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di Nicoletta Forcheri
Il blocco dei fondi alle Ferrovie dello Stato, annunciato due settimane fa dal Ministro delle infrastrutture Di Pietro, sarà apparsa idea balzana a qualcheduno: essendo in uno stato pietoso, non equivale a dar loro la mazzata finale? Se l'intento era rimetterle in sesto, penso che si possa dire sin d'ora che non sarà conseguito. Ma la realtà è molto più complessa.
FS capo holding
Le FS, negli ultimi anni hanno subìto varie e successive trasformazioni passando da azienda autonoma a ente pubblico, fino a diventare una holding con una costellazione di società di cui almeno 7 direttamente e 17 indirettamente controllate al 100%, e numerose collegate e partecipate. Alcune hanno già cominciato ad essere parzialmente cedute a privati come Grandi Stazioni SPA (60%), Centostazioni SpA (60%) e la Sogin Srl (55%, società che controlla la Sita, società delle corriere regionali toscane). Il patrimonio immobiliare ferroviario è gestito e ceduto, attraverso la Ferrovie Real Estate SpA, l’ultima società nata del Gruppo (2003) per la “vendita del patrimonio immobiliare non più strumentato all’esercizio ferroviario, assegnatole tramite atto di scissione parziale dalla società RFI (…)”.
Il Gruppo fa uso di strumenti derivati nell’ambito “di strategie di copertura finalizzate alla gestione del rischio di tasso d’interesse”, soprattutto in nome e per conto della società Trenitalia SpA, proprio quella che guarda caso, assieme a RFI, ha conservato maggiormente il principale interesse pubblico ferroviario propriamente detto: un totale di 15 contratti derivati, nel 2006, sui tassi d’interesse per un valore nominale complessivo di 979,3 milioni di euro oltre a 165,3 milioni di euro per altri tre contratti all’inizio del 2007. Ma anche per conto della TAV SpA…
Nel disposto della legge finanziaria 2007 sono stati trasferiti allo Stato i debiti verso la Cassa di Depositi e Risparmio ... ... per un accollo totale di ben quasi 13 miliardi di euro!
La maggioranza delle società del gruppo Ferrovie dello Stato sono o in perdita (FS: -345 M, Trenitalia -327,7M) o quasi in perdita. Spiccano però nettamente i risultati d’esercizio, a fine 2006, della Ferrovie Real Estate SpA, che vanta ben 185,5 milioni di utili; si salvano anche la finanziaria del Gruppo Fercredit SpA (5,1 M), e le immobiliari Grandi Stazioni SpA (13 M) e Centostazioni SpA (2,5M), già parzialmente privatizzate. Si salvano cioè i reparti finanziari e immobiliari mentre colano a picco, gravate anche dai derivati, Trenitalia, RFI e FS…
Stazioni privatizzande
Si sta profilando la privatizzazione di tutte le nostre stazioni: patrimonio architettonico e storico di pregio inestimabile e della nazione. Dalla missione identica, Centostazioni Spa e Grandi stazioni SpA si prefiggono di ristrutturare e gestire, o fare il “restyling”, di 103 stazioni minori la prima e delle maggiori stazioni del paese la seconda. Tra le loro attività rientrano di fatto anche l’introduzione di catene commerciali, edicole e pubblicità, e perché no? l’acquisizione delle stazioni, magari per “concessione” o per scissione da RFI, a condizioni vantaggiose.
Grandi stazioni SpA controlla a sua volta quattro società di cui GS Pubblicità Srl e GS Edicole Srl, pubblicità ed edicole che piazza poi – in conflitto d’interesse? - nelle stesse stazioni che ha in affidamento. Partecipata al 60% da FS e al 40% da Eurostazioni SpA (il trio d’imprenditori coraggiosi: Tronchetti/Benetton/Caltagirone) è citata in numerosi procedimenti giudiziari introdotti dagli ex concessionari e dagli ex edicolanti delle stazioni, che fanno valere contratti di locazione ancora validi. E’ la privatizzazione all’italiana. Si dirà poi che è la “liberalizzazione” voluta dall’Europa..
