VIZI PRIVATI E PUBBLICHE VIRTU DEI "BOYS" DELLA ENRON. Dalle stripper di Las Vegas ai rally nel deserto, tutto sul conto dell'investitore fiducioso.
di Massimo Mazzucco
Tra le tante piccole cose che torneranno a perseguitare George Bush, al momento cruciale della rielezione, vi sarà anche quella famosa pacca sulla spalla data ad un party a Kenneth Lay (foto all'interno), l'allora presidente della Enron, mentre lo chiamava "Kenny Boy" con tono decisamente paternalistico. Come dire, ti abbiamo creato noi, ragazzo. Per chi non avesse seguito, Enron è stato lo scandalo più grosso dell'era post-capitalistica, nel quale la società-gioiello - lume e nume di tutte le corporations - esplodeva in una bolla di sapone con la scoperta di buchi in bilancio grossi come il traforo del Monte Bianco. Con la consolazione finale di vedere tutti i superboss autoliquidarsi in gran fretta - con assegni milionari - mentre i normali investitori vedevano sfumare il loro sogno di ricchezza insieme ai fondi pensionistici pazientemente accumulati in tanti anni.
Mentre ora sono in corso mille azioni legali, ciò che è emerso di recente rischia di avere l'effetto di un fiammifero in una cisterna di benzina: per gli investitori rimasti sul lastrico infatti, una cosa è vedere i propri soldi scomparire in un astratto gioco di scatole cinesi, un'altra è vederli ricomparire tondi tondi a saldo delle prestazioni, molto più tangibili.... .. di qualche professionista di Las Vegas, con tanto di fotografia che la vede abbracciata al direttore generale, Andrew Fastow (a sin.), accompagnato dal manager di turno nella condivisione dei duri impegni di lavoro (notare l'onnipresente sigaro, simbolo moderno che ha sostituito la svastica nelle stanze del potere - molto più discreto da una parte, con valenze falliche aggiuntive dall'altra). Le piccanti rivelazioni fanno parte di un libro*, in uscita a giorni in America, che dipinge un tale quadro di cinismo ed arroganza da essere pari solo allo squallore di sfondo che colora l'intera operazione criminale.
Fino al giorno prima di dichiarare bancarotta (nel dicembre 2001, cioè a soli tre mesi dal crollo del simbolo per autonomasia delle corporation, le torri gemelle) la vita ai piani alti della Enron era un universo talmente diverso dal nostro da sembrare più che altro la sceneggiatura di un film di Hollywood: hai un'idea per un business qualunque in Europa? Salta sul nostro jet, accomodati per un paio di settimane al George V di Parigi, e innaffia di champagne i tuoi potenziali partner senza farti nessun problema. Nel '98, i 200 impiegati top della Enron avevano portato a casa collettivamente, fra stipendi, ricchi premi e cotillons, la bellezza di 193 milioni di dollari. Quasi un milione a testa, di media. Nel '99, la cifra era salita ad un milione e duecentomila, e nel 2000 - ultimo anno di "profitti" per la Enron - ad un milione e quattrocentomila.
Tutto ciò ha fatto necessariamente nascere, ad un certo punto, dei dubbi agli esperti, i quali sanno benissimo che la prima regola per guadagnare è proprio quella di non scialare.
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Il quartetto di punta della Enron: Kenneth Lay (a.s.), fondatore. Jeff Skilling (a.d.), presidente uscente. Lou Pai, (b.d.) l'architetto delle scatole cinesi (d'altronde...), e Andy Fastow (b.s.), direttore generale.
La cosa triste è che alla fine la battaglia legale intrapresa dagli investitori, se mai porterà a qualche risultato, lo avrà fatto non sull'onda dello sdegno o della sete di giustizia morale, ma solo perchè gli avvocati che portano avanti cause del genere rinunciano volentieri ad essere pagati a tempo, e scelgono invece per sè stessi una succosa percentuale della somma finale vinta in tribunale.
Ovvero, soltanto la rapacità sembra ormai in grado di sconfiggere la rapacità.
Ma dal libro emergono anche altri aspetti delle personalità dei boss, in un certo senso molto più inquietanti. In fondo, trovarli rovinati alle tre del mattino con la ballerina pagata coi soldi altrui, è persino scontato. Un pò meno lo è scoprire che ci fosse una specie di riservatissimo super-club di "daredevils", di gente che ama rischiare la pelle, e che si cimentava per esempio nella pericolosissima Baja Off-Road Race, una gara di moto e auto fuoristrada per super-professionisti, di 1200 miglia, nel deserto della penisola californiana, dove praticamente se ti perdi ti trovano dopo un mese. Oppure in competizioni simili nel deserto australiano (dove se ti perdi non ti trovano proprio più), o sui giacciai della Patagonia (dove non ti vengono nemmeno a cercare).
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I successi o i fallimenti in tali avventure, ovviamente, equivalevano ad avanzamenti o arretramenti nella scala di valori interna al gruppo dirigente.
Pare quindi emergere un tipo di mentalità, quella del "superuomo" - immortale invincibile ed imbattibile (oltre che naturalmente superiore al comune cittadino) - che sarebbe diffusa ai livelli alti delle maggiori corporations, e che aggiunge una sfaccettatura inquietante alla cosiddetta "corporate mentality", che finora vedeva solo il guadagno come unico metro del successo.
Perchè inquietante? Perche bene o male le corporations sono quelle che muovono le leve del potere negli USA, che decidono chi mettere alla presidenza e chi no (democratici ben compresi, non illudiamoci) e che quindi, in ultimissima analisi, influenzano a pioggia la scala di valori generale cui fa riferimento l'intera società.
Lavorare ora "all'indietro" - rispedire al mittente il messaggio nascosto, ogni volta che ti raggiunge - non è certo facile, ma a questo punto diventa imperativo per tutti provarci, ad ogni occasione ed al meglio delle nostre capacità.
Massimo Mazzucco
* "The smartest guys in the room" ("I più furbi del quartiere", più o meno) di Bethany McLean and Peter Elkind, redattori di Fortune Magazine.