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Origine e mistero dell'Alchimia
3 Settimane 6 Giorni fa #61976
da Bastion
Origine e mistero dell'Alchimia è stato creato da Bastion
ORIGINE E MISTERO DELL'ALCHIMIA
Stefano Mayorca
Quando l’uomo preistorico era soggetto alle forze di una natura selvaggia a volte ostile, il senso del sacro e la ricerca di un vissuto cultuale erano al centro della quotidianità, scandivano lo scorrere del tempo e il bisogno di spiegare l’inspiegabile.
I fenomeni naturali, le foreste, i vulcani, i ghiacci, i tuoni e i lampi, le piogge e i terremoti che rendevano viva la materia apparentemente inerte, erano i simboli di quel panteismo e feticismo primordiali di fronte al quale i primi uomini si assoggettavano, pervasi da un timore reverenziale. Tuttavia, la manualità connessa con le necessità della vita e con i bisogni primari fece scoprire all’uomo le sue capacità. E così, manipolando un pugno di fango e traendo da esso una forma rudimentale, l’individuo comprese che era in grado di creare, un senso di potenza e di dominio sulle cose lo rese fiducioso. Questa sensazione non lo avrebbe più abbandonato, ma sarebbe cresciuta aumentando nel contempo le sue conoscenze e il possesso dell’ambiente naturale e della natura stessa. Dopo l’esperienza legata alla lavorazione della pietra, egli s’imbatterà in corpi diversi. Si tratta dei metalli rinvenuti alla superficie, quelli naturali e puri aggrumati da grandi fuochi, trasformati e resi evidenti dai fulmini o dal calore delle colate laviche emesse dagli innumerevoli vulcani. Rame, zinco e altri composti di leghe incoraggiano l’uomo a riprodurre le condizioni naturali che le hanno generate. Nasceranno le prime fornaci, i primi crogiuoli e la società umana si avvierà verso una nuova evoluzione. La civiltà cavernicola lascia il passo alle terremare, ai palafitticoli e al nomadismo.
LE PIETRE CELESTI
Si originano così le condizioni ideali che permetteranno di congiungere varie esperienze. Oltre ai minerali che scaturiscono dal ventre della Grande Madre, la Terra, altri giungeranno dal cielo. I meteoriti piovono in gran numero nel periodo di squilibrio determinato dallo spostamento dell’asse terrestre e proseguito fino a epoche a noi più vicine (l’ultimo, a quanto sembra, risale a 7.000-9.000 anni fa). Queste misteriose pietre celesti, contenenti materiali ferrosi abbastanza puri, oltre a essere gli elementi della prima siderurgia, saranno accolte con rispetto e venerazione. A queste, sarà attribuito un alone di sacralità che le renderà uniche e che accompagnerà la lavorazione del ferro. Nell’ambito di questa sacralità, tutti i metalli e coloro che li lavorano saranno collocati al centro di una concezione che li vedrà proiettati su un piano diverso, che li eleverà a un rango superiore rispetto agli altri uomini. Si costituisce così la prima cerchia ristretta di tecnici, ai quali sarà riconosciuto carattere sacro. Sacri sono gli arnesi utilizzati nel corso della lavorazione di ciascun metallo e sacra la costruzione delle officine e delle fornaci per la fusione, il cui segreto si tramanda di padre in figlio. Ci troviamo di fronte a una delle primissime società iniziatiche: dapprima presenta un aspetto tecnico, in seguito assume un carattere profondamente sacrale, le cui valenze ermetiche e alchemiche si vanno rapidamente delineando. Secondo Eliade, tra il VI e il V millennio a.C., contemporaneamente al neolitico, si sviluppa il periodo della lavorazione del rame mediante percussione e lisciamento, metodo già sperimentato nella lavorazione della pietra e dell’osso. Solo intorno al 4000-3500 a.C. (periodi relativi ad Al Ubeid e Uruk) si perviene alla lavorazione termica del metallo, prima attraverso il semplice riscaldamento, poi con l’ausilio della fusione. Tali osservazioni c’inducono a riflettere sul considerevole intervallo di tempo (ben 2.000 anni) intercorso tra l’inizio dell’utilizzazione del rame e la sua lavorazione in fase tecnica. Le numerose esperienze accumulate dall’uomo primitivo riguardo al comportamento del rame presso le fonti di calore, che potevano consistere in grandi fuochi di accampamenti accesi per difendersi dalle belve feroci oppure dalle colate laviche, rappresentano un’evidente traccia della capacità del pensiero umano che, nonostante il peso delle superstizioni, era già proiettato verso una concezione connessa con la pura ricerca tecnicistica. Le differenti fonti di reperimento del ferro (meteoritica e terrestre) accentuano quel carattere di religiosità che accompagna le sue fasi di utilizzazione. È interessante notare che la ricerca del ferro in superficie, utilizzata prima che si diffondesse quella condotta tramite scavo, induceva i fabbri a spostarsi da un luogo all’altro, dando vita a una particolarissima forma di nomadismo. Questo aspetto poneva di volta in volta popoli diversi in contatto con fattori culturali e di progresso, destinati a mutare economia e forma di esistenza. Tale cambiamento estendeva ritualità e credenze a un sempre più vasto numero di esseri umani. I fabbri nomadi che giungevano in luoghi particolarmente ricchi di giacimenti si avvalevano della manodopera reperita complementare sul posto. Ammettendo nuovi apprendisti al segreto, si creavano in maniera naturale nuovi adepti all’interno della società iniziatica dei lavoratori del ferro che contribuivano alla nascita di nuove scuole. Le basi primordiali del movimento alchemico erano state gettate. La fase fondamentale relativa alla trasformazione della materia grezza in sostanza utile, con l’apporto di riti a carattere religioso, era evidente.
