Ha deluso Jon Stewart, presentatore a sorpresa degli Oscar, e lo ha fatto al di là di ogni possibile previsione. La stessa persona che aveva "osato" andare alla CNN ad accusare i suoi colleghi più famosi di essere dei "venduti" al sistema, non ha saputo - o voluto - approfittare della platea mondiale in diretta, per lanciare anche un solo strale significativo contro la grande bugia che ci tiene tutti sepolti da 5 anni: quella dell'11 Settembre, e di tutto ciò che ne viene fatto conseguire. Ma Stewart ieri è riuscito a fare ancora di peggio: nel suo evidente desiderio di "accomodarsi" fra i big dello spettacolo senza troppo disturbare, ha finito per rendere una performance opaca e ben poco divertente sotto ogni punto di vista.
Mentre ha cercato la risata facile con l'ennesima battuta su Cheney cacciatore, il suo morso più incisivo, dal punto di vista politico, è stato quello di indicare l'enorme statua dell'Oscar alle sue spalle, ... e di domandare al pubblico in sala: "Secondo voi, se tutti noi tirassimo giù quella statua, in America verrebbe la democrazia?" L'allusione alla statua di Saddam, rovesciata in un piazza di Baghdad "per fare posto alla democrazia", era tanto obliqua quanto inefficace, e non ha fatto ridere quasi nessuno. E' probabile che Stewart abbia voluto mitigare la salacia delle sue battute nel tentativo di andare incontro a un "pubblico più vasto", ma così facendo ha finito per tradire se stesso, ritrovandosi a non accontentare nessuno. Già mezz'ora dopo l'inizio della trasmissione, i blog specializzati ribollivano di commenti negativi sulla sua performance, e molti lo davano per finito.
E' molto difficile percorrere fino in fondo la sottile linea che separa il "successo" (ciò che la società "vuole" da noi), dalla coerenza e dal rispetto che ognuno di noi deve a se stesso.
Chi ci è riuscito fino in fondo è stato Bob Altman, l'unico vero grande "autore", in senso europeo, che l'America abbia mai avuto, e che ieri sera ha ricevuto un amaro ma significativo Oscar alla carriera.
Indipendente fino al midollo, Altman non ha mai accettato i compromessi che Hollywood impone a chiunque voglia entrare nella "sala dei balocchi", e ha sempre sofferto ai margini del campo, riuscendo ogni volta a mettere insieme i suoi film solo grazie all'entusiasmo e alla buona volontà di attori e tecnici famosi, che per lui accettavano spesso di lavorare ai minimi sindacali, pur di contribuire alla realizzazione dei suoi progetti.
Sono così nati, e passati alla storia del cinema, film come
M.A.S.H. (da cui fu poi tratta la lunga e fortunata serie televisiva),
The Long Goodbye (una vera e propria lezione di adattamento letterario, da Chandler),
Nashville (un realistico spaccato del mondo della musica country/western americana),
Pret-a-porter (l'equivalente di Nashville sul mondo della moda),
Streamers (omosessualità fra i Marines, ai tempi del Vietnam),
Shortcuts (un intricato tessuto di banali vicende umane in un metropoli americana). Negli ultimi anni Altman, oggi ottantenne, ha continuato a fare cinema e teatro, senza però aggiungere niente di nuovo al suo discorso già pienamente concluso negli anni '90.
L'amarezza dell'Oscar alla carriera di Altman sta nel riassunto di tutto il suo rapporto con Hollywood: sempre lodato, ma mai cercato da nessuno, cinque volte nominato all'Oscar, ma mai premiato, Altman ha seguito il destino di tutti i registi "scomodi" della storia del cinema americano. Nominati "perchè sono troppo bravi per ignorarli", ma mai premiati, "perchè non si pensi che davvero siamo contenti di quello che fanno". Un esempio altrettanto clamoroso è quello di Martin Scorsese, con 6 nominations e nemmeno un Oscar.
Ma ieri Altman ha dato a tutti una grande lezione di saggezza e di umiltà, rinunciando a qualsiasi battuta vendicativa nei confronti dell'Academy, e mostrandosi troppo innamorato del "suo" cinema per lasciarsi andare a bassezze di qualunque tipo. E' risultato chiarissimo a tutti che a lui la sola possibilità di continuare a fare film basta e avanza, e che del successo patinato che ti offre Hollywood non avrebbe mai saputo che farsene.
Altman ha concluso rivelando al mondo un suo piccolo segreto personale: da dieci anni vive con un cuore non suo, ricevuto da una sconosciuta donatrice di trent'anni. Con il sorriso dolce di un bambino, alla fine Altman ha agitato il dito verso i membri dell'Academy, dicendogli: "Io sono vecchio, ma qui dentro batte un cuore di 40 anni. Calcolate quindi che mi avrete fra i piedi per altri 40 anni almeno."
Un'ultima nota interessante, è stato il ricorrente richiamo al pubblico mondiale, per bocca di personaggi come Tom Hanks, o dello stesso presidente dell'Academy, di "non smettere di andare a vedere i film al cinema". Ma più ci si sentiva dire che "i film in DVD non sono la stessa cosa", più ci si rendeva conto che un'altra epoca sta volgendo al termine, macinata e messa da parte dall'incalzante tecnologia digitale.
L'unico discorso che non si è sentito pronunciare, nella serata del Grande Cinema, è stato l'invito a fare magari dei film un pò più diversi l'uno dall'altro, per non dire poi più profondi o impegnati. Ma questo, come sappiamo, è tutto un altro discorso.
Massimo Mazzucco
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Ladiers and gentlemen, Jon Stewart!