di Enrico Sabatino
Da più di un mese in Birmania è in corso una serie di manifestazioni di piazza contro la sciagurata decisione del 15 Agosto scorso da parte della giunta militare al potere di raddoppiare il prezzo della benzina e di quintuplicare il prezzo del gas per uso domestico, facendo così lievitare anche i prezzi delle tariffe dei trasporti pubblici e dei beni di prima necessità, medicinali compresi, e aggravando ovviamente le già disastrose condizioni economiche in cui versa la stragrande maggioranza del popolo birmano.
La giunta non ha dato alcuna motivazione per tale dissennata decisione, ma c’è chi dice che sia un pretesto per alimentare le proteste e quindi procedere a un nuovo giro di vite contro chi si batte per il ripristino della democrazia.
E’ purtroppo un fatto assodato da tempo in questa giunta il suo mix micidiale di violenza repressiva e pura idiozia. Oltre a derubare il Paese delle sue risorse naturali (gas, petrolio, legname e pietre preziose) svendendole all’estero per poi importare il prodotto raffinato a prezzi insostenibili a lungo termine, i generali al potere sono pure circondati da uno sciame di indovini ... ... che influenzano le loro decisioni che puntualmente si rivelano un disastro per il Paese dal punto di vista economico e sociale.
Già nel 1987 un indovino aveva convinto l’allora leader della giunta Ne Win a dichiarare l’annullamento del valore delle banconote, perché secondo questo idiota le banconote divise in decimali sarebbero state causa di sventure per il Paese. E così da un giorno all’altro milioni di birmani si ritrovarono sul lastrico, visto che non esisteva (e non esiste in pratica neanche oggi) un sistema bancario degno di tal nome e tutti i risparmi erano in contanti e tenuti in casa.
Ovviamente non era stata data la possibilità ai birmani di cambiare le vecchie banconote con le nuove che, sempre secondo il consiglio dell’indovino, sarebbero dovute essere suddivise per i multipli di nove. Allucinante. Dopo qualche anno si è però tornati ai decimali.
L’ultimo esempio dell’idiozia dilagante tra i generali al potere è stata la decisione presa un paio di anni fa di spostare la capitale da Rangoon - Yangon secondo la nuova denominazione decisa dai generali, che hanno anche cambiato il nome del Paese nell’odierno Myanmar - in una località scelta al centro del Paese ma nel bel mezzo della foresta, nel nulla.
Tutti i funzionari che lavoravano nei vari ministeri di Rangoon sono stati obbligati a trasferirsi, altrimenti sarebbero finiti in carcere.
I lavori per costruire da zero il palazzo del governo, i ministeri, gli uffici amministrativi vari, l’aeroporto e le nuove case per i dipendenti pubblici erano già cominciati anni prima nel silenzio assoluto delle autorità. Nessuno ne sapeva niente.
Il nome scelto per la nuova capitale è Naypyidaw che vuol dire “Il posto dove vivono i re”, altra grande idea del leader della giunta, il 74enne generale Than Shwe.
Naturalmente c’è una spiegazione più razionale a tutto ciò: la paura dei generali di subire un’invasione armata straniera. Rangoon è infatti molto più vulnerabile di una roccaforte situata nel cuore della foresta. Ma fin quando i generali avranno le spalle coperte da Cina e India, i loro maggiori sponsor, ciò non si verificherà mai.
Le proteste di questi giorni sono partite dall’iniziativa del Gruppo della 88-Generation Students, formato dagli ormai ex studenti che nel 1988 si sollevarono contro la giunta per il ripristino della democrazia ma furono repressi nel sangue, arrestati e torturati in massa.
Già un paio di giorni dopo la prima manifestazione tredici importanti attivisti della 88-Generation sono stati arrestati e spariti nel nulla, ma si segnala almeno un altro centinaio di arresti che si aggiunge al migliaio circa di detenuti politici già in carcere da anni; molti attivisti poi si sono dati alla clandestinità.
Ma agli studenti e agli attivisti politici della NLD - la National League for Democracy, il partito di Aung San Suu Kyi - si sono aggiunti i monaci, che anche negli anni scorsi si erano fatti portabandiera di marce e manifestazioni di protesta contro la giunta.
Nonostante “l’invito” del regime a non unirsi alla protesta, migliaia di monaci sfilano ogni giorno da una pagoda all’altra a Rangoon, Mandalay e in molte altre località della Birmania protetti da un cordone di gente che sempre più numerosa scende in piazza.
Marciano con la ciotola del cibo capovolta in segno di rifiuto e disprezzo del regime, soprattutto dopo le sue mancate scuse per le violenze commesse contro alcuni monaci il 6 Settembre a Pakokku in risposta al sequestro di una ventina di soldati tenuti in ostaggio per poche ore dai monaci nel loro monastero e al rogo di qualche auto dell’esercito e polizia nei pressi dello stesso monastero.
Nei giorni scorsi la “Federation of All Burma Young Monks Unions” ha emanato un comunicato esortando il popolo birmano a unirsi coraggiosamente ai monaci e agli studenti nella protesta. Anche un importante poeta, Aung Way, ha esortato tutti gli artisti e poeti birmani a unirsi alla protesta.
Ma se agli studenti, ai monaci, agli intellettuali e a gran parte popolazione si unissero anche i soldati semplici e gli ufficiali di grado inferiore dell’esercito, forse questa volta al regime per sopravvivere non basterà aver ingaggiato le solite squadracce di picchiatori e paramilitari che sono già entrate in azione negli ultimi giorni.
Infatti quasi ogni famiglia birmana ha un proprio membro nell’esercito o nella polizia ma solo la cricca legata ai generali del SPDC - State Peace and Development Council, il nome della giunta al potere - si è veramente arricchita alle spalle del resto del Paese.
Per ora non c’è ancora stata la solita brutale reazione sanguinaria del regime e non è ancora stato dichiarato ufficialmente lo stato di emergenza, ma a Rangoon e dintorni sono arrivati molti soldati di rinforzo armati di tutto punto e c’è chi dice che lo stato d’emergenza sia stato dichiarato in segreto nella nuova capitale Naypyidaw per autorizzare le autorità regionali e locali a mantenere sotto controllo le dimostrazioni anche sparando alla folla se necessario. Si dice anche che in qualche ospedale di Rangoon e zone limitrofe sia stato dato l’ordine di mandar via tutti i pazienti.
Non si sa quindi ancora che piega prenderanno gli eventi ma queste proteste, che continuano ogni giorno da più di un mese, rappresentano un fatto molto importante e andrebbero sostenute da tutti i cosiddetti Paesi civili e democratici.
Per esempio sospendendo immediatamente il corso di formazione in diritto umanitario, diritti umani e diritto dei conflitti armati previsto in Ottobre presso l'Istituto Internazionale di Diritto Umanitario di Sanremo, con la partecipazione di funzionari del regime birmano; un corso organizzato e finanziato dal nostro Governo in barba al divieto di ospitare nei Paesi UE funzionari della giunta militare con un grado superiore a caporale.
Così, tanto per cominciare in casa nostra.
Enrico Sabatino
Per approfondimenti:
The Irrawaddy