La Recente Riflessione

La Recente Riflessione

sul Concetto di Cospirazione

(II - Gli Storici)

Enrico Voccia

 L'Almanacco Guanda 2007, oltre agli interventi di stampo filosofico analizzati in precedenza, ospita gli interventi di numerosi storici professionisti, cultori di storia e politologi (in senso stretto e lato): Franco Cardini, Giovanni Mariotti, Aldo Giannulli, Ferruccio Pinotti, Leopoldo Fabiani, Gianni Riotta, Adriana Bazzi, Danilo Taino. Qui – a differenza del caso precedente – è assai interessante notare che non c'è praticamente nessuno che neghi l'esistenza effettuale e/o la costitutiva inefficacia dei complotti: la frequentazione delle fonti e della letteratura secondaria, evidentemente, impedisce le negazioni astratte di un Popper o di un Eco. Tutti "complottisti", allora, gli storici? Non proprio: la strategia "negazionista" – dove presente – è solo più sottile, meno plateale.

Partiamo da Franco Cardini ("Il Grande Nemico: un Modello Storico?"), presente anche nel già citato Zero. La sua impostazione generale della questione è la seguente:

Esistono senza dubbio complotti: ne sono piene sia la storia dei popoli e delle società, sia le storie private di ciascuno. Ve ne sono di grandi e di piccoli, di riusciti e falliti, di destinati a venire scoperti e comprovati oppure a restare per sempre nell'ombra. La via della Storia è lastricata di autentici complotti riusciti, sia acclarati o indiziariamente identificati, sia nascosti; di complotti falliti, sia scoperti e denunziati, sia dimenticati e perduti; di complotti falsi o immaginari, costruiti a posteriori con indizi insicuri o con false prove come giustificazione di certi fatti o come alibi per contromisure o repressioni utili ai poteri vigenti. Ma l'attrazione per la dimensione del complotto, il suo fascino misterioso e terribile, la sua utilità come spiegazione di comodo, hanno almeno dal Medioevo – ma con più forza dalla nascita delle correnti ermetiche ed esoteriche: quindi dal Rinascimento in poi – dato luogo ad un'infinità e multiforme tendenza a ipotizzare una serie di Grandi Complotti, addirittura di Complotti Universali, l'esistenza dei quali giustificherebbe infiniti eventi storici e spiegherebbe il senso e il corso intimo delle vicende umane: Grandi Complotti destinati magari a urtare con altrettanti Grandi Controcomplotti tesi a contrastarli e abbatterli per sostituire ai loro disegni degli opposti controdisegni, in un caleidoscopico "Ventre della Storia" mai o quanto meno molto raramente emergente a livello di fatti documentariamente comprovati, salvo naturalmente eccezionali "corti circuiti". (Almanacco Guanda 2007, op. cit., pp. 30-31)

Il discorso di Cardini prosegue dicendo che il termine "complottista" – con il suo carico di valenze negative – andrebbe attribuito soltanto ai cultori dei "Grandi Complotti" e – questa mi pare sia la direzione del suo discorso – negata a chi indaga i complotti storicamente comprovabili. Certo, è nelle analisi dei "Grandi Complotti" che, storicamente e statisticamente parlando, che sono state affermate le ipotesi con minori controprove empiriche. Ciononostante, le motivazioni in base alle quali egli afferma l'inesistenza effettuale di qualunque complotto di grandi dimensioni nella storia degli esseri umani, ...

... non mi sembrano fondate. Citando Panebianco, p. e., egli afferma che

Comune ai complottisti di qualunque segno e in effetti, e in ultima analisi, una massiccia refrattarietà di fronte al dato di fatto che la storia è una realtà complessa: "nella mentalità corrente non si accetta che le cose accadano per un concorso di fattori. La complottomania nasce da una sottovalutazione della complessità della storia". (Almanacco Guanda 2007, op. cit., p. 32)