LA MAGIA DEI METALLI
Le mitologie, i riti, le operazioni tenute segrete e l’arcano metodo legato alla tecnologia di lavorazione rappresentano indubbiamente le prime tradizioni alchemiche. Saranno proprio minerali di origine meteoritica a insinuare i primi elementi connessi con la concezione di una fonte unica della materia e della possibilità di ritornare a essa. Tale concezione più tardi verrà inserita nell’ambito dell’opera tecnologico-misteriosofica, nota con il nome di Alchimia. La ritualità e le pratiche segrete espresse nella lavorazione dei metalli crebbero a tal punto che una parte degli operatori di questa prima forma d’industria umana avvertì la necessità di approfondire il senso rituale e il ragionamento filosofico in esso contenuto, staccandosi nettamente dalla massa operativa e dando inizio a un raggruppamento di pensiero che rappresentava la manifestazione primigenia di sapienti. Questi uomini illuminati erano conosciuti come possessori di una conoscenza superiore e quindi accomunati da un medesimo nome: Magi, Maghi o Gerofanti. È grazie al contributo di tali ricercatori che i metalli assumono valenze diverse, anche se in realtà l’insieme di tali nozioni appartengono a fasi di credenze e superstizioni. Ma il valore indiscusso dei metalli quali referenti di una coscienza cosmica che tutto permea, resta inalterato. Secondo il postulato ermetico e alchemico, ogni cosa è pervasa da uno spirito vitale ed è, di conseguenza, collegata con il Tutto. Alcune popolazioni dalle origini remote erano in perfetta sintonia con quanto abbiamo appena affermato. Basti pensare ai Bhil, antichissima popolazione dell’India, i cui usi e costumi indicano un’origine etnica preariana. A quanto pare i Bhil erano soliti lanciare le proprie offerte verso il cielo, servendosi di punte di frecce metalliche, ottenute da popolazioni vicine e destinate unicamente a questo rito che esternava la loro appartenenza con il cielo e con il Tutto. Si comprende così il motivo per cui la natura sacrale dei metalli e soprattutto del ferro abbia suscitato nell’uomo il convincimento che esso riveste virtù e poteri trascendentali. In particolare il ferro meteoritico, per la sua origine celeste, sembrava racchiudere aspetti assolutamente magici e operativi. Le offerte dei Bhil, inviate attraverso punte di ferro su nel cielo quindi, non avevano il significato di superstizione o di feticismo, ma piuttosto l’intendimento di offrire al cielo doni su un veicolo originariamente proveniente dallo spazio, una sorta di restituzione che fungeva da ringraziamento e univa cielo e terra, l’alto e il basso. Ancora oggi i Beduini del Sinai attribuiscono al ferro meteoritico virtù particolarissime, tanto da ritenere che chiunque possieda una spada o un’arma qualsiasi forgiata con tale metallo, è praticamente invulnerabile. Secondo Eliade, questa credenza potrebbe celare i residui di una mitologia atavica, all’interno della quale il ferro utilizzato era solo meteoritico e rivestiva carattere trascendente. Tutto ciò era rafforzato anche dalla presenza di uomini dotati di facoltà e poteri straordinari che la tradizione di ogni civiltà poneva ai primordi delle sue origini.
