di Andrea Franzoni
Martedì 24 ottobre aerei Nato inquadrati nella missione ISAF hanno colpito, nel corso di un bombardamento notturno nel quale sarebbe stata utilizzata anche artiglieria terrestre, un villaggio situato nella provincia di Kandahar, Afghanistan del sud. All’alba sul campo erano rimaste tra le 50 e le 80 vittime civili, principalmente donne e bambini che costituiscono la maggioranza della popolazione afgana.
La Nato, inizialmente, ha diramato un comunicato felicitandosi per l’uccisione, durante il raid, di «almeno 48 miliziani Talebani». Poi però ha dovuto ricredersi... ...arrivando ad ammettere «diversi morti civili». Tuttavia la colpa è comunque dei talebani. «Il fatto che i talebani usino i civili come una sorta di scudi umani - ha spiegato il rappresentante della Nato in Afghanistan – ci rende il compito molto difficile. Questo non ci impedisce di compiere ogni sforzo per ridurre al minimo le perdite tra i civili».
Si tratta di un vecchio ritornello che si ripropone ormai da cinque anni; da quando cioè l’avvio della guerra al terrore ha rivoluzionato la concezione della “guerra” abituando l’occidente a digerire, come effetti collaterali o brutture necessarie, il macello costante di migliaia di bambini, di donne e di uomini spesso anche innocenti. Per utilizzare un’altra unità di misura il massacro si ripete da diverse decine di vittime civili fa. Ed è sempre colpa degli altri: non di chi butta le bombe (intelligenti) alla cieca (“alla cieca” è un termine prudente, visto che molti al ripetersi di eventi sempre uguali potrebbero denunciare un’intenzione deliberata) ma di chi vive (sia esso apolitico o oppositore della Nato) nei villaggi ribelli su cui cadono queste punizioni esemplari. Due particolari agghiaccianti che è quasi tragicomico ricordare: noi saremmo là per esportare la nostra civiltà superiore e i nostri diritti, e le nostre truppe di pace portano al braccio la medesima toppa dei piloti di aereo che sganciano bombe sui villaggi.
Ma cosa significa che “i talebani usano i civili come scudi umani”? L’affermazione descrive due entità distinte: i “talebani”, esseri antropomorfi che scendono dalle montagne per terrorizzare la popolazione, per lanciare sassi alle adultere e per piazzare mine sotto le ruote dei convogli militari, e i “civili”, creature buone tutte desiderose di democrazia e di iscrivere la propria prole alla “M-TV generation”. Questa distinzione, tuttavia, è oggi un’invenzione dell’occidente.
La realtà è semplice: i “talebani” non sono mostri o terroristi internazionali inquadrati in qualche piano globale. Tutta la popolazione afgana è civile: non esistono eserciti, mercenari, quadri militari. I “talebani” sono uomini e ragazzi stanchi che vivono nelle loro case, nelle città senza lavoro, e non sopportano le imposizioni che l’occupazione degli americani e dei loro sicari porta e, magari, non riescono a continuare a sentire di “vittime civili” in silenzio. Non hanno caserme, non hanno campi d’addestramento, non hanno batterie antiaeree, non hanno covi inespugnabili. Sono cittadini stanchi, magari disorientati, che vivono nelle loro città e tornano a dormire dalle loro mogli; che tentano di tirare avanti i loro commerci e non si chinano al sistema imposto con le armi dall’alto.
D’altra parte non si capisce perché i comandi Nato, da cinque anni a caccia di fantasmi, bombardino i villaggi. Evidentemente qui abitano i “talebani”, qui abita la gente che si vuole piegare. Gente accettata dalle comunità proprio perché da queste comunità essi provengono, in queste comunità essi vivono e hanno casa ed affetti e per questa comunità essi resistono. Molti dei bambini dilaniati dalle bombe sono figli e fratelli di “talebani”. Le donne sono mogli, madri, sorelle di “talebani” o, meglio, sono esse stesse “talebane”. E adesso ammazzateli tutti. Ma sappiate che questo è un film già visto che si intitola “genocidio”.
Sono tre le domande che ci dovremmo fare ma che regolarmente mancano dalle discussioni. Come possiamo fare a sconfiggere questo sentimento ostile spinto anche da frustrazione e indigenza? Come fare in modo che queste popolazioni si pieghino alle nostre indicazioni, ai nostri canoni, ai nostri cannoni? Bombardamenti simili sono evidentemente controproducenti come sono le orribili carceri speciali: dopo eventi simili come possiamo proporci come esponenti di una cultura migliore e rispettosa? E che ne sarà dei giovani cresciuti tra le bombe, tra le case distrutte, i fratelli uccisi e le sorelle magari stuprate? Chi di noi, in quella situazione, avrebbe il coraggio di non votarsi anima e corpo alla lotta “all’invasore”?