Lungi da me la sottovalutazione della totale inconsistenza empirica di certune teorie del "Grande Complotto". Ciononostante, la tesi di Cardini/Panebianco contro la possibilità stessa di un qualunque complotto di grandi dimensioni non appare cogente: anche in presenza dell'ovvia complessità e multifattorialità della storia, complotti di grandi dimensioni non sono affatto impossibili, sia in linea di principio sia di fatto. Il dato che un evento storico-sociale sia generalmente così determinato non implica, innanzitutto, che tale generale complessità e multifattorialità non sia riducibile con determinate strategie di potere. Per esempio, certe azioni eclatanti – si pensi alla Strage di Stato del 12 dicembre 1969 – puntano alla riduzione dei comportamenti umani ai soli elementi emotivi, connessi a quello che nelle neuroscienze è stato definito il "cervello rettile" – la reazione della paura in primo luogo, che permette di contare, per un certo periodo di tempo, su azioni di risposta all'evento largamente stereotipate e, pertanto, facilmente prevedibili. D'altronde, un complotto di medie/grandi dimensioni è – per quanto la cosa possa non piacerci affatto e/o essere del tutto illegale – una particolare specie di azione di governo. Seguendo la logica di Cardini/Panebianco, perciò, non solo i "Grandi Complotti" ma anche le azioni di governo standard, a causa della complessità intrinseca degli eventi umani, sarebbero impossibili ed inattuabili – il che è, ovviamente, di gran lunga empiricamente falso. La storia degli Stati e delle loro strategie di governo, infatti, è leggibile anche nell'ottica di un'acquisizione di sempre più sofisticate strategie di riduzione della complessità e multifattorialità delle azioni sociali. Questo significa che ogni Teoria del Grande Complotto è vera? Ancora una volta, no. Ma questo non implica affatto che siano false tutte e, tanto meno, che i complotti di grandi dimensioni siano empiricamente impossibili. Il problema, dunque, non sono le dimensioni dei complotti: è la loro realtà o meno.

Giovanni Mariotti ("I Protocolli della Menzogna, ovvero la Fabbrica del Grande Scoop") esamina la genesi e soprattutto la fortuna di quella provocazione dei servizi segreti zaristi che furono i Protocolli dei Savi di Sion. Anche qui ritroviamo all'opera la tesi che la "mentalità complottista" deriverebbe dalla non accettazione della complessità e multifattorialità della storia – ma su questo abbiamo già detto. Più interessante, invece, è notare come, dalla lunga disamina degli eventi e pur presentando tutti gli elementi chiave, egli accenni ma non rifletta fino in fondo su quelli che sono gli aspetti più interessanti dei Protocolli: innanzitutto la loro genesi all'interno del mondo dei servizi segreti e dei loro infiltrati professionali, poi, soprattutto, il suo obiettivo: non gli ebrei in quanto tali, ma il movimento operaio e socialista, il tutto a favore del potere declinante delle aristocrazie.

(...) erano apparsi sulla scena il liberalismo, il socialismo, il comunismo, l'anarchia, l'evoluzionismo (teoria particolarmente indigesta per un'aristocrazia del sangue) (...) con quale scopo gli ebrei si erano sobbarcati alla fatica di pensare tanti pensieri e di scrivere tanti libri? (...) indebolire e portare alla rovina le aristocrazie dei Gentili (...). Almanacco Guanda 2007, op. cit., p. 42)

e poi lo stretto rapporto tra servizi segreti e media fin dal tempo dei Protocolli:

Proprio in quei mesi i Protocolli dei Savi di Sion, che Mister Gwynne avrà supposto riservatissimi, stavano circolando di redazione in redazione da un capo all'altro dell'Europa, e avevano varcato persino l'Atlantico, raggiungendo gli Stati Uniti. (Almanacco Guanda 2007, op. cit., p. 40)

In effetti, l'aspetto antioperaio dei Protocolli – diffamato tramite il mito della genesi delle idee "sovversive" dai tradizionalmente odiati ebrei, la cui emancipazione giuridica era stata richiesta dal movimento operaio e socialista all'interno di una più generale battaglia per quelli che oggi chiameremmo i "diritti civili" – è stato raramente notato dagli storici, che ancor meno hanno indagato il rapporto tra i servizi segreti della modernità ed alcune novità del loro agire – ed infiltrarsi – nei mezzi di comunicazione di massa allo scopo di supportare le loro strategie provocatorie.

