di Ashoka
E' stata spesso citata, in questi giorni posteriori alla vittoria nei mondiali di calcio, l'espressione, coniata da Giovenale, “panem et circenses”, pratica formula romana con cui veniva indicata la strategia per mantenere sotto controllo la popolazione, fornendo loro elargizioni economiche e svaghi.
Ma è ancora una formula che rappresenta la realtà odierna?
Certamente la vittoria della quarta coppa del mondo ha liberato, nei tifosi italiani, ma non solo, una gioia grandissima, quasi irreale ed infantile. La voglia di far festa si è impadronita di milioni di italiani i quali si sono catapultati nelle strade a festeggiare, a cantare, a danzare, … … ad intonare cori di trionfo e di sfottò. Le vie e le piazze delle città italiane sono diventate un tripudio di bandiere tricolori, di cori celebrativi dell'Italia e della sua nazionale di calcio.
Prontamente i politici di ogni colore e schieramento hanno subito voluto incanalare questo sentimento nella direzione voluta, trasformando la “gioia nazionale” in “unità nazionale” sottintendendo in quest'ultima formula l'unione di tutti gli italiani all'interno dello Stato e del suo governo. In altre parole trasformando la festa sportiva in legittimazione popolare.
Ma è stata solo una panacea temporanea. Ora non funziona più così bene.
Finché lo Stato ed il governo, come nel caso della Roma imperiale o della Francia di Luigi XIV, erano percepiti come un qualcosa che traesse legittimazione divina, il meccanismo panem et circenses aveva la sua efficacia ottimale. Il governante, infatti, concedendo pane e divertimenti, utilizzava queste misure per fabbricarsi il consenso, ma era un consenso accessorio, volto a limitare le tensioni sociali e a prevenire rivolte, non a legittimare il potere.
In democrazia, invece, il governante sostiene di rappresentare il cosiddetto “volere popolare”. Il consenso non è più solo un accessorio utile a permettere il funzionamento del meccanismo “Stato” ma ne è diventata la fonte di energia che lo alimenta e lo perpetua.
Deve poggiare, quindi, su qualcosa di più duraturo di una vittoria sportiva o del sentimento nazionalistico per sopravvivere; deve dare dimostrazione al “popolo” di non essere perfetto ma, al contempo, di avere al suo interno i meccanismi stessi in grado di intervenire a correggere gli errori, ad individuare e punire le mele marce; in altre parole, essere riformabile dall'interno.
Sono necessari, quindi, nuovi spettacoli capaci di provocare la katharsys aristotelica, rassicurare le folle, e permettere alle oligarchie di perpetuare il proprio potere: gli scandali.
Non tutto, ovviamente, viene a galla ma ogni tanto in prima pagina possiamo leggere di indagini della magistratura che individuano, in questo o quel ramo della burocrazia statale, del marcio.
Lo sappiamo tutti, del resto, che .i politici rubano, i militari commettono atrocità senza fine, i giudici stessi sono corrotti, i servizi segreti ci controllano sin dentro le nostre case e che buona parte degli atti terroristici sono compiuti dallo Stato stesso..... Eppure...
Quando scoppia lo scandalo, esso travolge tutto e tutti, come un'onda impetuosa, e la gente si indigna, protesta, sbraita, urla, aspetta i colpevoli per bersagliarli di monetine, manifesta tutto il suo disgusto, ma poi?
Come il bicarbonato, un bel ruttino, per digerire, e si va avanti.... come sempre.. e si dimentica.
Ed allora, come Dario Fo faceva dire al Matto in “Morte accidentale di un anarchico”,
Che lo si voglia o non lo si voglia, giustizia e verità io impongo, farò l'impossibile perché gli scandali esplodano nel modo più clamoroso, e non temiate che, nel marcio, non venga sommersa ogni autorità. Ben venga ogni scandalo, ché, su di esso, si fonda il potere più duraturo dello Stato
[..]
E chi se ne frega... l'importante è che scoppi lo scandalo... Nolimus aut velimus! E che anche il popolo italian come quello Americano, Inglese diventi socialdemocratico e moderno e possa finalmente esclamare «siamo nello sterco sino al collo è vero, ed è proprio per questo che camminiamo a testa alta!»
Ashoka
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