SACRALITÀ DEL FERRO
Il ferro raccoglieva in sé peculiarità ed energie in parte sconosciute, usate anche a scopo terapeutico, come testimoniano le parole di Plinio il Vecchio: «Il ferro è un ottimo rimedio contro i noxia medicamenta – veleni – e anche contro i sudori notturni», (Adversus nocturnas limphationes). Analoghe credenze si riscontrano in Turchia, in Persia, in India. Fin dal 1907 sono stati raccolti dai ricercatori un numero considerevole di documenti riguardanti l’uso del ferro contro i demoni. Anche l’utilizzo del coltello rituale merita attenzione. Basti pensare ai poteri strabilianti attribuiti al celebre Kriss, il pugnale sacro la cui lama ha forma serpentina. Esiste una vera e propria iniziazione a riguardo, che vede passare il segreto della sua costruzione di padre in figlio. Solo un Kriss preparato con particolari accortezze possiederà virtù magiche. Oggi, nel nord-est dell’Europa, il ferro è utilizzato nella tradizione corrente allo scopo di proteggere i raccolti dalle intemperie, dai sortilegi e dal malocchio. Mentre la mitologia del ferro propriamente detta va lentamente scomparendo, alcune insospettate superstizioni sopravvivono e rimangono radicate nella cultura popolare. Nell’ambito di tali credenze ritroviamo il duplice aspetto associato alla natura magica del ferro. Da un lato esso sprigiona un potere benefico, dall’altro emana un’aura negativa connessa con forze malefiche. Tale apparente contraddizione è ascrivibile al fatto che il ferro, nel contesto della cultura agricola, porta con sé anche il ricordo delle guerre e degli stermini, resi ancor più cruenti dal suo avvento. Tra le civiltà che rinvenivano nel ferro virtù magiche, segnaliamo i Wa Chagga, convinti che questo metallo racchiudesse poteri magici nemici della vita e della pace e gli utensili che servivano per lavorarlo erano esseri animati e miracolosi, capaci di lavorare da soli e di costringere il fabbro a usarli nella maniera che essi desideravano. Nell’Angola invece, il martello è tuttora venerato per motivi completamente opposti: il ferro in questo caso serve a forgiare gli strumenti per l’agricoltura e, di conseguenza, è apportatore di prosperità e di benessere. Gli Ogowe, che non lavorano e non conoscono il ferro, adorano il mantice delle tribù vicine che lo impiegano per la lavorazione del ferro. Infine, i Mossengeri e i BaSakate adorano il mantice, perché ritengono che in esso risieda la dignità del maestro fabbro. Alla luce di quanto abbiamo trattato, appare evidente che la magia ambivalente delle armi di pietra si sia trasferita in maniera più estesa nei metalli.
IL GRANDE ARCANO
Seguendo la traccia delle superstizioni rintracciate e documentate, è possibile scorgere il delinearsi della concezione esoterica connessa con i significati espressi dalla cultura del ferro, che offre diversi punti di contatto con la moderna visione delle teorie alchemiche pratiche e speculative. Tornando alla fase mitologica, è importante stabilire invece che è stata proprio questa a compiere la trasmutazione dalla tecnologia alla speculazione filosofica. Tutto ciò spiega per quale ragione gli dèi del temporale venissero talvolta immaginati come dei fabbri. I T’ou-jen di Kouang, per esempio, offrivano capre al Dio Dantisen San, affinché si servisse dei loro crani come incudini, in modo da forgiare tra le loro corna vividi lampi e grandine lucente che, cadendo sulla Terra, fosse in grado di terrorizzare i demoni. Questa divinità corrisponde al Dio tibetano Dam-Can, riconducibile a sua volta a Dorje leges-pa, anch’egli un fabbro dell’antica religione pre-buddista del Tibet, il cui culto era posto in relazione con il temporale e l’agricoltura. Questi antichi dèi del temporale, che colpiscono la Terra «con pietre di fulmine», sono connessi con immagini mitiche che li vedono raffigurati mentre stringono una doppia ascia o un martello. Comprendiamo così perché, a livello simbolico, il temporale diviene lo sposalizio tra cielo e terra e il ferro, metallo elettivo dalle possenti peculiarità, assume una personalità così spiccata, capace di introitare in sé uno stadio di perfezione riconducibile alla natura umana. In tale contesto è ravvisabile il tessuto della teoria alchemica speculativa e pratica, alla quale è affidata la ricerca tecnologica per il miglioramento qualitativo dei metalli e la loro successiva nobilitazione che culmina nella scelta dell’oro, il metallo elettivo, volto a concretare quella trasmutazione e quell’affinamento connesso con l’aspirazione umana e con lo sviluppo delle qualità intellettive dell’uomo stesso. Il processo alchemico, al di là dell’aspetto sperimentativo di ordine materiale, diviene in tal modo una ricerca spirituale e rituale, mirata a trasformare la materia vile insita nell’essere umano, in una sostanza pura ed elevata, in grado di fare insorgere nell’iniziato uno stato superiore di coscienza: la celebre Pietra Filosofale (oro alchemico) che confluisce nella ricerca dell’elisir di lunga vita, l’elemento principe dell’immortalità dello spirito. Le valenze gnostiche presenti in questa ricerca appaiono evidenti, palesandosi chiaramente in quella concezione conoscitiva finalizzata a determinare un progresso e un successivo sviluppo dell’homo sapiens. L’aura di mistero che compenetra le formule e i dettami, le descrizioni di esperienze e i postulati, la tecnologia e le due branche della cultura alchemica sono lo specchio di quella tradizione che, attraverso lo scorrere del tempo, ci ha tramandato un corpus sapienziale complesso e una dottrina che può essere definita la scienza per antonomasia. Il clima iniziatico, che per la cultura del ferro è storicamente la prima espressione di associazione segreta umana, attraverso i suoi chiaroscuri di analogie e di metafore, continua a garantire solo a coloro che se ne dimostrano degni, il possesso dei massimi segreti esistenziali, pratici e trascendentali strettamente legati al Grande Arcano. Il segreto della fusione è protetto contro la massa. Tale decisione era ed è mirata a evitare che questa conoscenza possa finire nelle mani del profano che abuserebbe in maniera indiscriminata. In epoche passate, il veto di rendere note certe verità era connesso con il massimo mezzo di potenza allora conosciuto: il ferro. Oggi, lo stesso divieto è presente nell’ambito del percorso alchemico e ciò restringe a una cerchia di eletti filtrata attraverso la difficoltà della ricerca, i poteri assoluti che fanno capo alla riconquista da parte dell’uomo di capacità ataviche trascendentali, sicuramente già possedute in tempi remotissimi.