Molto acuta è la tesi di Giannulli ("La Teoria del Doppio Stato. Come Superare lo Scontro tra Dietrologi e Storici"), il cui intervento mi pare il più interessante e lucido dell'intero volume. I "complottisti" – categoria in cui l'autore dice di venire annesso e da lui definiti con il termine un po' datato di "dietrologi" – non sbagliano affatto nel credere nell'esistenza dei complotti – piccoli o grandi che siano: sbagliano, solitamente, nel credere che, per la loro attuazione, sia necessaria una struttura a sé, "deviata", in qualche modo altra dalla statualità, ivi compresa quella democratica, che, in quest'ultimo caso, assume costitutivamente la veste del "Doppio Stato". Così sintetizza le sue linee interpretative del fenomeno dei complotti:

il Doppio Stato non s'identifica con una congiura o delle cospirazioni che possono verificarsi come manifestazione epifenomenica di esso, ma non ne sono né l'essenza né la causa;

il Doppio Stato non coincide con una qualche organizzazione, istituzionale (come i servizi di sicurezza) o privata (come la P2), legale o illegale, perché esso non è un soggetto ma un processo;

lo Stato Duale non consiste neppure in una doppia rete istituzionale, una legale, l'altra segreta ed illegale: la formazione di apparati coperti paralleli è una modalità probabile ma non necessaria della manifestazione del Doppio Stato;

viceversa è inseparabile dalla fenomenologia del Doppio Stato il funzionamento extra o antiordinamentale di alcuni apparati istituzionali;

il Doppio Stato non coincide neppure con la Doppia Lealtà, intesa come contemporanea lealtà allo Stato nazionale ed all'Alleanza di riferimento o al suo stato egemone in forme di "sovranità limitata": fenomeni che possono presentarsi occasionalmente ma che non sono una necessaria premessa causale del Doppio Stato: diversamente, esso sarebbe una fenomenologia dei soli partner minori delle alleanze politico-militari. (Almanacco Guanda 2007, op. cit., pp. 58-59)

Le conclusioni di Giannulli per ciò che concerne il cosiddetto "mondo occidentale" sono, invece, queste:

A differenza del caso tedesco degli anni Trenta, in un regime democratico non è possibile teorizzare apertamente un uso discrezionale del potere (...). Pertanto, forme di uso discrezionale del potere pubblico (...) possono darsi in un Paese retto a regime democratico, ma solo a condizione che esse avvengano al coperto del Segreto di Stato, ultimo ridotto del principio dualistico. E, dunque, le dinamiche del Doppio Stato, in regime democratico non sono separabili dalla dimensione occulta. Beninteso, essa non è affatto un elemento esterno e aggiuntivo a quello dell'ordinamento formale, perché l'attuale assetto ordinamentale, che è tutto normativo e razionale, prevede però – in ogni Paese del mondo – questo enclave totalmente discrezionale al proprio interno. (...) Dunque, il Doppio Stato non è un secondo Stato nascosto, ma lo stesso Stato in una doppia funzione: quella prevista dall'ordinamento e quella dei suoi apparati burocratici e politici, quella della Costituzione formale e quella di una costituzione materiale retta su un'ampia sfera secretata. Essa è, in definitiva, un modo d'essere del sistema politico. (...) Ed è probabile che questo impianto interpretativo possa risultare utile a leggere non solo le stragi degli anni Sessanta, ma anche storie più vicine nel tempo, molto più vicine, sino a quelle presenti. (Almanacco Guanda 2007, op. cit., pp. 60-61)

Il testo di Pinotti ("Una Trama Lunga Sessant'Anni. 1945-2007: una Cronologia") è, poi, come dice il suo stesso titolo, essenzialmente una cronologia delle "trame italiane" dal 1945 al 2007: nonostante la secchezza delle informazioni, va avanti per ben 42 pagine (all'incirca il 20% dell'intero volume). Si tratta di uno "strumento di rapida consultazione", il cui unico limite, a mio avviso, è quello di dare poco spazio alle infinite dinamiche "strane" del fenomeno della "lotta armata". Non mi dilungherò nemmeno sui saggi di Fabiani ("Da Sarajevo alle Twin Towers ed oltre") e di Riotta ("America, il Paese delle Strane Coincidenze"), in quanto non sono altro che una disamina del fenomeno dei complotti antichi e recenti, nonché della figura del "complottista", svolta – anche se il filosofo austriaco non viene mai citato – secondo il punto di vista di Popper e dei suoi seguaci, di cui ho già svolto in precedenza un'ampia disamina critica e risparmio al lettore la ripetizione. Fabiani mantiene, in questo, una certa dignità: per ciò che concerne Riotta, i toni sono invece decisamente grevi e l'impressione generale è che l'autore parli molto per sentito dire sugli argomenti di cui tratta. Anche sul saggio della Bazzi ("Le Leggende sull'AIDS e l'Impero Farmaceutico") non c'è molto, dal mio punto di vista, da dire: è una esposizione delle tesi "non convenzionali" sull'AIDS e del fenomeno di "Big Pharma", tutto sommato dignitosa.[1]

