In California, un giudice di primo grado ha respinto ieri la causa di Stanley Hilton, il quale dovrà ora fare appello alla corte del Nono Distretto Federale, con sede a S. Francisco, per poter vedere alla sbarra i suoi imputati.
Stanley Hilton è l'avvocato americano che ha osato denunciare, per conto di 400 familiari delle vittime, i maggiori personaggi dell'amministrazione Bush - Presidente e vicepresidente compresi - per "aver favorito, invitato, e coadiuvato gli attentati terroristici dell'11 Settembre". E il fatto che la sua vicenda sia nota solo nel "sottoscala" di Internet la dice lunga sul muro di gomma eretto dai media occidentali sulle responsabilità di quegli attentati. (E' un muro talmente compatto che solo degli esperti professori di storia americana come Massimo Teodori riescono a non vederlo).
La sentenza di ieri rappresenta, almeno apparentemente, una secca sconfitta per il cosiddetto 9/11 Truth Movement, il movimento spontaneo che tramite Internet sta diffondendo, a livello mondiale, i legittini dubbi sulla versione ufficiale di quei fatti.
L'aspetto interessante, però, è la motivazione con cui il giudice ha respinto … … la causa di Hilton, e cioè invocando il principio della "sovereign immunity". Tradotto letteralmente, significa "immunità del sovrano", e deriva dall'antico codice medioevale inglese. Ben diverso dalla nostra tristemente nota "immunità parlamentare", che ha la decenza di limitarsi a proteggere un deputato durante il suo pubblico ufficio, senza esprimere giudizi in merito al presunto reato, la "sovereign immunity" partiva dal presupposto che il re, essendo colui che promulga le leggi, non può poi sbagliare nel metterle in atto.
Un pò come dire che chi ha inventato il gioco del calcio può giocare mille partite senza mai fare un fallo di mano.
Naturalmente, man mano che i secoli passavano, ci si accorse che anche i re ogni tanto sbagliano, e quando il principio venne incorporato nella Costituzione americana, il carattere di infallibilità venne sostituito da un più
pragmatico concetto di "ordine costituito". Pare infatti che la sentenza di ieri contro Hilton - di cui si attende con curiosità la pubblicazione ufficiale - sostenga che "un cittadino qualunque non può rischiare di mettere a repentaglio l'ordine costituito, facendo causa direttamente al presidente o ai massimi livelli di governo."
Tale compito, come è noto, spetterebbe al Parlamento, che ha il potere di mettere sotto "impeachment" il presidente, in casi di alto tradimento dello stato. Il confronto con il caso di Monica Lewinsky a questo punto è talmente scontato che non lo facciamo nemmeno.
Resta il fatto, tutt'altro che trascurabile, che questa sentenza ammette implicitamente che Stanley Hilton sia in grado di far condannare i suoi accusati, e questo non è affatto poco. In effetti Hilton ha sempre dichiarato, senza mai mostrarle, di avere in mano prove sufficienti a far condannare l'intera amministrazione Bush.
Evidentemente il giudice, nel valutare privatamente queste prove, avrà ritenuto che un rischio effettivo di vedere qualche capoccione dietro le sbarre ci fosse, per cui avrebbe scelto di invocare il principo di "sovereign immunity".
Hilton da molto tempo vive sotto costante minaccia, il suo studio è stato forzato e saccheggiato di grosse quantità di documenti (di cui Hilton aveva prudentemente fatto delle copie), e incontra l'ostilità aperta sia dei media - che lo invitano alle interviste solo per cercare di rovinarne la credibilità - sia dello stesso ambiente giuridico in cui lavora.
Un danno collaterale causato da questa sentenza sta nel fatto che dozzine di altre cause simili, già da tempo pronte contro i vari personaggi implicati nella vicenda, erano rimaste in frigorifero, in attesa di vedere la strada che avrebbe percorso questa. E ora che Hilton deve ripartire da zero, l'intero movimento subisce gli effetti di un rallentamento generale.
Viene a questo punto da fare almeno un paio di considerazioni generali: la prima è come la legge, apparentemente fatta a difesa del cittadino, possa tranquillamentre essere usata conto lo stesso, ogni volta che ciò si renda necessario.
La seconda è che difficilmente in Italia vedremo mai un personaggio come Hilton alzarsi in piedi, e puntare pubblicamente il dito contro i più forti poteri della sua nazione. I più forti, almeno, fra quelli visibili. Da tempo infatti abbiamo imparato che chi tira le fila, dall'oscurità sopra il palconecino, raramente agisce secondo i modi, la logica e le finalità che ci appaiono dalla platea.
Accontentiamoci quindi dello spettacolo pubblico, senza illuderci di avere minimamente capito cosa possa stare succedendo dietro le quinte. In questo modo, se non altro, corriamo addirittura il rischio di restare piacevolmente sorpresi, alla calata del sipario.
Massimo Mazzucco