di Marco Cedolin
Tutte le volte che gli uomini politici di ogni risma e colore iniziano a suonare le grancasse dell’informazione, sostenendo attraverso l’uso di aggettivi roboanti la necessità di una nuova grande opera infrastrutturale che porterà sviluppo e benessere economico, sarebbe bene ricordare loro la triste vicenda del tunnel che collega Parigi e Londra correndo sotto la Manica.
L’Eurotunnel è il più lungo tunnel sottomarino del mondo, con i suoi 50 km dei quali 39 corrono sotto il fondale marino alla profondità media di 45 metri, la sua costruzione è durata 7 anni impegnando circa 15.000 lavoratori, con un tributo di 10 morti e 1300 feriti.
L’opera, inaugurata nel 1994, è costituita da tre gallerie parallele, due ferroviarie ed una di servizio nella quale possono circolare i mezzi su gomma preposti alla manutenzione e alle operazioni di soccorso.
La società Eurotunnel offre complessivamente quattro tipi di servizio: i treni passeggeri Eurostar ad alta velocità, i treni navetta per passeggeri, autoveicoli, camion e autobus con autisti a bordo, i treni navetta che trasportano camion su vagoni aperti senza gli autisti a bordo dei mezzi, i treni merci convenzionali che trasportano le merci in vagoni o container.
La vera ragione per cui Eurotunnel ha fatto e continua a fare parlare di sé non risiede però nelle sue misure da record o nell’audacia di un progetto avveniristico, ... ... bensì nell’essersi rivelato un disastro economico senza precedenti, in grado di mettere sul lastrico i 741.000 piccoli investitori privati (in larga parte francesi) che hanno finanziato l’opera, alettati dalla promessa di rendimenti annui nell’ordine del 18%.
La vicenda di Eurotunnel merita infatti un’attenzione particolare in quanto si tratta dell’unico caso, probabilmente destinato a non ripetersi mai più, nel quale una grande opera infrastrutturale è stata finanziata completamente attraverso il capitale privato, sotto forma di azioni della società Eurotunnel che avrebbe dovuto rientrare dall’investimento ed introitare utili attraverso la gestione dell’infrastruttura stessa.
Questa peculiarità la rende una cartina di tornasole utile a comprendere la reale valenza economica di molte infrastrutture faraoniche presenti e future, propagandate come indispensabili e prioritarie dai grandi poteri economici e finanziari, deputati a spartirsi gli appalti miliardari, e regolarmente finanziate tramite il denaro pubblico. In tutti questi casi, a differenza di quanto avvenuto per l’Eurotunnel, i privati (nel ruolo di General Contractor e non d’investitori) hanno prima “sponsorizzato” con l’aiuto della politica e dei media, i vari progetti come necessari ed utili e poi provveduto, in qualità di concessionari unici, ad introitare i denari derivanti dalla costruzione delle opere, la cui gestione risulta però esclusivo appannaggio dello Stato.
A causa di queste prerogative diventa molto spesso quasi impossibile riuscire a contabilizzare il reale ritorno economico dell’operazione, poiché le eventuali perdite di esercizio possono venire celate nei meandri dei bilanci statali e successivamente ripianate facendo ricorso al denaro pubblico.
Le cause del disastroso fallimento economico del progetto Eurotunnel sono sostanzialmente da imputarsi a due fattori che sistematicamente si ripropongono, sia pur in varia misura, ogni qualvolta si proceda ad analizzare una grande infrastruttura.
Il primo consiste nell’aumento esponenziale del costo dell’opera che immancabilmente subisce variazioni notevolissime nel corso della realizzazione. Nel caso di Eurotunnel a fronte di una previsione iniziale di 7,4 miliardi di euro, la spesa reale si è rivelata più che doppia arrivando a superare i 15 miliardi di euro.
Il secondo è determinato dall’assoluta inaffidabilità delle previsioni concernenti il futuro grado di utilizzo dell’infrastruttura. Tali previsioni molto spesso si basano su falsi presupposti di “utilità” dell’opera e finiscono per manifestarsi totalmente disancorate dalla realtà.