L’ORO DI BABILONIA
La scoperta di alcuni documenti rinvenuti intorno al 1925, in Mesopotamia, fanno supporre l’esistenza di un’alchimia babilonese. Il brano in questione, riportato alla luce dagli archeologi, è tratto da un testo della biblioteca di Assurbanipal, che regnò tra il 668 e il 626 a.C., noto anche come Sardanapalo nella deformazione greca. Ecco il brano: «Quando disporrai il piano di una fornace per i minerali, cercherai un giorno favorevole, nel mese favorevole… mentre costruiscono la fornace, tu guiderai e lavorerai tu stesso… Porterai gli embrioni (nati prima del tempo) e altro non deve entrare, né impuro camminare davanti a loro. Accenderai la fornace e metterai gli embrioni dentro essa. Tutti debbono purificarsi e sacrificarsi, perché la maturazione avvenga nella grazia degli dèi…». Sono le palesi affermazioni dei concetti embrionali e di crescita dei metalli, basi dell’alchimia protostorica, che ci inducono a pensare alla conoscenza di discipline alchemiche nell’Assiria. Questa interpretazione ha prodotto pareri discordanti tra i vari assirologi, tuttavia pare che i dati da loro forniti siano validi in modo sufficiente per poter affermare la presenza dell’esperienza alchemica nella civiltà babilonese. L’interesse che questa scoperta può offrire alla nostra ricerca è soprattutto proteso verso quell’unità di credenza che si riscontra nei rituali babilonesi, circa le cerimonie a carattere religioso che riuniscono in sé le lavorazioni metallurgiche, le tecniche costruttive e le coltivazioni agrarie. È interessante notare che nei suddetti rituali non erano compresi l’esercizio della pastorizia e neppure la pesca e la caccia. Evidentemente queste attività appartengono a periodi di sviluppo inferiore e restano sui gradini più bassi della scala delle civiltà. Ciò conferma che la civiltà propriamente detta si sviluppa nel momento in cui l’uomo acquisisce la conoscenza della lavorazione dei metalli e trasferisce i suoi principali interessi sul piano organizzato della cultura agraria. Per questo motivo, la vita s’indirizzava verso tre direttrici: la costruzione di centri abitati, la lavorazione metallurgica e la coltivazione dei campi. Ed è in queste tre espressioni della vita sociale del tempo che ritroviamo presente il fenomeno delle società iniziatiche. Iniziazione, ritualità, segreti chiusi in cerchie o caste non sono altro che una forma di protezione delle conoscenze conquistate faticosamente dall’uomo. L’instabilità sociale di quel tempo e i tentativi d’impadronirsi del potere, spiegano la necessità e la prudenza per la conservazione di quanto acquisito. Infatti, un popolo che possiede maggiori conoscenze tecniche cercherà di sviluppare il proprio piano di vita volto a raggiungere un maggiore benessere. Del resto, i popoli con un grado di civiltà inferiore intravedranno nelle conquiste tecniche del popolo più evoluto dei mezzi di conquista e assoggettamento di paesi e popolazioni più ricche. È questa la spiegazione e la giustificazione della necessità del segreto iniziatico in ogni ramo della conoscenza primordiale. Sotto tale aspetto nascono i maestri del fuoco. Il fabbro appartiene a questa categoria come prima di lui vi appartenne il vasaio. Naturalmente il clima religioso, del quale l’uomo protostorico si sentiva partecipe, permeava il suo lavoro di un’aura divina che incideva sullo svolgersi e il coordinarsi delle attività stesse. Di qui i riti e i misteri, presenti come in nessun altro luogo, nella metallurgia e nell’alchimia che ne deriverà con il tempo. La via verso l’Assoluto era stata tracciata: la ricerca delle origini e della vita era davanti a coloro che sfidavano l’ignoranza e la massa dormiente. Solo il risvegliato, infatti, può pervenire alla Conoscenza Suprema, alla conquista della Verità.