Grandi stazioni SpA è creditrice, in canoni di locazione, nei confronti di Trenitalia, e solo nei confronti di RFI di ben 36 milioni per “indennità per mancata liberazione di spazi situati nei complessi di stazione e nelle unità acquisite dalla Società nell’anno 2001”. Ossia RFI doveva smammare e non è smammata in tempo. Si ricordi che RFI è la consociata rete ferroviaria, e si può presupporre che l’operazione sia volutamente effettuata per generare utili dal nulla, pompando denaro dallo Stato (RFI) dritto nelle tasche del trio imprenditori coraggiosi di Grandi Stazioni SpA (mista).
Mentre Centostazioni SpA è una società per il 60% di FS e per il 40% di Archimede (cordata privata con SAVE-Società aeroporti di Venezia e Treviso come capofila) e ha un patrimonio immobiliare di 500000 m2. SAVE è una società della Finanziaria Internazionale SpA, basata a Conegliano, società di cartolarizzazione la più attiva d’Italia e tra le più attive d’Europa. Ha costruito il suo patrimonio sulla trasformazione dei debiti in titoli su cui specula. Anche qua stanno preparando la sottrazione allo Stato di un patrimonio architettonico inestimabile ai soliti fondi/banche.
Del resto la privatizzazione delle FS per intero è già prevista da vari anni, e nel 2001 nel Libro Bianco sulle privatizzazioni predisposto dal Ministero del Tesoro si parlava dell’accelerazione “dell’impiego del “project finaning” e di forme di Public-Private partnership, estendendo il concetto di privatizzazione alla realizzazione e gestione di infrastrutture e servizi di pubblica utilità”.
Stato spolpato
Nel frattempo, la missione principale delle FS, il trasporto merci e passeggeri su binario è trascurata, è un eufemismo. Ma Di Pietro dovrebbe insistere di più sulle anomalie di struttura: tre società immobiliari che percepiscono canoni di locazione dalle altre consociate del Gruppo per i luoghi che devono occupare naturalmente per le funzioni ferroviarie, sono certamente una stortura. Di Pietro oramai si è capito che sbraita nel senso del pubblico ma poi fa il “loro” gioco.
Il Gruppo, avendo ripartito le funzioni ed effettuato scissioni tra società, non ha ridistribuito e non ridistribuisce equamente gli utili, anzi si direbbe che la creazione di alcune società abbia la specifica funzione di “aspirare” un grosso flusso di utili e di liquidità dallo Stato alle società semi privatizzate o che comunque lo saranno a breve, e che operano tutte in attività secondarie. Il prossimo passo sarà la privatizzazione delle chicche, quelle che “aspirano”, mentre Trenitalia, RFI e Ferrovie dello Stato, le società che mantengono la missione originaria, precipiteranno in un buco nero il cui onere sarà fatto portare allo Stato, cioè a noi tutti. Per poi, sotto ricatto, “regalarle”. E’ la nascita di un grande gruppo all’italiana.
Non si capisce come mai il governo, e in particolare il ministero delle Infrastrutture/Trasporti, o quello del Tesoro, non intervengano più pesantemente per controllare le spese delle FS: non è il governo l’unico azionista, o meglio il maggiore "amministratore delegato" per conto dello Stato? Allora perché non interviene nei conti, nelle spese dissennate, negli impegni non rispettati e nei cambiamenti societari?
Invece propone o accetta gli aumenti di stipendio del consiglio di amministrazione delle FS. Chi li ha autorizzati? E perché?
Il governo persegue, nei fatti, il sabotaggio con conseguente privatizzazione/regalo, paradigma che oramai conosciamo. Se così non fosse, interverrebbe, ad esempio trasformando subito le società “core business” da SpA a una forma o l'altra di ente pubblico e interverrebbe per riassestarle. O le dividerebbe in modo inequivocabile, rete pubblica dello Stato da una parte e trasporti dall’altra, in regime di mercato. Di certo non aumenterebbe gli emolumenti agli amministratori, quando è alla luce del sole il degrado in cui versano i treni del belpaese. Per esempio, li licenzierebbe.
Invece, oltre agli aumenti di stipendio, Mauro Moretti, amministratore delegato del Gruppo Ferrovie dello Stato è stato persino premiato, l’8 novembre scorso, dal comitato d’onore dell’associazione “Alba del Terzo millennio” - titolo ermetico premonitore di codici da “Nuovo Ordine Mondiale” - per i “traguardi tecnologici” raggiunti dalle FS.
