di Enrico Sabatino
Con la fiducia del Senato accordata al governo, la crisi è rientrata nello spazio di una settimana nonostante il thriller mediatico creato attorno ai senatori Pallaro e Follini.
Si è cercato di alzare l’audience sull’esito di questa crisi di governo per creare artatamente una falsa suspance ma era ovvio che un senatore eletto e residente all’estero votasse la fiducia insieme alla maggioranza – come aveva fatto del resto anche per la mozione sulla politica estera che aveva causato la crisi – in quanto per chi si propone di fare gli interessi di una comunità italiana all’estero, ... ... nel caso specifico quella residente in Argentina, votare contro il governo sarebbe proprio da pirla.
L’esito della votazione al Senato ha quindi confermato i numeri di sempre, con l’unica differenza che al posto di un senatore di centro tendente a destra come De Gregorio, eletto nella lista dell’Italia dei Valori, c’è ora un senatore di centro tendente a sinistra come Follini; spostando paradossalmente l’asse della maggioranza che sostiene il governo proprio verso sinistra.
De Gregorio si era infatti quasi da subito schierato contro il governo per una serie di motivi: non è stato nominato Ministro per gli Italiani all’estero, non ha ottenuto fondi governativi per la televisione del suo movimento “Italiani nel Mondo”, si è fatto eleggere Presidente della Commissione Difesa del Senato con i voti decisivi della CDL facendo fuori la senatrice Menapace di Rifondazione Comunista - candidata dell’Unione per quella carica – e si è battuto nel corso di questi mesi per gli aumenti delle spese della Difesa. Ma nonostante il Governo le abbia aumentate in Finanziaria - venendo meno con ciò a quanto scritto nel programma - non le aveva ritenute sufficienti, aggiungendo così un ulteriore motivo per approdare nel centrodestra.
Il percorso di Follini invece parte da lontano ed è molto più coerente e lineare di quello di De Gregorio; inizia infatti quando, da vice premier, ha costretto Berlusconi a dimettersi dopo le elezioni regionali del 2005 e a formare un nuovo governo a cui poi non ha partecipato; percorso proseguito dopo con le sue dimissioni anche da segretario dell’UDC e sfociato nella successiva fuoriuscita dal partito.
Comunque sia i numeri al Senato sono quelli da sempre e infatti il risultato finale, anche se ovviamente all’ultimo voto, è stato lo stesso di quando si è votata la fiducia a Maggio. I senatori eletti che hanno votato la fiducia rimangono 158, a cui bisognerebbe aggiungere il presidente del Senato Marini che però non vota.
Una situazione quindi invariata anche perché nessun partito presente in Parlamento vuole andare ad elezioni subito. Certo alcuni partiti dell’opposizione, Lega e Forza Italia, avevano dichiarato che sarebbe stato meglio andare al voto ma lo hanno fatto in maniera poco convincente e solo per cercare di rassicurare la propria base elettorale. Ha forse alzato la voce un po’ la Lega ma solo leggermente di più rispetto al sussurro di Berlusconi.
Fini e Casini invece hanno fatto capire chiaramente che di elezioni subito non se ne parla proprio perché il loro obiettivo politico è ormai da tempo quello di isolare Berlusconi puntando a rubargli l’elettorato, una volta che questo sarà orfano del grande capo. L’ennesima riprova di ciò sono state le loro reazioni alla velleitaria proposta delle primarie nel centrodestra lanciata pochi giorni fa da Berlusconi; Casini l’ha definita una boutade mentre Fini non si è neanche degnato di rispondere. Ormai nel centrodestra ognuno gioca per sé e Berlusconi, pur a capo del partito di maggioranza relativa, non ha più quella leadership riconosciuta dai suoi (ex) alleati.
Quindi con un’opposizione divisa in cui ognuno va in ordine sparso e con l’Unione perdente nei sondaggi - che però danno per scontata un’unità della CDL che nei fatti non c’è più - le elezioni non erano affatto dietro l’angolo. Da qui il prevedibile voto che ha rinnovato la fiducia al governo.
Ma anche i famosi 12 punti non rappresentano una novità. Infatti leggendo le 281 pagine del Programma con cui l’Unione si è presentato alle elezioni si può notare che questi 12 punti sono solo un estratto di alcuni capitoli già presenti nel programma, anche se scritti con parole più fumose e meno nette di quelle dei 12 punti.
Certo, nel programma non si menziona nello specifico l’Afghanistan ma quando viene affrontato il tema del rapporto Italia-ONU-UE-NATO in cui si afferma la priorità data al multilateralismo, non ci si può poi stupire se la permanenza della missione militare in Afghanistan sia tra i 12 punti.
Lo stesso dicasi per la TAV, non è infatti una novità il suo inserimento nei 12 punti visto che nel programma era già scritto “In particolare per le città proponiamo di:…………….dare adeguata risposta alle esigenze dei pendolari rafforzando il trasporto ferroviario metropolitano e regionale, accelerando gli investimenti sui nodi, incrementando e ammodernando i treni e prevedendo un’efficace azione di indirizzo e coordinamento, d’intesa con gli enti locali, delle scelte di riconversione delle tracce liberate dall’entrata in funzione dell’alta velocità;……………
Con riferimento al settore delle ferrovie, proponiamo di proseguire lungo il solco tracciato dai governi di centrosinistra nell'adozione dello standard di Alta Capacità della rete, come strumento di potenziamento del trasporto di persone e di merci e dunque di alleggerimento del traffico stradale. Proponiamo inoltre l'adozione di un programma pluriennale di investimento sul materiale rotabile, che possa diventare anche un’occasione per il rilancio di ciò che rimane del settore industriale di riferimento”.
Quindi anche se non si parla specificatamente della Torino-Lione, si capisce che si è favore della sua costruzione, pur naturalmente tenendo conto del dialogo con gli enti locali e con la popolazione che vive nelle zone interessate. L’obiettivo tracciato nel programma era infatti quello di spostare il trasporto delle merci dalla gomma alla rotaia, e non è una novità che adesso sia scritto chiaramente nei 12 punti “Infrastrutture e Tav. Rapida attuazione del piano infrastrutturale e in particolare ai corridoi europei (compresa la Torino-Lione)”.
Anche sui DICO non ci sono novità, pur non essendo presenti tra i 12 punti, perché il governo ha già presentato una proposta di legge e ora tocca al Parlamento esaminarla e votarla. Anzi, ci sono molte più possibilità che passi attraverso un voto parlamentare trasversale che richiama la libertà di coscienza, piuttosto che con la blindatura della maggioranza per un voto di fiducia dall’esito probabilmente letale sia per i DICO che per lo stesso governo.
In sintesi si può concludere che ciò che prima si intuiva dalle pagine del programma ora è scritto ben chiaramente nei 12 punti. C’è perciò continuità tra il programma e i 12 punti che ovviamente adesso sono diventati prioritari nell’azione del governo per i prossimi mesi, ma pur sempre estrapolati dalle 281 pagine del Programma.
Una futura azione programmatica di governo che si riassume poi solo in 10 punti, perché due riguardano il ruolo del portavoce del governo e l’autorità del premier.
In fin dei conti il programma è sempre lo stesso, i numeri al Senato pure e praticamente rispetto a una settimana fa non è cambiato nulla.
Anzi, non è successo niente.
Enrico Sabatino