Stefano Mayorca
Quando l’uomo preistorico era soggetto alle forze di una natura selvaggia a volte ostile, il senso del sacro e la ricerca di un vissuto cultuale erano al centro della quotidianità, scandivano lo scorrere del tempo e il bisogno di spiegare l’inspiegabile.
I fenomeni naturali, le foreste, i vulcani, i ghiacci, i tuoni e i lampi, le piogge e i terremoti che rendevano viva la materia apparentemente inerte, erano i simboli di quel panteismo e feticismo primordiali di fronte al quale i primi uomini si assoggettavano, pervasi da un timore reverenziale. Tuttavia, la manualità connessa con le necessità della vita e con i bisogni primari fece scoprire all’uomo le sue capacità. E così, manipolando un pugno di fango e traendo da esso una forma rudimentale, l’individuo comprese che era in grado di creare, un senso di potenza e di dominio sulle cose lo rese fiducioso. Questa sensazione non lo avrebbe più abbandonato, ma sarebbe cresciuta aumentando nel contempo le sue conoscenze e il possesso dell’ambiente naturale e della natura stessa. Dopo l’esperienza legata alla lavorazione della pietra, egli s’imbatterà in corpi diversi. Si tratta dei metalli rinvenuti alla superficie, quelli naturali e puri aggrumati da grandi fuochi, trasformati e resi evidenti dai fulmini o dal calore delle colate laviche emesse dagli innumerevoli vulcani. Rame, zinco e altri composti di leghe incoraggiano l’uomo a riprodurre le condizioni naturali che le hanno generate. Nasceranno le prime fornaci, i primi crogiuoli e la società umana si avvierà verso una nuova evoluzione. La civiltà cavernicola lascia il passo alle terremare, ai palafitticoli e al nomadismo.
LE PIETRE CELESTI
Si originano così le condizioni ideali che permetteranno di congiungere varie esperienze. Oltre ai minerali che scaturiscono dal ventre della Grande Madre, la Terra, altri giungeranno dal cielo. I meteoriti piovono in gran numero nel periodo di squilibrio determinato dallo spostamento dell’asse terrestre e proseguito fino a epoche a noi più vicine (l’ultimo, a quanto sembra, risale a 7.000-9.000 anni fa). Queste misteriose pietre celesti, contenenti materiali ferrosi abbastanza puri, oltre a essere gli elementi della prima siderurgia, saranno accolte con rispetto e venerazione. A queste, sarà attribuito un alone di sacralità che le renderà uniche e che accompagnerà la lavorazione del ferro. Nell’ambito di questa sacralità, tutti i metalli e coloro che li lavorano saranno collocati al centro di una concezione che li vedrà proiettati su un piano diverso, che li eleverà a un rango superiore rispetto agli altri uomini. Si costituisce così la prima cerchia ristretta di tecnici, ai quali sarà riconosciuto carattere sacro. Sacri sono gli arnesi utilizzati nel corso della lavorazione di ciascun metallo e sacra la costruzione delle officine e delle fornaci per la fusione, il cui segreto si tramanda di padre in figlio. Ci troviamo di fronte a una delle primissime società iniziatiche: dapprima presenta un aspetto tecnico, in seguito assume un carattere profondamente sacrale, le cui valenze ermetiche e alchemiche si vanno rapidamente delineando. Secondo Eliade, tra il VI e il V millennio a.C., contemporaneamente al neolitico, si sviluppa il periodo della lavorazione del rame mediante percussione e lisciamento, metodo già sperimentato nella lavorazione della pietra e dell’osso. Solo intorno al 4000-3500 a.C. (periodi relativi ad Al Ubeid e Uruk) si perviene alla lavorazione termica del metallo, prima attraverso il semplice riscaldamento, poi con l’ausilio della fusione. Tali osservazioni c’inducono a riflettere sul considerevole intervallo di tempo (ben 2.000 anni) intercorso tra l’inizio dell’utilizzazione del rame e la sua lavorazione in fase tecnica. Le numerose esperienze accumulate dall’uomo primitivo riguardo al comportamento del rame presso le fonti di calore, che potevano consistere in grandi fuochi di accampamenti accesi per difendersi dalle belve feroci oppure dalle colate laviche, rappresentano un’evidente traccia della capacità del pensiero umano che, nonostante il peso delle superstizioni, era già proiettato verso una concezione connessa con la pura ricerca tecnicistica. Le differenti fonti di reperimento del ferro (meteoritica e terrestre) accentuano quel carattere di religiosità che accompagna le sue fasi di utilizzazione. È interessante notare che la ricerca del ferro in superficie, utilizzata prima che si diffondesse quella condotta tramite scavo, induceva i fabbri a spostarsi da un luogo all’altro, dando vita a una particolarissima forma di nomadismo. Questo aspetto poneva di volta in volta popoli diversi in contatto con fattori culturali e di progresso, destinati a mutare economia e forma di esistenza. Tale cambiamento estendeva ritualità e credenze a un sempre più vasto numero di esseri umani. I fabbri nomadi che giungevano in luoghi particolarmente ricchi di giacimenti si avvalevano della manodopera reperita complementare sul posto. Ammettendo nuovi apprendisti al segreto, si creavano in maniera naturale nuovi adepti all’interno della società iniziatica dei lavoratori del ferro che contribuivano alla nascita di nuove scuole. Le basi primordiali del movimento alchemico erano state gettate. La fase fondamentale relativa alla trasformazione della materia grezza in sostanza utile, con l’apporto di riti a carattere religioso, era evidente.
