Internet corre veloce, e il mondo "di una volta" fatica a stare dietro alle continue mutazioni che caratterizzano l'universo web. Lo strepitoso successo del sistema ADSL, che sta venendo adottato a ritmi superiori alle più rosee previsioni, ha colto alla sprovvista soprattutto le grandi corporations sul fronte multimediale, dove le perdite (o meglio, i mancati guadagni) sui diritti d'autore, sia musicali che cinematografici, sono vistosissimi. Lo stato di allarme dev'essere altissimo, a giudicare almeno dalla reazione inconsulta che ha portato, in Germania, ad una sentenza la cui arbitrarietà è talmente vistosa che si commenta da sola. Ne parla
Luca de Biase, in questi suo recente articolo da Il Sole 24 ore.
FONDAMENTALISMO DEL COPYRIGHT
Un tribunale di Monaco di Baviera ha stabilito che per ogni personal computer Fujitsu Siemens venduto in Germania, la casa produttrice dovrà pagare 12 euro come royalty ... ... a compensazione delle copie che gli utenti fanno sui pc di testi sottoposti a diritto d'autore. La VG Wort, l'associazione che rappresenta i detentori dei diritti e che aveva intentato la causa ha dunque ottenuto una vittoria, anche se parziale: chiedeva una royalty di 30 euro. La Fujitsu Siemens sta considerando l'ipotesi di fare appello. Le altre case produttrici temono ragionevolmente che la decisione verrà estesa anche ai loro prodotti. Ma anche i consumatori hanno molto da temere: perché questa decisione riguarda solo i testi, mentre il grosso del valore perduto dai detentori di diritti riguarda la musica e i film. Se si decidesse di compensare anche i protagonisti di questi mercati, la Germania potrebbe arrivare a imporre tasse molto superiori ai 12 euro stabiliti fin qui.
Sta di fatto che dopo le royalty sui supporti vergini che servono anche a masterizzare la musica copiata via Internet, la tassa sui pc è un altro passo verso una bizzarra concezione del rapporto tra diritto d'autore e tecnologia: una concezione che sta tutta dalla parte dei detentori di diritti e che dimentica completamente la condizione di chi è costretto a pagare la tassa nonostante utilizzi il pc o i cd vergini per attività che non sono collegate con quei diritti. Chi masterizza le proprie foto, i video delle vacanze, le presentazioni che scrive per lavoro, deve pagare come chi scarica la musica online e se la ascolta, la regala o addirittura la vende. È una prima assoluta: si fa pagare la mera possibilità di svolgere un'attività, non lo svolgimento effettivo di quell'attività. Seguendo lo stesso ragionamento, ammettendo che copiare i materiali sottoposti a copyright sia assimilabile a rubare, chiunque entri in un supermercato dovrebbe pagare una somma a titolo di compensazione dei furti commessi nei punti vendita.
Ma, anche quando appare chiaramente irragionevole, l'estensione continua dei confini della lotta alla pirateria elettronica non conosce soste. Lawrence Lessig, nel suo ultimo libro, "Freeculture", segnala che la Ascap, un'organizzazione che negli Stati Uniti difende i diritti dei compositori, ha fatto causa all'associazione delle Girl Scouts per non aver pagato i diritti d'autore sulle canzoni che cantano alla sera davanti al fuoco. I limiti del paradosso sono superati. Continuando così, dicono i commentatori della sentenza tedesca, si dovrebbero pagare royalty anche sulle stampanti, le fotocopiatrici e gli scanner, anch'essi utilizzati da qualcuno per copiare materiali sottoposti a diritto d'autore.
Ma allora perché non chiedere royalty sulle connessioni a Internet, magari differenziando tra dial-up e larga banda, visto che qualcuno usa queste tecnologie per scaricare musica dalla Rete? E perché non tassare i router che smistano il traffico su Internet, i fili di rame che collegano le case al Web, i modem e i server? In fondo, si dovrebbe arrivare a chiedere una royalty a ogni essere umano che può utilizzare il suo cervello per memorizzare musica, foto, testi e film senza pagare i diritti d'autore. Senza contare chi fischietta una canzoncina sotto la doccia.
L'assurdità di tutto questo è palese. Ma il principio che i detentori di diritti d'autore sono riusciti a far passare non è meno assurdo. Sembra una sorta di fondamentalismo che non tiene in nessun conto gli interessi e i punti di vista diversi. E che avanza non solo come reazione all'esplosione degli strumenti elettronici e digitali che moltiplicano le possibilità di fruizione, allargano il mercato, ma estendono anche le opportunità aperte alla pirateria. In realtà, la strategia dei detentori di diritti segue una filosofia aggressiva, secondo la quale la logica della monetizzazione deve penetrare in ogni anfratto della vita sociale.
Negli anni Settanta del secolo scorso i ragazzi si registravano i dischi sulle cassette e poi se li scambiavano. Nessuno li chiamava ladri per questo. Le canzoni cantate dagli scout intorno al fuoco erano un'attività socializzante, che dimostrava la popolarità dei brani musicali ma che nessuno si sognava di monetizzare. L'innovazione e la creatività si sono del resto sempre basate sull'esperienza: modificare le storie, le leggende e le idee del passato per tradurle in storie, leggende e idee adatte al linguaggio del presente è stato il fondamento dell'attività di milioni di autori e di migliaia di aziende. La stessa Disney, come ricorda Lessig, non avrebbe potuto fare i film a cartoni animati che hanno popolato l'infanzia di generazioni di occidentali del Novecento se i diritti degli autori delle favole dalle quali ha tratto spunto si fossero comportati come quelli di adesso.
Intanto, la Commissione europea subisce le pressioni delle lobby musicali per estendere la durata del diritto d'autore oltre i cinquant'anni dalla pubblicazione previsti dalla legge attuale. Attualmente, mese dopo mese, la colonna sonora degli anni Cinquanta sta diventando pubblica. Si possono prendere le canzoni di allora, modificarle, usarle nei film o rivenderle anche rimixate. Ma tra qualche anno anche le canzoni di Elvis Presley o dei Beatles, un rubinetto di profitti per i detentori dei diritti, saranno pubbliche allo stesso modo, nella vecchia Europa. Gli americani dovranno aspettare ancora decine di anni. Ma, tutt'altro che concentrate sulla difesa dei loro giusti diritti, le major appaiono piuttosto all'offensiva. Vogliono aumentare il territorio del loro diritto e diminuire quello del pubblico, anche in Europa. La Commissione non si è finora dichiarata favorevole. Quanto saprà resistere?
Luca De Biase (Il Sole 24 Ore)
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