“Dire sempre la verità, la nuda e cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi e delle maniere, delle ipocrisie e delle convenzioni sociali, tutto ciò porterà presto all'isolamento e, agli occhi degli altri, alla pazzia.” - Pirandello
di Calvero
Che venissi ferito da un sentimento tale, in questa maniera, mi è accaduto oggi. Ma verso cosa poi (?), non l’ho focalizzato immediatamente. Parlavo ai miei pensieri e i miei pensieri raccontavano che mi ero stancato di essere attraversato dagli ultimi avvenimenti come se dovessi comprendere di più, magari meglio, o più dettagliatamente. Poi ho iniziato a identificare e a toccare un sentimento più straziante del solito; forse nuovo, e ho cominciato ad ascoltarlo. E così con questo tipo di emozione, ora, comincio a sentire in gola che non è solo mio questo percepire.
Stasera a cena, ho visto negli occhi dei Miei una delusione silenziosa ed essa usava le stesse parole che il mio stomaco aveva già annodato con rabbia quando, nelle immagini barbare del linciaggio libico viste qualche ora prima sul PC, ho sentito l’impotenza di sapere che nessun ragionamento avrebbe potuto in realtà spiegare come tutto ciò stia facendoci del male.
Qualcosa l’ho compresa e l’ho vissuta spingendomi contemporaneamente in due percorsi virtuali: uno prendeva quello della memoria, l’altro quello dei giorni nostri.
Negli occhi delle persone a me vicine, di mio padre, di mia madre, ho sentito annullarsi le ultime barriere che vorrei vedere cadere nel mondo. Di fronte a questa violenza, al sangue, alle Taglie, alle orge danzanti del branco che si muoveva come un serpente senza testa, agli sguardi vuoti delle giacche di Stato in TV e nei mantra che non hanno più voce umana dei corrispondenti sul campo, ho compreso che a nessuno a tavola stasera stesse importando più niente in realtà di quale bandiera faccia ombra ai cadaveri nei telegiornali, e neanche se i morti siano uomini spacciati per altri, si capiva profondamente come si fosse resettati nella disillusione e quanto l’amore sia una forza che deve riprendersi il suo posto.
Nei nostri occhi i colori non hanno valenze denigranti ed è proprio lì che abbiamo smesso di studiarci... ... ho incominciato a sentire profondamente quanto in realtà sia lacerante la poesia di un’Alba tanto desiderata. Non ce ne siamo accorti di quanto, ma soprattutto COME, spietatamente la nostra intimità è stata violata e violentata in questi anni. Abbiamo in realtà trasformato il senso della distanza. Di altri continenti, di altri Paesi, di altre città.
Però agli occhi di molte persone, questa la mia sensazione, si stanno dissolvendo anche quelle differenze immaginarie tra i “nemici” che si combattono in maniera sempre più alienata. Lo sdegno ci sta portando ad acquisire una visione di insieme più lucida. Forse stiamo diventando uomini. Ci sono persone che cominciano a sentire che l’utopia di essere Liberi e sganciati dal Sistema non è più lontana dell’utopia di vedere una giustizia nascere dai palazzi di Stato.
Nel percorso della memoria personale ho rivissuto l’orgoglio di varie sconfitte; mi ero sganciato, anni fa, scegliendo oggi per domani, di svestire un’Uniforme di Polizia che mi garantiva non poco. E pochi momenti contano come quelli che seguono ad un salto nel buio.
Molto accade quando si cambia. Nasce anche un tipo di disprezzo nei tuoi confronti che si fa più sottile man mano che si dà forza al nuovo percorso, e gli altri non sono più “gli altri” di prima. In realtà, slegandosi da una zavorra personale, un’altra cosa si incrina insieme a ciò; si incrina il senso comune della realtà così come era prima allineata, percepita. Ma non esistono solo le Uniformi come quella che portavo io: - «Cercate le vostre.» era così che rispondevo se ritenevo che spiegarlo a qualcuno potesse servire a qualcosa. E cerco sempre quelle invisibili che mi vestono nella quotidianità. Per distruggerle.
«Anche il viaggio più lungo inizia con un passo» ... e con questo sentimento avevo iniziato a interagire con il mondo e le persone a me vicine. E a ogni salto nel buio perdevo il rispetto degli altri. Me lo facevo bastare. E dopo mille perdite, la vita regala un amico. Sì, lo so, un bonus di “mille a uno” è severa come lezione. E non si creda che i dispiaceri tramutino in altro (almeno, parlo per me), anzi continuano a dire chi sono e quanto profondamente ho sbagliato, ferito, deluso. A ciò non v’è ritorno.
Ricordo che, in certi ambienti, chi aveva occasione di esercitare il Potere si prostrava principalmente alla cieca logica che un piccolo contributo non potesse portare a un risultato che riguardasse qualcosa di molto più grande. Ho compreso che perdere qualcosa è l’unica maniera per conquistarne un altra. Sento che nel mondo che si vorrebbe più bello, c’è per noi un ostacolo da novanta: non vogliamo perdere ciò che abbiamo. Comprendere quanto le cose ti posseggano quando ti illudevi che fossi tu a possederle, è un’interessante prospettiva direi. Già. Credo che finché si ha la possibilità di dire NO, significa che la battaglia è possibile. E mi si stringe il cuore e mi pervade la rabbia se penso a chi non può più avere questo onore. In questo risiede una nobiltà rara.
