La terra che genericamente viene chiamata Palestina, e che corrisponde più o meno agli attuali Israele e Giordania Occidentale, delimitata a Nord dal Libano e a Sud dal triangolo del Sinai, è stata oggetto di conquista da parte di molti popoli nell'arco di tutta la storia conosciuta. Le prime informazioni che abbiamo sono attribuibili alla Bibbia, anche se ben poche delle medesime hanno finora trovato riscontro nelle ricerche archeologiche. (Nè ne sono state peraltro contraddette). Secondo il resoconto biblico, antiche tribù di israeliti conquistarono parte delle terre di Canaan, lungo la costa mediterranea, verso il 1200 A.C. (Sono gli anni in cui Mosè avrebbe scritto il Pentateuco). Verso il 950, sotto Re Salomone, fu costruito il Tempio di Gerusalemme ("Primo Tempio"). Alla sua morte il regno fu diviso in due. A Nord, il Regno di Israele, a Sud il Regno di Giudea. E' in questo secondo che rimasero i progenitori degli ebrei contemporanei. Nel 586 la Giudea fu conquistata dai Babilonesi, che distrussero il Tempio e cacciarono gli ebrei in una prima diaspora, limitata ai paesi confinanti. Nel 539 Ciro di Persia conquistò Babilonia, e sotto il suo regno tollerante gli ebrei poterono tornare alle terre da cui erano fuggiti. Nell'arco di 70 anni sia Gerusalemmne che il suo Tempio erano stati ricostruiti. Nel 330 fu Alessandro Magno a conquistare la Persia, estendendo quindi anche alla Palestina la dominazione ellenica. Questa durò fino alla cosiddetta rivolta dei Maccabei, del 168 (che si festeggia con Hanukah, in Settembre), in cui gli ebrei presero il potere in quello che sarebbe stato l'ultimo loro periodo di controllo ufficiale nella regione. Nel 63 a.C. la Giudea venne conquistata dalla armate di Pompeo, e divenne provincia dell'Impero Romano. (Nella foto: "Il sacco di Gerusalemme", dettaglio dell'Arco di Tito). Nel 70 d.C una violenta rivolta popolare fu affogata nel sangue dall'imperatore Tito, il Secondo Tempio fu distrutto, e gli ebrei in fuga iniziarono quella che è storicamente considerata la "diaspora" vera e propria. Durante la rivolta fu anche sterminata la piccola comunità degli Esseni, una setta sacerdotale eremitica, di stanza a Qumran, che si era rifugiata nella fortezza di Masada, e che ci ha lasciato i cosiddetti "Rotoli del Mar Morto". Alla caduta del'Impero Romano (476) la Palestina passò sotto quello Bizantino, e vi rimase fino al 638, anno in cui fu conquistata dagli arabi. Fu il secondo califfo, Omar, a far costruire, sulle rovine del tempio di Gerusalemme, la moschea di Al-Aqsa, creando così una delle premesse per la disputa contemporanea. (Il "Muro del Pianto" è quello che resta oggi del Tempio, sopra il quale c'è appunto la nota "spianata".) Dai tempi del Califfo quindi, e fatta eccezione per brevi periodi di controllo cristiano durante le Crociate (XII sec.), la Palestina è sempre rimasta sotto il dominio arabo, per passare a far parte dell'Impero Ottomano (Turchia) nel XIX secolo. LA STORIA MODERNA Ci ritroviamo a fine secolo XIX con ampie comunità di ebrei disperse in tutto il mondo, con diversi livelli di integrazione sociale, in situazioni più o meno armoniche, dopo aver trascorso secoli di persecuzioni di ogni tipo, praticamente in ogni luogo. NASCE IL SIONISMO A seguito della pubblicazione del libro del giornalista viennese Theodore Hertzl, "Der Judenstaat" (Lo stato ebraico), si tenne a Basilea, nel 1897, il primo Congresso Sionista, con lo scopo di discuterne collettivamente la proposta. Hertzl partiva dal presupposto dell'impossibilità per gli ebrei di venire assimilati dalle varie culture che li ospitavano nel mondo, e voleva la creazione di uno stato apposito, in cui essi potessero convivere senza trovarsi necessariamente ai margini della società. Questo intento trovava inoltre particolare riscontro nella profezia biblica, che annunciava un futuro ritorno degli israeliti alla "Terra Promessa", o Eretz Israel. Il Congresso concluse i lavori con il cosiddetto "Programma di Basilea", il cui obbiettivo era "la creazione di uno stato per gli ebrei, in Palestina, garantito dalla pubblica legge". Subito i primi sionisti (lett. = quelli della terra di Sion) iniziarono ad immigrare in Palestina, soprattutto dalle regiorni nord-orientali dell'Europa, dove la persecuzione si faceva sentire in modo particolare. Nel 1903 erano già 25.000 quelli che si erano sistemati a vivere accanto ai palestinesi, in quello che era allora territorio dell'Impero Ottomano (Turchia). Una seconda ondata ne portò altri 40.000 