LA MAGIA DEI METALLI
Le mitologie, i riti, le operazioni tenute segrete e l’arcano metodo legato alla tecnologia di lavorazione rappresentano indubbiamente le prime tradizioni alchemiche. Saranno proprio minerali di origine meteoritica a insinuare i primi elementi connessi con la concezione di una fonte unica della materia e della possibilità di ritornare a essa. Tale concezione più tardi verrà inserita nell’ambito dell’opera tecnologico-misteriosofica, nota con il nome di Alchimia. La ritualità e le pratiche segrete espresse nella lavorazione dei metalli crebbero a tal punto che una parte degli operatori di questa prima forma d’industria umana avvertì la necessità di approfondire il senso rituale e il ragionamento filosofico in esso contenuto, staccandosi nettamente dalla massa operativa e dando inizio a un raggruppamento di pensiero che rappresentava la manifestazione primigenia di sapienti. Questi uomini illuminati erano conosciuti come possessori di una conoscenza superiore e quindi accomunati da un medesimo nome: Magi, Maghi o Gerofanti. È grazie al contributo di tali ricercatori che i metalli assumono valenze diverse, anche se in realtà l’insieme di tali nozioni appartengono a fasi di credenze e superstizioni. Ma il valore indiscusso dei metalli quali referenti di una coscienza cosmica che tutto permea, resta inalterato. Secondo il postulato ermetico e alchemico, ogni cosa è pervasa da uno spirito vitale ed è, di conseguenza, collegata con il Tutto. Alcune popolazioni dalle origini remote erano in perfetta sintonia con quanto abbiamo appena affermato. Basti pensare ai Bhil, antichissima popolazione dell’India, i cui usi e costumi indicano un’origine etnica preariana. A quanto pare i Bhil erano soliti lanciare le proprie offerte verso il cielo, servendosi di punte di frecce metalliche, ottenute da popolazioni vicine e destinate unicamente a questo rito che esternava la loro appartenenza con il cielo e con il Tutto. Si comprende così il motivo per cui la natura sacrale dei metalli e soprattutto del ferro abbia suscitato nell’uomo il convincimento che esso riveste virtù e poteri trascendentali. In particolare il ferro meteoritico, per la sua origine celeste, sembrava racchiudere aspetti assolutamente magici e operativi. Le offerte dei Bhil, inviate attraverso punte di ferro su nel cielo quindi, non avevano il significato di superstizione o di feticismo, ma piuttosto l’intendimento di offrire al cielo doni su un veicolo originariamente proveniente dallo spazio, una sorta di restituzione che fungeva da ringraziamento e univa cielo e terra, l’alto e il basso. Ancora oggi i Beduini del Sinai attribuiscono al ferro meteoritico virtù particolarissime, tanto da ritenere che chiunque possieda una spada o un’arma qualsiasi forgiata con tale metallo, è praticamente invulnerabile. Secondo Eliade, questa credenza potrebbe celare i residui di una mitologia atavica, all’interno della quale il ferro utilizzato era solo meteoritico e rivestiva carattere trascendente. Tutto ciò era rafforzato anche dalla presenza di uomini dotati di facoltà e poteri straordinari che la tradizione di ogni civiltà poneva ai primordi delle sue origini.