E per la liquidazione del precedente presidente amministratore delegato (liquidazione di 6 milioni 700 mila euro), fu addotta dal sottosegretario al ministero dell’Economia Massimo Tononi una “clausola di riservatezza contenuta nel contratto di lavoro” (…) "La quota variabile è collegata al raggiungimento di obiettivi economico-finanziari o di qualità del servizio, ricavati dagli strumenti di pianificazione strategica ed operativa dell´azienda". Di quali obiettivi parlava esattamente per essere coperti da una clausola di riservatezza? E di quale pianificazione?
In quanto all'intervento del governo a difesa de "l'interesse generale", materia sempre più censurata da un concerto mediatico che applaude su ordine dei padroni, l'argomento addotto per l’inefficienza è sempre lo stesso: il denaro e il taglio della spesa pubblica ripetuto con ossessione martellante, dal fedele servitore, anche premiato ultimamente con una promozione al FMI, Padoa Schioppa.
Lo Stato, si sa, è indebitato, la novità è che lo sarà sempre di più, strozzato com’è dal debito pubblico, in una economia usurocratica che è riuscita ad assoggettare le nazioni, rendendo gli enti pubblici, alla stregua dei normali cittadini, insolvibili.[1] Mentre le società di consulenza e/o i revisori contabili, veri e propri reparti crociati della “globalizzazione”, come PricewaterhouseCoopers in questo caso, o la Goldman Sachs per la Telecom Italia (ma anche la Warburg, la JP Morgan, la Barclays, la Rothschild, la JP Morgan, la Lehman Brothers, la ABN AMRO Rothschild ecc) sono sempre lì a “consigliare” le nostre aziende (ex) pubbliche, forse sarebbe meglio dire a “dettare” al governo il da farsi.
Come mai consigliano sempre male?
Le FS/Stato in mano al governo svizzero?
Uno dei finanzieri delle FS è un ente di diritto svizzero chiamato Eurofima, fondato nel 1955 per una durata di 50 anni, prorogato fino al 2059. Su Eurofima le notizie sono molto discrete: esso si presenta ambiguamente come un ente sovranazionale pubblico, ma in realtà è (anche) una società per azioni partecipata da 25 Stati/ferrovie degli Stati europei (tranne le ferrovie britanniche).
Eurofima, nata in virtù sia di una Convenzione tra Stati sia di uno statuto da società per azioni (peraltro quotata in borsa), ha la missione dichiarata di reperire i fondi, in borsa, per finanziare, mediante mutui/leasing l’acquisto di materiale ferroviario europeo ai suoi azionisti che sono anche i suoi clienti...
Saltano tuttavia agli occhi alcune anomalie: Eurofima, dal sito eurofima.org tipico delle no profit, si presenta tuttavia con il simbolo del brevetto ® tipico delle Corporation che traggono utili dalle royalties; Eurofima gode di un regime fiscale particolarmente favorevole per non dire completamente esonerato dalle imposte, peculiare per una società per azioni/holding che compie operazioni finanziarie e che è quotata in Borsa… Inoltre Eurofima, dichiaratamente sia negli scopi che nella composizione “presenta un interesse pubblico e natura internazionale”. Ma all’articolo 1 della Convenzione, sottoscritta dai governi dei vari Stati le cui ferrovie (o amministrazioni delle ferrovie) sono azioniste, si antepone l’interesse della stessa alle leggi statali. [2]
In pratica si tratta di un ente sovranazionale di diritto svizzero, sottoscritto dai governi europei che è nel contempo una SpA i cui azionisti sono le rispettive ferrovie degli Stati firmatari, e a cui eroga finanziamenti per l’acquisto di materiale ferroviario, ottenendo i fondi con operazioni finanziarie, il tutto esentasse.
C’è di più: se per tutte le questioni di ordinaria amministrazione, gli azionisti, ossia le ferrovie dei vari Stati aderenti, godono dei normali diritti di una qualsiasi SpA, per le decisioni più importanti - cambiamenti di statuto, aumenti o diminuzioni del capitale sociale, diritti di voto degli azionisti, composizione del consiglio di amministrazione e ripartizione degli utili - decide il governo svizzero.