Questa domanda ha due radici. Uno: perché ci odiano fino a questo punto? E due: perché dobbiamo arrogarci il diritto di imporre, per di più con la forza, qualcosa che loro mostrano evidentemente di non desiderare (non in sé, probabilmente, ma proprio perché imposto)?
Perché non lasciarli vivere finalmente in pace mettendo fine ai loro tormenti?
Non c’è accordo sui motivi effettivi per cui noi stiamo tentando di schiacciare sotto il nostro tallone l’Afghanistan. Proviamo ad elencarne un po’: ricostruzione del paese, lotta al terrorismo internazionale, esportazione della democrazia e dei diritti, interessi economici (oleodotto e ricostruzione stessa).
I motivi economici non sono quasi mai chiamati in causa; basti ricordare che dalla metà degli anni ’90 gli americani hanno trattato con i Talebani all’epoca al potere per la costruzione di un oleodotto annunciato come rivoluzionario per il mercato globale senza tuttavia strappare l’accordo. L’oleodotto sarebbe dovuto passare proprio dal sud: il governo centrale di Karzai (ex consigliere Unocal, la società –oggi assorbita dalla Chevron- che avrebbe costruito l’opera) firmò il via libera ai lavori appena installatosi al potere ma mancando le condizioni di sicurezza il progetto è finito almeno a livelli ufficiali nel dimenticatoio. E’ evidente, spero, che questa ragione non giustifica alcuna violenza.
Esportazione della democrazia e dei diritti umani: è meglio tollerare e rispettare le donne con il burqa (in quanto loro scelta), aiutare il paese a uscire dalla miseria e sperare che per osmosi assorba il meglio dei principi occidentali che tanto abbiamo a cuore o radere al suolo ogni forma di resistenza creando un peso sulla coscienza dell’occidente di centinaia di migliaia di vittime innocenti e facendo arroccare chi ci è ostile, giustamente, sempre più su posizioni di rifiuto? La realtà odierna mostra come la nostra strategia sia stata, da questo punto di vista, evidentemente errata e soprattutto come sia inutile provare a insistere su questa strada senza cambiare atteggiamento.
Capitolo fantasmi: siamo là per la “lotta al terrorismo globale”. Tuttavia: che pericolo costituiscono realmente essi per noi? Chiaramente nessuno: passando al setaccio il paese non sono emersi né formicai di terroristi, né mezzi o piani per un attacco globale né altro: non sono state nemmeno trovate le prove di alcun coinvolgimento non solo dei talebani ma nemmeno di Bin Laden alla preparazione dell’11 settembre. La “resistenza” è unicamente locale, la capacità offensiva è nulla e abbiamo buone ragioni per credere che il popolo afgano sia decisamente orientato verso un’esigenza pacifica e non verso una guerra globale.
I bombardamenti di villaggi non hanno poi chiaramente nulla a che vedere con la ricostruzione del paese, peraltro gravemente carente e volontariamente “malata” di corruzione a tutti i livelli.
Per punire non si sa cosa l’occidente colmo di diritti e di buoni sentimenti rade al suolo le loro città, uccide le loro donne e i loro bambini, uccide i pacifisti, uccide chi un tempo gli dava il proprio sostegno, uccide i violenti ma –soprattutto- ne va creando molti altri. Poi mette a tutti l’etichetta di “talebani” per accontentare un occidente impegnato solo a inseguire i suoi mostri.
E magari, senza un pizzico di vergogna, arriva anche a chiedere scusa.
I “talebani” sono gente che vuole vivere in pace: sono la “popolazione civile”. A loro modo sono resistenti e partigiani: alcuni con pazienza, aspettando, in maniera pacifica ma ferma, altri sabotando e sparando. Il governo Karzai, lo sanno tutti, controlla al massimo il centro di Kabul, un’enclave nella quale sono ammassati i funzionari stranieri impegnati a fare tonnellate di quattrini principalmente deviando verso le loro tasche i soldi dei contribuenti americani sotto lo sguardo protettivo delle guardie private. Tutto l’Afghanistan è pieno di “talebani”, si chiamino essi signori della guerra, trafficanti di oppio, consigli di villaggio o –in senso stretto- Talebani, e questa è la forma di potere per la quale gli afgani combattono.
Imporre il governo centrale, addomesticato agli interessi geopolitici americani ed adibito ad “americanizzare” l’Afghanistan, è un atto illegale, immorale e in queste condizioni impraticabile.
Così insomma non va. E adesso ammazzateli tutti.
Andrea Franzoni (Mnz86)