SACRALITÀ DEL FERRO
Il ferro raccoglieva in sé peculiarità ed energie in parte sconosciute, usate anche a scopo terapeutico, come testimoniano le parole di Plinio il Vecchio: «Il ferro è un ottimo rimedio contro i noxia medicamenta – veleni – e anche contro i sudori notturni», (Adversus nocturnas limphationes). Analoghe credenze si riscontrano in Turchia, in Persia, in India. Fin dal 1907 sono stati raccolti dai ricercatori un numero considerevole di documenti riguardanti l’uso del ferro contro i demoni. Anche l’utilizzo del coltello rituale merita attenzione. Basti pensare ai poteri strabilianti attribuiti al celebre Kriss, il pugnale sacro la cui lama ha forma serpentina. Esiste una vera e propria iniziazione a riguardo, che vede passare il segreto della sua costruzione di padre in figlio. Solo un Kriss preparato con particolari accortezze possiederà virtù magiche. Oggi, nel nord-est dell’Europa, il ferro è utilizzato nella tradizione corrente allo scopo di proteggere i raccolti dalle intemperie, dai sortilegi e dal malocchio. Mentre la mitologia del ferro propriamente detta va lentamente scomparendo, alcune insospettate superstizioni sopravvivono e rimangono radicate nella cultura popolare. Nell’ambito di tali credenze ritroviamo il duplice aspetto associato alla natura magica del ferro. Da un lato esso sprigiona un potere benefico, dall’altro emana un’aura negativa connessa con forze malefiche. Tale apparente contraddizione è ascrivibile al fatto che il ferro, nel contesto della cultura agricola, porta con sé anche il ricordo delle guerre e degli stermini, resi ancor più cruenti dal suo avvento. Tra le civiltà che rinvenivano nel ferro virtù magiche, segnaliamo i Wa Chagga, convinti che questo metallo racchiudesse poteri magici nemici della vita e della pace e gli utensili che servivano per lavorarlo erano esseri animati e miracolosi, capaci di lavorare da soli e di costringere il fabbro a usarli nella maniera che essi desideravano. Nell’Angola invece, il martello è tuttora venerato per motivi completamente opposti: il ferro in questo caso serve a forgiare gli strumenti per l’agricoltura e, di conseguenza, è apportatore di prosperità e di benessere. Gli Ogowe, che non lavorano e non conoscono il ferro, adorano il mantice delle tribù vicine che lo impiegano per la lavorazione del ferro. Infine, i Mossengeri e i BaSakate adorano il mantice, perché ritengono che in esso risieda la dignità del maestro fabbro. Alla luce di quanto abbiamo trattato, appare evidente che la magia ambivalente delle armi di pietra si sia trasferita in maniera più estesa nei metalli.
IL GRANDE ARCANO
Seguendo la traccia delle superstizioni rintracciate e documentate, è possibile scorgere il delinearsi della concezione esoterica connessa con i significati espressi dalla cultura del ferro, che offre diversi punti di contatto con la moderna visione delle teorie alchemiche pratiche e speculative. Tornando alla fase mitologica, è importante stabilire invece che è stata proprio questa a compiere la trasmutazione dalla tecnologia alla speculazione filosofica. Tutto ciò spiega per quale ragione gli dèi del temporale venissero talvolta immaginati come dei fabbri. I T’ou-jen di Kouang, per esempio, offrivano capre al Dio Dantisen San, affinché si servisse dei loro crani come incudini, in modo da forgiare tra le loro corna vividi lampi e grandine lucente che, cadendo sulla Terra, fosse in grado di terrorizzare i demoni. Questa divinità corrisponde al Dio tibetano Dam-Can, riconducibile a sua volta a Dorje leges-pa, anch’egli un fabbro dell’antica religione pre-buddista del Tibet, il cui culto era posto in relazione con il temporale e l’agricoltura. Questi antichi dèi del temporale, che colpiscono la Terra «con pietre di fulmine», sono connessi con immagini mitiche che li vedono raffigurati mentre stringono una doppia ascia o un martello. Comprendiamo così perché, a livello simbolico, il temporale diviene lo sposalizio tra cielo e terra e il ferro, metallo elettivo dalle possenti peculiarità, assume una personalità così spiccata, capace di introitare in sé uno stadio di perfezione riconducibile alla natura umana. In tale contesto è ravvisabile il tessuto della teoria alchemica speculativa e pratica, alla quale è affidata la ricerca tecnologica per il miglioramento qualitativo dei metalli e la loro successiva nobilitazione che culmina nella scelta dell’oro, il metallo elettivo, volto a concretare quella trasmutazione e quell’affinamento connesso con l’aspirazione umana e con lo sviluppo delle qualità intellettive dell’uomo stesso. Il processo alchemico, al di là dell’aspetto sperimentativo di ordine materiale, diviene in tal modo una ricerca spirituale e rituale, mirata a trasformare la materia vile insita nell’essere umano, in una sostanza pura ed elevata, in grado di fare insorgere nell’iniziato uno stato superiore di coscienza: la celebre Pietra Filosofale (oro alchemico) che confluisce nella ricerca dell’elisir di lunga vita, l’elemento principe dell’immortalità dello spirito. Le valenze gnostiche presenti in questa ricerca appaiono evidenti, palesandosi chiaramente in quella concezione conoscitiva finalizzata a determinare un progresso e un successivo sviluppo dell’homo sapiens. L’aura di mistero che compenetra le formule e i dettami, le descrizioni di esperienze e i postulati, la tecnologia e le due branche della cultura alchemica sono lo specchio di quella tradizione che, attraverso lo scorrere del tempo, ci ha tramandato un corpus sapienziale complesso e una dottrina che può essere definita la scienza per antonomasia. Il clima iniziatico, che per la cultura del ferro è storicamente la prima espressione di associazione segreta umana, attraverso i suoi chiaroscuri di analogie e di metafore, continua a garantire solo a coloro che se ne dimostrano degni, il possesso dei massimi segreti esistenziali, pratici e trascendentali strettamente legati al Grande Arcano. Il segreto della fusione è protetto contro la massa. Tale decisione era ed è mirata a evitare che questa conoscenza possa finire nelle mani del profano che abuserebbe in maniera indiscriminata. In epoche passate, il veto di rendere note certe verità era connesso con il massimo mezzo di potenza allora conosciuto: il ferro. Oggi, lo stesso divieto è presente nell’ambito del percorso alchemico e ciò restringe a una cerchia di eletti filtrata attraverso la difficoltà della ricerca, i poteri assoluti che fanno capo alla riconquista da parte dell’uomo di capacità ataviche trascendentali, sicuramente già possedute in tempi remotissimi.
