Vedere Americas Reaparecidas di Fulvio Grimaldi è stato per me un violento, struggente, ma anche fortificante tuffo nel passato. Un tuffo, prima di tutto, nel passato del giornalismo, quello vero, quello di una volta.
Erano anni che non vedevo una persona - un essere umano, intendo, con tutte le emozione dipinte sul volto, e non un ibrido pupazzo asettico uscito dai sondaggi di gradimento della CNN - aggirarsi col microfono in mano nel mondo vero di altri esseri umani. Ho visto qualcuno bussare con delicatezza, entrare con dolcezza nelle vite altrui, e vedersi ripagato con la moneta piu rara e preziosa di questo mondo, il sorriso di un altro essere umano.
Americas Reaparecidas è un documentario antico e modernissimo insieme, che riesce a mescolare la retorica della rivoluzione - la ridondanza dell' "Internazionale" a volte è quasi ossessiva - con una rivoluzione della retorica, nel senso che salta a piè pari tutte le trappole di tipo evocativo, e adotta un linguaggio talmente semplice e pulito da portarci a visitare direttamente il cuore delle persone.
Cuba, Argentina, Brasile, Venezuela. Oppure: tenacia, riscatto, rinascita, illusione.
Come il lungomare di La Havana, perfettamente identico a se stesso da cinquant'anni, … … Cuba ci appare ferma, immobile nel tempo, prigioniera del proprio sogno realizzato solo a metà: educazione, cibo e sanità - fra le migliori al mondo - per tutti, fanno da stridente contrasto con la povertà generale imposta dallo strozzinaggio dell'embargo perenne. Fissata sugli slogan un pò consunti che l'hanno tenuta in qualche modo unita nonostante tutto, Cuba sembra ormai attendere solo che scompaia Fidel per conoscere il suo vero destino. Raùl appare troppo piccolo, sia di statura che di carisma, accanto al barbudo ultraottantenne, per legittimare una speranza di continuità effettiva al momento della sua morte. Ma ormai l'esempio è stato dato, e nessuno potrà mai cancellare il fatto che Castro - l'uomo che secondo i piani della CIA doveva durare solo alcune settimane - sia riuscito a sopravvivere, fisicamente e politicamente, ad almeno dieci presidenti americani: Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford, Carter, Reagan, Bush padre, Clinton, Bush figlio. E se solo Fidel arrivasse al 2008, i presidenti diventerebbero undici.
Qualcosa ci deve pur essere, in quell'esperimento politico chiamato socialismo, per aver retto per quasi cinquant'anni in condizioni tutt'altro che facili. E quel qualcosa - sembra suggerire Grimaldi - ha brillato abbastanza a lungo da accendere nuove speranze fino all'estremo opposto del continente. L'Argentina che cinque anni fa si era ritrovata a terra, con le casse statali completamente vuote, senza leadership e senza futuro, ha saputo riprendersi non solo economicamente ma anche moralmente. Fabbriche occupate e autogestite mostrano che non è assolutamente necessario perdere soldi nel farle funzionare, e che con un pò di oculatezza si riesce persino ad andare in attivo. Ora sappiamo quanto costa una cucitrice - dice una lavorante di una fabbrica di vestiti - sappiamo quanto costa il tessuto al metro, sappiamo quanto costano assicurazione e previdenza sociale, e possiamo quindi calcolare quanto ci veniva rubato giornalmente dai proprietari di una volta.
La presa di coscienza della classe popolare è anche la chiave di lettura del Brasile di Lula, a cui Grimaldi riconosce i giusti meriti senza per questo incensarlo spudoratamente. Non è facile portare a tutti una buona educazione, in un paese dove le foreste coprono il settanta per cento del territorio, i grandi fiumi sono ancora la via principale di comunicazione, e ti ritrovi la mafia dei proprietari terrieri lungo ogni metro del tuo cammino.
Ma soprattutto, quello che strangola Brasile e Argentina è la morsa ricattatrice del debito pubblico, che ha consegnato i due principali paesi sudamericani nelle mani del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale: apparenti salvatori, visti da lontano, si rivelano invece perfidi aguzzini nelle mani degli Yanquis, che controllando la ricchezza di buona parte del mondo ne controllano in pari misura anche la povertà.
La miseria in sudamerica non è cambiata, e le sproporzioni grottesche fra ricchi e poveri non si sono spostate di molto da quell'uno per cento che le ha caratterizzate sin dall'inizio. Solo partendo dal colonialismo spagnolo, e seguendo la sua evoluzione nell'imperialismo americano - che considera il sudamerica alla stregua del granaio di casa, da cui attingere ogni ben di Dio ogni volta che ne senta il bisogno - è possibile capire come un continente fra i più ricchi di risorse al mondo sia fra i più poveri in assoluto dal punto di vista dello standard di vita.
Folgorante in questo senso la dichiarazione di un padre francescano, buon erede della Teologia della Liberazione: "Non abbiamo bisogno di nessuna elemosina da parte del mondo. Basta che non ci rubino tutto quello che abbiamo".
E persino nel "ruspante" Venezuela di Chavez, dove il petrolio sta chiaramente facendo la differenza, si sente la fatica nel voler "evolvere" troppo in fretta un popolo che fino a ieri ha sofferto in condizioni più o meno simili a quelle dei loro vicini di casa. Non basta dire "socialismo" perchè questo si realizzi d'incanto, non basta dire "siamo tutti uguali" perchè questo avvenga immediatamente, e non basta certo distribuire tre milioni di libri in tutto il paese in un solo week-end per liberarsi da una ignoranza secolare, e quindi "congenita". (E' comunque molto di più rispetto a chi, dalle nostre parti, ha distribuito a tutti i suoi concittadini un piccolo calcolatore con allegata la sua biografia personale, ma questo è tutt'altro discorso).
Il viaggio di Grimaldi, giustamente, si conclude a Cuba, dov'era cominciato, e solo in quel momento ci si accorge che il tono leggero delle interviste, e la presenza invisibile della narrazione, hanno permesso di disegnare una traccia precisa che "unisce i punti" comuni dei quattro paesi visitati, formando una parola chiaramente leggibile attraverso l'intero continente: speranza.
Il popolo del sudamerica sta lentamente ma irreversibilmente prendendo coscienza, e il documentario ti lascia con la precisa sensazione che questo tuffo nel passato possa anche essere stato, in realtà, un visionario e tonificante tuffo nel futuro.
Massimo Mazzucco
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VEDI ANCHE:
"Fidel, meravigliso bastardo, stupendo criminale" un articolo uscito al tempo della polemica per le condanne a morte a Cuba, che costò proprio a Grimaldi la cacciata da Liberazione.
Sudamerica: la guerra silenziosa degli "eserciti privati"
I documenti desecretati della CIA che risalgono all'epoca della rivoluzione:
1959. Primo dispaccio CIA da CUBA: "Sembra che Castro non voglia mollare".
1960. Operazione "questo fa sul serio". Castro diventa il proiblema CIA n. 1