E non è tutto: assumendo le funzioni di una banca nei confronti delle ferrovie degli Stati, finanzia il materiale ferroviario ai suoi azionisti/clienti tramite prestiti e titoli, e accorda in leasing lo stesso materiale che vende/finanzia. Materiale che rimane di sua proprietà fino al totale pagamento del debito. Ad esempio, per il 2006, i debiti obbligazionari delle FS nei confronti di Eurofima ammontavano a “600 milioni di euro (…) per il finanziamento degli investimenti in materiale rotabile di Trenitalia SpA”.
Naturalmente, come una banca essa chiede garanzie, garanzie che serviranno a risarcirla in caso d’inadempienza del debitore, oltre al diritto di possesso del materiale ceduto in leasing. In caso di cessazione del contratto, non solo il materiale ritorna di diritto a Eurofima, ma anche le garanzie rimarranno ad essa per tutta la durata dell’obbligazione contrattuale…(2055)
Insomma, nella struttura stessa, Eurofima racchiude più di una contraddizione, organizzazione internazionale e SpA; ma dovremo abituarci visto che è ciò che ci propineranno sempre di più nel “governo globale” che ci preparano; basti pensare alla Banca Centrale europea SpA ©
Del resto tutto chiaro e limpido non dev’essere se si può leggere in un documento della società di rating StandardandPoor’s, del 20 settembre scorso [3] che “le autorità UE non hanno mai indagato sul finanziamento degli aderenti di Eurofima e sulla struttura delle garanzie. Nell’improbabile eventualità che avvengano queste indagini, il debito emesso precedentemente da Eurofima non potrebbe essere colpito, perché qualsiasi normativa UE in merito non potrà essere applicata retroattivamente. La qualità del credito delle obbligazioni emesse precedentemente non potranno quindi essere danneggiate da qualsiasi normativa europea in merito.” Come dire chi ha preso ha preso, chi ha dato ha dato, scordiamoci il passato…
Come si legge nel rapporto di Moody’s, l’attività di Eurofima è l’erogazione di finanziamenti per l’acquisto/leasing di materiale rotabile ma con la garanzia dello Stato; in caso di privatizzazioni delle ferrovie, la società di valutazione rassicura in quanto le ferrovie continueranno a beneficiare della doppia garanzia: Stato e ferrovie, pena l’esclusione dalla SpA. Ossia si privatizzano gli utili e si nazionalizzano le perdite e, en passant, si cartolarizza il debito. Eurofima ha perciò interesse che FS sia indebitata..
Degrado strumentale
Dietro le quinte chi si può avvantaggiare del degrado e dell’indebitamento di FS sono anche le banche di affari angloamericane Goldman Sachs, Schroder e altre, che da quindici anni hanno pianificato e preparato le privatizzazioni massicce delle grandi aziende di Stato italiane. Nel frattempo si manipola l’opinione pubblica, presentando il paese e gli italiani come persone incapaci di gestire le proprie aziende – vero nei limiti in cui le persone messe ai vertici di queste società sono premiate per farle fallire e svenderle non certo per farle funzionare - per propinarci la solita “soluzione salvifica” (cfr. Alitalia) acquisendoci per un niente. Lo sbarco degli americani non la smette di accadere, in questo dopo guerra che si è incantato.
Per gli utenti/cittadini, meglio sarebbe dire "sudditi/clienti", uno degli aspetti del programma di privatizzazioni sono anni e anni di disagi e degrado via via sempre maggiori, strumentali alla “soluzione” cessione: aumenti tariffari, linee dismesse, piccole stazioni chiuse perché non "redditizie" o portate avanti solo a costo di milioni di sovvenzioni pubbliche regalate a monopoli privati, rami/binari seccati e tagliati, o "ceduti" con tanto di dipendenti precarizzati e licenziati (cfr. sciopero dei trasporti del 30 novembre), treni lerci con escrementi e opere inutili e dannose pagate dalla collettività.
Come in Liguria, Ponente, dove stanno trasportando la tratta con vista mare verso l'entroterra, eliminando un bel po’ di stazioni intermedie. Facendo persino rimpiangere Mussolini che, ideatore della rete attuale, fu campione d'equità sociale nel realizzare quella sua idea di portare il treno in ogni comune d'Italia, a costo abbordabile per tutti. E bisogna dire che ci era riuscito.
