Il giudice Leonie Brinkema ha sospeso ieri tutte le procedure del processo a Zacharias Massaoui, dopo che è stata scoperta una grave violazione delle regole da parte dell'accusa, cioè lo stesso governo federale.
Pare che un avvocato dell'accusa abbia indebitamente "allenato" ben sette dei testimoni che il governo intendeva portare alla sbarra nei prossimi giorni. Il "coaching" dei testimoni è lecito in condizioni normali, ma diventa espressamente proibito, quando a farlo sia una persona che è al corrente di informazioni riservate che sono destinate ad essere rese pubbliche solo il giorno del processo. Anticipando invece queste informazioni ai testimoni, tramite email e tramite incontri diretti, l'avvocato dell'accusa li avrebbe condizionati a "vedere" il caso da un'angolazione molto particolare. Talmente particolare, in effetti, da coincidere perfettamente con gli interessi dell'FBI nel caso in questione.
Lo stesso pubblico ministero ha riconosciuto davanti al giudice che questa violazione è stata molto grave, ... ... e che rischia ora di mettere a repentaglio le possibilità stesse di successo dell'azione penale contro Massaoui.
Secondo la legge federale infatti il processo rischia di venire archiviato come "unfair trial" ("processo ingiusto"), nel qual caso la pena di morte resta automaticamente esclusa dalle possibilità di verdetto. Con tutta probabilità quindi Massaoui - come già avevamo previsto nell'articolo iniziale - dovrà "accontentarsi" di una condanna all'ergastolo, senza possibilità di sconto della pena.
A quel che sembra di capire, dalle mezze frasi pronunciate dal giudice nell'annunciare la sospensione del processo, le "spiate" passate ai testimoni tendevano a "modificare" - e quindi a mettere anticipatamente sotto controllo - proprio quei delicati aspetti della vicenda che vedono Massaoui effettivamente collegato all'FBI da molto prima di quanto ufficialmente dichiarato. Torna così alla mente la famosa frase pronunciata da Massaoui, il giorno stesso del suo arresto, che aveva inizialmente lasciato tutti molto perplessi: "Non avevo nessun bisogno di nascondermi - disse Massaoui, chiaramente indignato per la sceneggiata delle manette sotto i riflettori - L'FBI sa benissimo chi io sia, e sapevano dove trovarmi in qualunque momento".
Se non altro, possiamo affermare che di sicuro lo sapesse l'agente Coleen Rowley, la coraggiosa detective di Minneapolis che in seguito denunciò i propri superiori per aver sistematicamente affossato le sue indagini su Massaoui. Ma il sospetto è che Massauoi stia parlando di un'"altra FBI", e cioè proprio di quella, trasversale e segreta, che pare essere coinvolta fino al midollo negli attentati dell'11 settembre, e che già risultò coinvolta in maniera imbarazzante nell'attentato al WTC del 1993.
Come rivelato ai tempi dal New York Times e dal Chicago Tribune, erano stati addirittura loro a fornire all'attentatore l'esplosivo necessario, all'interno di una versione ufficiale degna delle migliori comiche di Chaplin. In quell'attentato morirono sei persone, e ne restarono ferite quasi un centinaio.
I giudici federali, come la Brinkema, sanno spesso chiudere un occhio per non vedere cose che non devono vedere, ma c'è una cosa a cui tengono più di ogni altra al mondo: la credibilità del loro stesso operato. Diventa quindi molto difficile per il governo federale giocare la pericolosa partita dell'ambiguità, stando coi "buoni" e coi "cattivi" insieme, quando alla fine deve comunque passare al vaglio dello stesso sistema di giustizia che intende utilizzare per siglare con il successo di una condanna a morte - del classico capro espiatorio, come in questo caso era chiaramente Massaoui - le proprie operazione non sempre pulite ed oneste.
Massimo Mazzucco
VEDI ANCHE:
"Ma chi è Al-Queda?" per la bomba al WTC del 1993 (circa a metà pagina).
"Tutto per una misera bugia" per la fase finale del processo a Massaoui.
"I 19 assi del cielo" per il caso di Coleen Rowley e delle indagini affossate su Massaoui.