Vale la pena, invece, di analizzare un po' più nel dettaglio il saggio di Taino ("Affari e Finanza: il Club dei Padroni"), dedicato, come dice il testo, all'idea che i "padroni del vapore" si siano in qualche modo – e da tempo – coalizzati ed organizzati in forme nascoste, tramite una o più associazioni di stampo massonico/esoterico, tramite le quali portano avanti una serie di strategie segrete per mantenere e rafforzare nel tempo il loro potere, superando i tradizionali confini statali. Un "Club dei Padroni" clandestino, insomma, che condiziona pesantemente i destini del mondo, svuotando di ogni minimo significato concreto anche i meccanismi democratici.

Taino parte esponendo la tesi dello storico americano Carroll Quigley, "il più accademicamente rispettabile e credibile teorico americano della cospirazione globale" (Almanacco Guanda 2007, op. cit., p. 127):

Si tratta di uno storico poco conosciuto al grande pubblico ma di grande influenza sulle èlite americane e anglosassoni che nel 1966 pubblicò un volume ponderoso (Tragedy & Hope) nel quale sostenne, tra l'altro, che buona parte della storia del XX secolo è stata determinata da un establishment finanziario angloamericano che aveva l'obiettivo di dominare il mondo. Banchieri, industriali ed i loro referenti politici. Obiettivo benigno, sia chiaro, ad opinione di Quigley, anche se criticabile certe volte per modi e forme di realizzazione. (Almanacco Guanda 2007, op. cit., p. 127)

Sono le stesse tesi di molti "complottisti", i quali hanno solo mutato di segno valutativo l'analisi del "Club dei Padroni", per usare le parole di Taino, che questi espone a grandi pennellate ed utilizzando un solo esempio (la tesi della sostanziale continuità tra Bush padre e Clinton, andato al potere perché il primo aveva deluso le aspettative dell'establishment mondiale fatto di banchieri, industriali e politici) per esporre immediatamente tutto il suo scetticismo:

Il complotto "dei Bush e dei Clinton" (...) non è minimamente provato e, soprattutto, non regge la prova dei fatti. (...) La parte vera è quella più vicina al lavoro storico di Quigley e riguarda i banchieri che, a cavallo dei secoli XIX e XX, imposero veramente le loro regole e la loro ideologia all'economia in generale e alla politica. (...) Che i banchieri con la tuba si siano mossi tra i club di Pall Mall, gli uffici di Wall Street e le cancellerie europee per promuovere i loro interessi (...) è fatto provato. (...) hanno fatto le loro operazioni di lobby (ad alto livello) come succedeva ai tempi: nella penombra, usando il denaro, i muscoli e spesso il potere della stampa amica. La parte di irrealtà sta invece nel credere che oggi, nel mondo, esista un comitato di affari (...) che tira i fili della finanza, dell'economia, della politica fino a eleggere o far cadere i presidenti americani. (Almanacco Guanda 2007, op. cit., p. 129)

Taino qui usa due pesi e due misure. "Il complotto dei Bush e dei Clinton" che lui espone manca certamente di prove reali, effettive. Nulla quaestio. Taino, però, dimentica immediatamente questa sua sacrosanta richiesta di fondamento documentario esponendo la sua tesi "anticomplottista", che risulta altrettanto esposta alla stessa critica. Ci dice, infatti, che un'alleanza internazionale, segreta, dei padroni del vapore, disposta ad usare "nella penombra" il denaro, la forza, la disinformazione e che ha raggiunto pienamente i suoi scopi – il controllo dell'economia e della politica – è "fatto provato" dagli studi storici, fino però alla prima metà del XX secolo: oggi, invece, una tale organizzazione non esiste più. Ora, se è "fatto provato" che un'organizzazione dei potenti della terra in grado di condizionare pesantemente economia e politica è esistita nel passato relativamente recente, in base a cosa si afferma che tale organizzazione si è sciolta? Quali sono le prove documentarie in merito?