Quando le ferrovie saranno fallite/regalate, Di Pietro e tutti gli altri potranno fare il loro show mediatico, o prendersela con Moretti, ma non sono loro che stanno accettando e governando questa situazione? Licenziassero Moretti e gli altri se non sono contenti. E comunque se volessero cambiare qualcosa imporrebbero un mutamento innanzitutto all’assetto societario, un accorpamento da una parte, e una divisione chiara e netta tra ciò che è di rilievo e competenza pubblica e ciò che, secondo l’Europa, deve essere in regime di mercato. Eppure nessuno ne parla. Nessuno parla del danno che provocano le miste, o dell’inadeguatezza della struttura a SpA e ad holding per le ferrovie dello Stato. Perché il gruppo FS è già una mista, sia con le società che abbiamo visto sopra, sia con il meccanismo di finanziamento Eurofima, sia con gli strumenti derivati sia con la struttura a SpA. Sia essendo azionista di una SpA quotata in Borsa…
Ma non dovrebbe più essere un mistero per nessuno, tranne che per qualche economista dogmatico o per chi cede al ricatto del debito, purtroppo troppi, che la commistione pubblico/privato soprattutto per la gestione di settori d’interesse generale (trasporti, acqua, energia, salute, ecc: da definire sovranamente!!!) provoca solamente catastrofi e che sempre meno è auspicata dal pubblico in quanto causa di spese eccessive dello Stato, aumenti tariffari, e diminuzione del servizio nella forma di soppressione di tratte capillari non redditizie (capillarità non redditizia)
E l’ora di smetterla d’invocare l’Europa come scusa per continuare su questo terreno. E’ l’ora di non subire più tutto quello che viene dall’Europa, come se al momento delle decisioni i nostri politici non fossero stati presenti; sarebbe l’ora, infine, per alcune materie, di fare come gli inglesi con la moneta: opting-out, chiamarsi fuori (che siedono però tra gli azionisti della BCE). O come i francesi con Edf e GdF , temporeggiare…[4] Si chiama Europa à la carte…
Ma lo spettacolo desolante e insopportabile è che le redini sfuggono di mano ai politici, con programmi imposti dall’alto, o da oltralpi, di cui nessuno degli esecutanti è tenuto a rendere conto ai cittadini e il cui scopo è, fin troppo evidente, la soppressione del residuo potere dello Stato e il trasferimento di tutte le sue ricchezze nelle mani di qualche banca d’affari e di qualche holding, magari straniera, magari con “incroci incestuosi”.
Nazionalizzazione liberale
Eppure nella storia delle ferrovie, nate come società private, vi era stata una nazionalizzazione salvifica ad opera dei liberali, nel 1905, anno in cui Giolitti, che si dimise in seguito, per far fronte al disservizio delle società private di gestione che alla fine dell’800 “non garantiscono condizioni di viaggio sostenibili”, emana l’atto di nazionalizzazione della rete ferroviaria.
Se non rovesciamo la tendenza con un pesante risveglio grazie a un bombardamento informativo massiccio e un sostegno alla magistratura, tutti gli altri settori che ci rimangono saranno i prossimi bersagli, dopo le Poste, le Ferrovie e la Compagnie di bandiera, la Scuola, la Sanità e la Polizia. Perché, dobbiamo obbedire all’OCSE [5] che scrive : “Se si diminuiscono le spese di funzionamento, bisogna essere attenti a non diminuire la quantità di servizi, al costo di ridurne la qualità. Si possono ridurre ad esempio i crediti di funzionamento per le scuole e le università, ma sarebbe rischioso ridurre il numero di alunni o studenti. Le famiglie potrebbero reagire male al fatto di veder rifiutare l’iscrizione dei propri figli, ma non ad un calo graduale della qualità dell’insegnamento. Ciò si opera pian piano al fine di evitare l’insoddisfazione generale della popolazione”. Perfettamente in linea con Mr. Gelli.
Vi chiedete ancora chi sia Alba Terzo Millennio o perché Moretti sia stato premiato?
Nicoletta Forcheri
1 www.signoraggio.com
2 “la società sarà disciplinata dallo Statuto allegato alla presente Convenzione e dalle leggi dello Stato della sede, nella misura in cui esse non deroghino alle clausole della presente Convenzione” (traduzione della sottoscritta che non corrisponde alla traduzione ufficiale in italiano).
3 http://www.eurofima.org/files/s&P%20Eurofima%20report%20Sept%202007.pdf
4 http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=1846
5 Quaderno di politica economica n°13 dell'OCDE
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