Le macchinazioni sono distanti dagli uomini, e poco conta cosa le muova in un ordine di idee e di priorità che le vogliono denunciare e distruggere. Quello che conta siamo Noi. Se quel che sentiamo esser buono, lo si vive, allora si diviene messaggio. Così allo specchio mi dico - hai, fratello, con te il tuo messaggio?
Comunque, vi racconto questa vicenda.
In un percorso quasi politico che comunque, anni fa, non si voleva porre né a destra né a sinistra (e fin qui ero d’accordo), mi misi di impegno per contribuire ad un movimento che mirasse a dare senso all’informazione; la cosa era a livello regionale e nazionale; ricordo che in uno scambio di opinioni con i dirigenti si cercò di alzare il tiro per cercare di toccare le dinamiche delle cospirazioni, del potere economico dietro alla politica, di andare a mettere meglio il dito nella piaga e proporre scelte d’azione mirate. La risposta di Massimo Fini fu che era troppo presto per attaccare il Palazzo d’inverno. Mi colpì la sua consapevolezza su certi temi e altre questioni delicate, come se le tenesse in un comparto da gestire diversamente, se mai si fosse dovuto gestirlo.
Me ne andai.
Anche qui, in Regione Friuli (in quegli anni ero operaio in una acciaieria), prendevo atto che arrivavano ottimi risultati attraverso la gente e il contatto reale con loro. Con dei volantini che colpivano il segno, con bancarelle che portavano le ricerche di vari autori da Icke ad Hamer a Mazzucco a Blondet eccetera eccetera. Ci si diede da fare. L’importante era creare un comune denominatore, senza sposare per forza una tesi piuttosto che un’altra. Si potevano conoscere le persone e insieme sentire la voglia di mettersi in gioco. C’era molta più apertura mentale di quanto mi aspettassi, e anche da persone veramente anziane; si poteva discutere di Signoraggio, 9/11 e scie chimiche, parlando come si mangia. Era una soddisfazione.
Venni a sapere delle dritte su Beppe Grillo che tuttora direbbero molto, ma non posso parlarne in pubblico. Ma l’ostacolo fu la vanità e il desiderio di fare carriera. Mi venne la nausea. Intanto si ottennero anche dei risultati concreti, piccoli ma concreti, quando nei soliti abusi burocratici di provincia qualche comune mortale veniva messo all’angolo. Bastava prendere posizione e la vittima di un sopruso si trovava circondata da solidarietà attiva. E il “lupo” doveva rinunciare ad attaccare.
Si raggiunse una visibilità tale che i capi vollero tentare una strada politica (trascinandomi, nel caso, con loro), una strada che sarebbe andata a ricadere negli stessi meccanismi che non avrebbero voluto saperne di quella gente comune che partecipava attivamente. Si sarebbe preteso invece il loro beneplacito ad agire. Insomma, chi era uscito dalla politica ed era stato cacciato dalla porta, voleva rientrare dalla finestra. Chi non c’era arrivato, stava cavalcando un’onda genuina. Ma io, non avendo mai visto onestà, risultati e onore a rappresentare qualcun altro, dissi no. E sfasciai il loro “sogni” di gloria.
Me ne andai.
Credo che si sia dimenticato cosa significhi partire dal basso. E credo che si sia dimenticato quanto sia degradante demandare a qualcun altro di gestire la tua terra, la tua vita, i tuoi problemi. Ma credo soprattutto che i giochi odierni mirino a farci dimenticare che sbagliare non è un reato. Si chiama responsabilità. E questo ad esempio è il principio cardine che dovrebbe muovere ad essere solidali con il NO TAV ... è più importante la nostra auto-determinazione che non tutte le ragioni di questo mondo. Non siamo perfetti, si sa, ma lo si deve essere con le proprie gambe, vale anche per una collettività.
Personalmente amo e mi affascina chi non ha fardelli, se non il suo cuore... che poi è il peso sufficiente a dirmi tutto quel che mi serve. E in questo non ci vedo una filosofia distante da scelte pragmatiche e razionali, se è il sentimento che spinge ad agire e a scegliere.
In questi giorni sento veramente una fitta nel mio animo, e mi andava di parlarne. In questi giorni sto vedendo occhi tristi e persi in un desiderio che brama un’Alba che meritiamo. Siamo stanchi. Sento che si dovrebbe cambiare il senso delle distanze, si dovrebbero rideterminare molte misure. E non credo che spetterà a noi vivere il mondo che verrà né sapere come sarà, ci vuole umiltà e combattere per risultati che forse non saremo noi a vedere. Ma credo che spetti a noi usare l’unico potere giusto che abbiamo, che è lecito, che è onesto, e che è l’unico che non ha il baricentro spostato in ideologie, e che quindi non si arroga nulla ed è legittimo. Il potere di cambiare noi stessi. E sento che vale anche per tutti gli altri esseri umani, di oggi e di domani, di altri continenti, di altri Paesi, di altre città.
Calvero
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