Il noto scienziato americano Ray Kurzweil ha dichiarato che entro il 2029 l’intelligenza artificiale avrà raggiunto il livello di quella umana.
Kurtzweil vede un futuro, relativamente vicino, nel quale microscopici robots – i cosiddetti
nanobots – impiantati nel cervello umano gli daranno un “boost” di intelligenza supplementare, oppure circoleranno liberi per il corpo con il compito di curare le nostre malattie.
I
nanobots – dice Kurtzweil - “potranno raggiungere i nostri neuroni attraverso i capillari”, e "ci renderanno più intelligenti, aiutandoci a ricordare meglio”.
Nel suo entusiasmo per le nuove conquiste tecnologiche, Kurtzweil sembra dimenticarsi però di un problema fondamentale: la macchine non sanno fare assolutamente nulla che non le sia stato prima insegnato.
Quello dell’Intelligenza Artificiale è soltanto un mastodontico ossimoro, in quanto il termine “intelligenza” presume una capacità di decidere – il famoso “libero arbitrio” - che le macchine non hanno per definizione: una macchina può soltanto eseguire degli ordini, e anche le “scelte” più sofisticate, come ad esempio le mosse di una partita a scacchi, derivano in realtà da un processo analitico già stabilito in precedenza fin nel minimo particolare.
A sua volta l’uomo, per insegnare alla macchina una qualunque cosa, ha prima bisogno di comprenderla a fondo. Come potremo quindi insegnare a una macchina a “curare le nostre malattie”, quando nella grande maggioranza dei casi non ne conosciamo nemmeno l’origine?
Di fronte a una medicina moderna che ancora combatte i tumori con strumenti degni dell’Inquisizione (in realtà sanno solo tagliare, bruciare o avvelenare, anche se le chiamano “chirurgia excisionale”, “radioterapia” e “chemioterapia”), fa quasi tenerezza vedere questi uomini di scienza ... ... che si affidano ciecamente alle “macchine”, quasi come a un miracoloso sostituto per la loro palese impotenza.
Le macchine risolveranno i nostri problemi, certamente, ma solo dopo che noi per primi li avremo capiti.
A sua volta, Kurzweil fa parte di un gruppo di 18 “pensatori influenti” a cui è stato chiesto di preannunciare quali saranno, secondo loro, le sfide tecnologiche più importanti che attendono l’umanità del 21° secolo. Questa è la lista, non è chiaro se in ordine sparso o prioritario:
Make solar energy affordable - Rendere conveniente l’energia solare
Provide energy from fusion - Produrre energia dalla fusione (atomica)
Develop carbon sequestration - Sviluppare l'"imprigionamento" del carbonio
Manage the nitrogen cycle - Gestire il ciclo dell'azoto
Provide access to clean water - Fornire acqua pulita
Reverse engineer the brain - Decodificare/replicare il cervello
Prevent nuclear terror - Prevenire il terrorismo nucleare
Secure cyberspace - Rendere sicuro il cyberspazio (Internet)
Enhance virtual reality - Espandere la Realtà Virtuale
Improve urban infrastructure - Migliorare le infrastrutture urbane
Advance health informatics - Sviluppare l’informatica della salute
Engineer better medicines - Confezionare /Costruire medicine migliori
Advance personalised learning - Sviluppare l’apprendimento personalizzato
Explore natural frontiers - Esplorare le frontiere della natura.
A parte la presenza anomala di classici temi “governativi” - come la lotta al terrorismo o il controllo di Internet - in quella che dovrebbe essere una arena prettamente tecnologica, salta all'occhio la assoluta mancanza di una sfida sul fronte della medicina, che non sia quello dell’ “engineering” – cioè confezionare, o costruire, letteralmente - dei medicinali migliori in laboratorio, oppure quello di migliorarne la gestione informatica.
Mentre quindi la comunità scientifica si propone di esplorare le frontiere della natura (viaggi spaziali, abissi oceanici), non pensa in alcun modo ad esplorare le frontiere molto più anguste in cui si ritova oggi confinata la medicina moderna: invece di cercare di capire le origini di certe malattie, pensa solo a mettere a punto farmaci “migliori”, che potranno magari essere più efficaci di quelli attuali, ma che faranno sempre e comunque parte di quella filosofia allopatica che si è ormai dimostrata perdente su ogni fronte.
Sia chiaro: la scienza moderna è qualcosa di meraviglioso, e chi ha vissuto nei nostri tempi non potrebbe mai più tornare in un mondo in cui non esisteva l’anestesia, o la stessa corrente elettrica ancora non era stata scoperta.
Il problema si pone quando la scienza presume di poter risolvere tutti i problemi dell’umanità, compreso quindi quello della conoscenza, nonostante i limiti che la scienza stessa impone alla conoscenza umana: se una cosa non si vede, non si sente, o non si può comunque replicare in laboratorio – non dimentichiamolo - per la scienza non esiste e basta.
Mentre dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che viviamo in un universo del quale la dimensione fisica non è che una delle tante, e la stessa fisica quantistica ha già ampiamente dimostrato questo fatto.
Più in generale, infatti, ci accorgiamo che dalla lista di ”obiettivi tecnologici” dei prossimi decenni manca proprio una chiara volontà di affrontare tutte le grandi problematiche dell’umanità in forma unitaria e coerente, con un disegno unico che riunisca finalmente le grandi branche del sapere verso un miglioramento del nostro livello di vita che non sia solo tecnologico, ma soprattutto antropologico.
Massimo Mazzucco
Fonte
BBC
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