Nel caso di Eurotunnel l’assoluta mancanza di clienti è stata determinante nel produrre il fallimento. Basti pensare che nel 2003 hanno attraversato la Manica 6,3 milioni di persone contro una previsione che parlava di 30 milioni di transiti/anno. Il traffico merci ha avuto un andamento ancora più negativo e nel 2003 sono transitate appena 2 milioni di tonnellate di merce a fronte di una previsione di 15 milioni di tonnellate/anno.
Le cause dell’aumento dei costi sono imputabili a svariati fattori quali previsioni di spesa troppo ottimistiche (utilizzate per dare al progetto una patente di convenienza economica) incidenti in corso d’opera e difficoltà impreviste che hanno determinato l’allungamento dei tempi di realizzazione con conseguente pagamento di maggiori interessi alle banche.
Le cause della mancanza dei clienti prospettati nelle previsioni sono da imputarsi quasi totalmente alla malafede di chi ha vaticinato volumi di traffico esageratamente sovrastimati al fine di creare quei presupposti di “necessità” che non avrebbero avuto motivo di esistere se le previsioni fossero state corrette. Nel caso di Eurotunnel, nonostante l’infrastruttura collegasse due metropoli di assoluta importanza quali Parigi e Londra con un bacino potenziale di utenza di circa 25 milioni di persone, sarebbe stato facile prevedere come, anche a causa del rilevante costo del “biglietto”, buona parte dei passeggeri avrebbero preferito il trasporto aereo, mentre la maggioranza degli spedizionieri avrebbe optato per la marina mercantile di gran lunga più economica.
Marchiani errori nella previsione dei costi dell’opera, potenzialità di traffico sia passeggeri che merci enormemente sovrastimate, scarsa competitività dell’infrastruttura con gli altri sistemi di trasporto preesistenti, hanno determinato un disastro economico senza precedenti che dovrebbe servire come monito per chiunque consideri le grandi opere fonte di benessere e ricchezza a prescindere dalla loro reale utilità.
Le azioni sottoscritte dai 741.000 piccoli risparmiatori che hanno creduto nella grande “opportunità” offerta da Eurotunnel si sono praticamente trasformate in carta straccia ed hanno a oggi perso il 90% del loro valore nominale, la società Eurotunnel dopo essere già fallita una volta sta rischiando di ripetere nuovamente la brutta esperienza ed ha finora accumulato oltre 9 miliardi di euro di debiti, senza essere riuscita nel corso di 12 anni a chiudere neppure una sola volta il proprio bilancio in attivo.
Nel mese di agosto 2006 il Tribunale civile di Parigi ha concesso alla società Eurotunnel la procedura di salvaguardia, evitandone in questo modo l’immediato fallimento e congelando il debito di 9 miliardi di euro. Tale procedura comportava un periodo di “osservazione” durante il quale le parti in causa avevano il dovere di tentare un accordo ed il Tribunale si impegnava a fare un’analisi economica e sociale della situazione.
Al termine di tale periodo, nello scorso mese di maggio 2007, la maggioranza degli azionisti (87%) ha approvato un piano di ristrutturazione del debito che mira a salvare la società dal fallimento. Il debito di 9 miliardi di euro è stato tagliato a circa 4 miliardi di euro ed è stata costituita una nuova società “Groupe Eurotunnel” i cui debiti (il residuo di 4 miliardi di euro) saranno coperti attraverso un prestito a lungo termine garantito da un consorzio di banche. Tra i maggiori istituti bancari che hanno permesso ad Eurotunnel di sopravvivere e continuare ad accumulare nuove perdite anche nel futuro, spiccano Goldman Sachs, Deutsche Bank e Citygroup.
Il capitolo è tratto dal libro
“Le Grandi Opere” di
Marco Cedolin
Dallo stesso libro vedi anche:
La diga delle tre Gole
http://marcocedolin.blogspot.com/