circa, finchè, nel 1914, scoppiò la I Guerra Mondiale. Quattro anni di combattimenti decretarono la sconfitta definitiva dell'Impero Ottomano per mano delle forze alleate, che nella zona mediorientale erano state organizzate e sostenute dall'Inghilterra. Fu così che nel 1918 la Palestina si ritrovò sotto il controllo militare inglese, finchè nel 1920 l'allora nascente Lega delle Nazioni (in seguito Nazioni Unite) assegnò ufficialmente all'Inghilterra il mandato per la conduzione dei "Territori della Palestina". Ecco come risultava (sotto a sx) la mappa della zona dopo il mandato internazionale. Nel frattempo erano avvenuti tre fatti fondamentali: Nel 1916, per avere l'appoggio militare degli arabi contro gli Ottomani, il commissario inglese in Egitto, Sir Henry McMahon, aveva promesso loro l'indipendenza, una volta finita la guerra. Contemporaneamente, grazie agli accordi segreti Skies-Picot (sopra a dx), Francia ed Inghilterra si erano divise il futuro controllo dell'intera regione. (Lo Skyes-Picot non sarebbe mai stato implementato, ma sulla sua falsariga Francia ed Inghilterra finirono comunque per spartirsi il controllo della zona). Ed infine vi fu la "Dichiarazione Balfour", che impegnava l'Inghilterra ad un appoggio formale del movimento sionista nel perseguimento dei suoi obbiettivi. Questa dichiarazione ha da sempre diviso gli storici, poichè da una parte non contiene alcun riferimento specifico ad uno "stato" ebraico, dall'altro pone come condizione inderogabile il rispetto dei diritti civili e religiosi degli abitanti del luogo. E' indirizzata a Lord Rotschild, leader della comunità ebraica a Londra.The Balfour Declaration November 2nd, 1917 Dear Lord Rothschild, I have much pleasure in conveying to you, on behalf of His Majesty's Government, the following declaration of sympathy with Jewish Zionist aspirations which has been submitted to, and approved by, the Cabinet: His Majesty's Government view with favour the establishment in Palestine of a national home for the Jewish people, and will use their best endeavours to facilitate the achievement of this object, it being clearly understood that nothing shall be done which may prejudice the civil and religious rights of existing non-Jewish communities in Palestine, or the rights and political status enjoyed by Jews in any other country. I should be grateful if you would bring this declaration to the knowledge of the Zionist Federation. Yours, Arthur James Balfour
E' con estremo piacere che le porto, a nome del governo di sua Maestà, la seguente dichiarazione di simpatia per/favore verso/condivisione delle aspirazioni degli ebrei sionisti, che è stata sottoposta ed approvata dal Consiglio dei Ministri.
Il governo di sua Maestà vede con favore la creazione in Palestina di una sede/ritrovo/focolare (home) nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà al meglio delle proprie possibilità per facilitare il raggiungimento di questo obbietivo, con la chiara intesa che nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non-ebraiche già esistenti in Palestina, nè i diritti o lo status politico di cui godono gli ebrei in qualunque altra nazione nel mondo. Le sarei grato se volesse portare a conoscenza della Federazione Sionista questa dichiarazione. Vostro Arthur James Balfour RISENTIMENTO ARABO Fra il 1920 e il 1930, durante il mandato britannico, decine di migliaia di ebrei emigrarono in Palestina. Le autorità censirono, nel 1922, l'11% di popolazione ebraica su un totale di 750.000 abitanti, e ai primi fermenti di guerra, nel '37, vi erano circa 300.000 ebrei che si erano già insediati in Palestina. Vari episodi di violenza si registrarono già in quegli anni, come ad esempio gli scontri dell'Agosto del '29, che videro oltre centi morti per parte. Quelli palestinesi quasi tutti per mano della polizia britannica. Nel 1936 si arrivò addirittura ad uno sciopero generale dei palestinesi, che protestavano per le continue azioni terroristiche [il termine è usato correttamente] da parte di gruppi sionisti armati, come l'Irgun Zvai Leumi, che agivano con il dichiarato scopo di "liberare la Palestina e la Transgiordania" (la Giordania attuale) con la forza.
I palestinesi respinsero questa idea, e chiesero invece un arresto dell'immigrazione, con l'implementazione di adeguate misure di protezione per le minoranze all'interno di un unico stato comune. Il rifiuto inglese portò ad un ritorno della violenza, finchè le proteste furono definitivamente schiacciate con la forza dall'esercito britannico.