L’ORO DI BABILONIA
La scoperta di alcuni documenti rinvenuti intorno al 1925, in Mesopotamia, fanno supporre l’esistenza di un’alchimia babilonese. Il brano in questione, riportato alla luce dagli archeologi, è tratto da un testo della biblioteca di Assurbanipal, che regnò tra il 668 e il 626 a.C., noto anche come Sardanapalo nella deformazione greca. Ecco il brano: «Quando disporrai il piano di una fornace per i minerali, cercherai un giorno favorevole, nel mese favorevole… mentre costruiscono la fornace, tu guiderai e lavorerai tu stesso… Porterai gli embrioni (nati prima del tempo) e altro non deve entrare, né impuro camminare davanti a loro. Accenderai la fornace e metterai gli embrioni dentro essa. Tutti debbono purificarsi e sacrificarsi, perché la maturazione avvenga nella grazia degli dèi…». Sono le palesi affermazioni dei concetti embrionali e di crescita dei metalli, basi dell’alchimia protostorica, che ci inducono a pensare alla conoscenza di discipline alchemiche nell’Assiria. Questa interpretazione ha prodotto pareri discordanti tra i vari assirologi, tuttavia pare che i dati da loro forniti siano validi in modo sufficiente per poter affermare la presenza dell’esperienza alchemica nella civiltà babilonese. L’interesse che questa scoperta può offrire alla nostra ricerca è soprattutto proteso verso quell’unità di credenza che si riscontra nei rituali babilonesi, circa le cerimonie a carattere religioso che riuniscono in sé le lavorazioni metallurgiche, le tecniche costruttive e le coltivazioni agrarie. È interessante notare che nei suddetti rituali non erano compresi l’esercizio della pastorizia e neppure la pesca e la caccia. Evidentemente queste attività appartengono a periodi di sviluppo inferiore e restano sui gradini più bassi della scala delle civiltà. Ciò conferma che la civiltà propriamente detta si sviluppa nel momento in cui l’uomo acquisisce la conoscenza della lavorazione dei metalli e trasferisce i suoi principali interessi sul piano organizzato della cultura agraria. Per questo motivo, la vita s’indirizzava verso tre direttrici: la costruzione di centri abitati, la lavorazione metallurgica e la coltivazione dei campi. Ed è in queste tre espressioni della vita sociale del tempo che ritroviamo presente il fenomeno delle società iniziatiche. Iniziazione, ritualità, segreti chiusi in cerchie o caste non sono altro che una forma di protezione delle conoscenze conquistate faticosamente dall’uomo. L’instabilità sociale di quel tempo e i tentativi d’impadronirsi del potere, spiegano la necessità e la prudenza per la conservazione di quanto acquisito. Infatti, un popolo che possiede maggiori conoscenze tecniche cercherà di sviluppare il proprio piano di vita volto a raggiungere un maggiore benessere. Del resto, i popoli con un grado di civiltà inferiore intravedranno nelle conquiste tecniche del popolo più evoluto dei mezzi di conquista e assoggettamento di paesi e popolazioni più ricche. È questa la spiegazione e la giustificazione della necessità del segreto iniziatico in ogni ramo della conoscenza primordiale. Sotto tale aspetto nascono i maestri del fuoco. Il fabbro appartiene a questa categoria come prima di lui vi appartenne il vasaio. Naturalmente il clima religioso, del quale l’uomo protostorico si sentiva partecipe, permeava il suo lavoro di un’aura divina che incideva sullo svolgersi e il coordinarsi delle attività stesse. Di qui i riti e i misteri, presenti come in nessun altro luogo, nella metallurgia e nell’alchimia che ne deriverà con il tempo. La via verso l’Assoluto era stata tracciata: la ricerca delle origini e della vita era davanti a coloro che sfidavano l’ignoranza e la massa dormiente. Solo il risvegliato, infatti, può pervenire alla Conoscenza Suprema, alla conquista della Verità.
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