messaggio non violento si stia espandendo rapidamente nei villaggi oppressi dall’occupazione israeliana. In fondo, con quel metodo, un certo Gandhi è riuscito a liberare una intera nazione, grande 100 volte la Palestina stessa.
E gli inglesi di allora non erano certo più teneri degli israeliani di oggi.
Massimo Mazzucco