Intimidazioni e minacce rischiano di bloccare l'uscita del documentario "De Mä, trasformazione o declino", che il regista Pietro Orsatti ha realizzato sui lavoratori del Porto di Genova.
Questa è la lettera che Orsatti ci ha mandato, nella quale descrive un panorama che non sembra cambiato molto dai tempi di "fronte del Porto" di Kazan.
di Pietro Orsatti
Per un anno ho lavorato alla realizzazione di un documentario sulla realtà del lavoro del porto di Genova, "De Mä, trasformazione o declino". Fin dall'inizio non ho voluto seguire la via tradizionale dell'inchiesta giornalistica patinata, con un pastone di dichiarazioni dei vari soggetti istituzionali, imprenditoriali e sindacali; ho voluto invece immergermi nelle storie dei lavoratori, raccogliendo racconti e immagini di lavoro e di vita, … … dando voce a chi spesso non ne ha. E molti lavoratori in questa lenta costruzione narrativa mi hanno accompagnato, offrendo il proprio volto e la propria esperienza personale con generosità, a volte con dolore e altre con allegria. Quello che è uscito fuori da questo lungo anno di lavoro ha confermato la sensazione che fin dalla prima bozza di stesura del documentario: non solo la stagione eroica dei camalli genovesi, dell'élite della classe operaia, era tramontata, ma che la trasformazione verificatasi a Genova negli ultimi 10 anni ha consentito il formarsi di un intreccio incredibile e pericoloso di precarietà, assenza di diritti, discriminazioni, degenerazioni politiche ed economiche, mancanza di sicurezza sul lavoro.
Tutto questo a fronte di una crisi, confermatasi ormai da sei anni almeno, dell'intero settore della portualità italiana che non riesce a reggere minimamente il confronto con i porti francesi e spagnoli. I dati parlano chiaro: 24 morti in porto in cinque anni; nell'ambito della Compagnia Unica (la mitica compagnia dei dockers genovesi) centinaia di incidenti all'anno su circa mille lavoratori; cattiva gestione del sistema portuale; autoproduzione (caso unico in tutta Europa) da parte dei terminalisti e armatori privati; cottimo; precarietà diffusa; mancata applicazione della legge 84/94 che prevede il contratto nazionale del lavoro portuale e l'istituto del mancato avviamento. Questi dati hanno trovato completa conferma nelle voci delle decine delle persone intervistate e delle immagini filmate durante la lavorazione.
Chiaramente mi aspettavo critiche, anche polemiche feroci: sono consapevole che in ogni caso il film ha per la prima volta svelato interamente un mondo assolutamente sconosciuto se non al ristretto ambito degli addetti ai lavori. Per questa ragione stavo cercando di organizzare una presentazione pubblica, invitando autorevoli interlocutori per aprire un dibattito aperto sull'iniziativa, e contemporaneamente stavo realizzando da alcune settimane piccole proiezioni private per calibrare al meglio il lavoro e ne ho messo parte (una versione completa a bassa risoluzione) su un indirizzo internet per raccogliere opinioni e contributi.
Ma non sono arrivati commenti o critiche, anzi. Quelle che sono arrivate sono state minacce e intimidazioni, sia verbali che scritte sui muri, ai lavoratori che avevano raccontato davanti alla telecamera la propria esperienza umana e lavorativa. Minacce chiare tese a far spaventare questi lavoratori, in particolare i giovani più esposti, per costringerli a fare un passo indietro, a "farsi togliere" dal film. La cosa più grave è che queste minacce sono state fatte sul posto di lavoro da altri lavoratori, e che le scritte sono comparse proprio nei locali della Compagnia Unica, addirittura una è stata anche posta nello spazio della bacheca ufficiale alla Chiamata, praticamente nel luogo più conosciuto e frequentato di questa sorta di "tempio" della classe operaia genovese. Scritte non generiche, ma con insulti e minacce e con il nome del destinatario in bella evidenza. Nomi di lavoratori, persone che hanno raccontato liberamente la propria condizione di lavoratori.
Una campagna assurda e vigliacca, una sorta di guerra preventiva e, questo il paradosso, ancor prima che venisse reso pubblico e presentato l'intero film.
Per questa ragione ho dovuto bloccare temporaneamente la presentazione di questa versione del film e sono tornato in montaggio: sto sostituendo le sequenze di quei lavoratori che, spaventati, si sono tirati indietro. Non li biasimo, anzi, fin dall'inizio ho sempre dichiarato a tutti che ero disponibile a ogni modifica funzionale alla loro tutela. Altri lavoratori, invece, hanno accettato di continuare, non vogliono retrocedere nonostante le gravissime pressione ricevute negli ultimi giorni.
Avevamo previsto la presentazione del film il 16 di marzo a Genova. In ogni modo cercheremo di mantenere l'impegno: lo dobbiamo soprattutto a quelle tante persone che hanno offerto il proprio volto e la propria voce all'obiettivo di una telecamera, e lo dobbiamo a tutti quei lavoratori che ogni giorno, in ogni ora del giorno della notte, in tuta e guanti rischiano la vita in porto, fra container e fasci di tubi di acciaio, pilastri di cemento e mezzi pesanti, gru e montagne di carbone e caolino. "Sono diventati come soldati per lavorare – mi ha raccontato un vecchio sindacalista che la trasformazione del porto l'ha vissuta tutta sulla propria pelle – vivono come bestie e si fanno male come bestie".
Anche e soprattutto per loro è stato girato questo film.
Pietro Orsatti
La storia del Porto di Genova su Wikipedia
Una storia del porto di Genova per gli appassionati di cartografia
Alcuni dati sull'attività del porto, a cura dell'Autorità Portuale