Il fatto che Taino non noti quest'aspetto della faccenda è indicativo di una presa di posizione aprioristica, che appare con anche maggiore evidenza nel passo seguente:

Certo che esistono le lobby, che ce ne sono di influenti e che, se potessero, farebbero ancora tutto nella penombra dei corridoi di Washington, di Londra, di Parigi, di Pechino. Ma una cosa sono i gruppi di interesse che difendono, in modo più o meno lecito, i loro interessi, un'altra è credere che riescano a influenza direttamente la storia (...). In particolare oggi, quando la trasparenza informativa è travolgente, credere nella Spectre è ingenuo, se non pura superstizione. (Almanacco Guanda 2007, op. cit., p. 130)

Per l'esattezza, viste le sue affermazioni precedenti, Taino avrebbe dovuto dire: credere che la Spectre esista ancora. Ora però sappiamo in base a cosa Taino ritiene che essa non possa più esistere: "oggi, quando la trasparenza informativa è travolgente", evidentemente, essa non potrebbe esistere senza che i grandi media ci informino della sua esistenza: dunque deve essere scomparsa.

Il ragionamento – sia pure implicito – è formalmente corretto; peccato che la premessa – la travolgente trasparenza informativa – sia falsa. Taino ha già detto, per la "Spectre" del passato, che ammette come "fatto provato", come questa utilizzasse "nella penombra" oltre a muscoli e denaro anche "il potere della stampa amica". Oggi che i processi di spaventosa concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione di massa sono avvenuti proprio in direzione di quel mondo di "banchieri, industriali e politici" protagonisti delle vicende narrate da Quigley, in che direzione andrebbe meglio rivolta l'accusa d'ingenuità e superstizione?

Anche nelle righe finali, Taino ritorna sul tema della travolgente trasparenza informativa ("il flusso informativo che non si ferma davanti a quasi niente" – Almanacco Guanda 2007, op. cit., p. 132) e così conclude: invece di pensare che l'associazione più o meno segreta dei potenti della terra presente fino a pochi decenni fa esista ancora,

Si può, più ragionevolmente, parlare di tanti complotti, cioè delle mille strategie che ogni giorno vengono messe in campo dai soggetti più diversi per raggiungere obiettivi di gruppo, di partito, di lobby nei diversi campi della finanza e del potere. Niente di nuovo, però: in fondo, le cospirazioni sono sempre state "la continuazione della politica con gli stessi mezzi". (Almanacco Guanda 2007, op. cit., p. 132)

Il ragionamento ci sembra anche valido, ma non può servire a contestare l'idea che i potenti della terra complottino su larga scala: se si afferma che i "soggetti più diversi" complottano e, per di più, che il complotto è "la continuazione della politica con gli stessi mezzi", conseguenza logica è che i piccoli gruppi lobbistici complotteranno su piccola scala, quelli medi su media scala, quelli grandi su grande scala. Il fatto che le strategie siano mille, non implica che tra queste non ci siano quelle su grande scala – anzi. Che poi riescano o meno, in tutto o in parte, che siano queste o quelle, che qualcuno possa talvolta prendere lucciole per lanterne, è un'altra storia.

Enrico Voccia (Shevek)


1 - Al limite, forse avrebbe dovuto distinguere meglio tra due tesi “non convenzionali”: l'una che dice, sostanzialmente, che l'AIDS esiste, è dovuto al virus HIV, ma questo è stato prodotto in laboratori militari o similari; l'altro che nega che l'HIV esista e/o che sia la causa dell'AIDS – tesi reciprocamente incompatibili ed accomunate dal solo essere eterodosse rispetto all'interpretazione standard del fenomeno, ma che l'autrice mescola con eccessiva facilità.

VEDI ANCHE: "La recente riflessione sul concetto di cospirazione (Parte I - I Filosofi)"