Con l'avvicinarsi della guerra, aumentò sensibilmente il ritmo di immigrazione degli ebrei, che provenivano soprattutto dall'Europa Centrale, e che iniziò a mettere a rischio l'intero equilibrio del ciclo produzione/sostentamento nella regione. Nel Maggio del 1939 il governo Britannico pubblicò il Documento Parlamentare 6019, noto come "White Paper", con il quale intendeva porre un limite all'affluenza ormai indiscriminata verso Israele. Nonostante questo, intere navi cariche di immigranti viaggiavano di notte, sottocosta, cercando di superare il blocco navale inglese, per poi accostare alla prima spiaggia libera e scaricare letteralmente fuori bordo centinaia di persone alla volta. Quelli che venivano arrestati finivano in campi di internamento costruiti appositamente dagli stessi inglesi. Durante la guerra, i vari gruppi armati sionisti si unificarono e riorganizzarono sotto la guida di Irgun, con l'intento di rivolgere contro gli stessi inglesi la loro lotta di "liberazione del territorio". Alla loro guida nel frattempo era stato eletto un uomo che trent'anni dopo, nelle vesti di Primo Ministro di Israele, avrebbe firmato uno storico trattato di pace con l'Egitto di Anwar el Sadat: Menachem Begin.
Fu sotto la guida di Begin che nel Gennaio 1944 i sionisti dichiararono ufficialmente una "rivolta" contro il governatorato inglese. Questo portò ad una prima, storica spaccatura all'interno della leadership ebraica, che vide da una parte i membri del Yishuv, l'Agenzia Ebraica che rappresentava ufficialmente gli interessi di quel popolo nel mondo, che sosteneva una via legalistica all'acquisizione del territorio, e dall'altra appunto Irgun, che usando invece tattiche molto simili a quelle dei terroristi odierni, diede inizio ad una serie di attentati contro i centri nevralgici dell'amministrazione britannica. Nella foto sotto a sinistra vedete quello che rimase della sede dell'Intelligence britannica. Al centro l'ufficio delle imposte. Ma l'attenato più noto fu certamente quello del King David Hotel di Gerusalemme (foto a destra), che fu portato a termine da sei membri dell'Irgun travestiti da arabi. Nell'attentato morirono quasi cento persone, e le lunghe diatribe riguardo al fatto che gli attentatori avessero avvisato o meno la direzione dell'Hotel, mezz'ora prima dell'esplosione, rimasero per sempre insolute. LE NAZIONI UNITE Alla fine della guerra la situazione era ormai giunta al limite, con arabi contro ebrei, inglesi contro arabi, ebrei contro inglesi, ma anche ebrei contro ebrei, con gli stessi leader Yashuv che temettero per un momento una vera e propria guerra civile. L'Inghilterra si vide così costretta a rimettere la delicata questione nelle mani delle Nazioni Unite, che erano da poco nate dalle ceneri della stessa Lega delle Nazioni che le aveva assegnato il mandato venticinque anni prima. Nel frattempo gli scontri fra palestinesi ed ebrei si facevano sempre più gravi, col confluire in Palestina di nuove ondate di ebrei sopravvissuti alla Shoah, oltre a quelli che avevano risposto all'appello del sionismo da ogni altra parte del mondo. Un Comitato Speciale delle Nazioni Unite tornò a proporre una spartizione della terra, che prevedeva la creazione contemporanea dello Stato di Israele. Il piano (nella cartina sotto a sin.), che assegnava il 57% delle terre agli ebrei (giallo) ed il 43 agli arabi (grigio), con Gerusalemme (bianco) sotto controllo internazionale, fu accettato dai primi, ma respinto dai secondi. Va notato che i palestinesi non facevano direttamente parte delle Nazioni Unite, e dovevano quindi farsi rappresentare dai delegati dei confinanti paesi arabi (arancione). IL PIANO UFFICIALE DI SPARTIZIONE Il 29 Novembre 1947 il piano fu sottoposto al voto dell'Assemblea Generale, che emise la storica risoluzione 181, con 33 paesi a favore, 13 contrari, e 10 astenuti. L'Inghilterra annunciò l'intenzione di restituire il mandato il 15 Maggio del 1948. Ma i fermenti provocati dalla decisione ONU esplosero molto prima di quella data, precipitando la regione in uno stato di caos, e mettendo gli inglesi in serie difficoltà: da una parte, neltentativodidomare la rivolta, il numero dei morti fra i loro soldati continuava a salire, dall'altra si facevano sempre più forti le pressioni da parte degli Stati Uniti per permettere l'immigrazione ad un numero ancora maggiore di ebrei. Ora in chiaro contrasto con l'Inghilterra, sembrava essere passato decisamente agli USA il ruolo di sostenitori della causa sionista. Le prime operazioni sistematiche di "pulizia" - così definite da loro stessi - furono intaprese dai sionisti contro i palestinesi nel Dicembre del 1947. NASCE LO STATO DI ISRAELE Il 9 Aprile 1948 le milizie di Irgun e Lehi massacrarono l'intera popolazione del villaggio di Deir Yassin. La notizia si sparse in fretta dappertutto, ed i palestinesi iniziarono a fuggire in massa verso il Libano a Nord, la Cisgiordania ad Est, e l'Egitto a Sud del paese. Il 14 Maggio 1948 veniva proclamato a Tel Aviv il nuovo stato di Israele, mentre gli ultimi reparti di soldati inglesi lasciavano in fretta e furia il territorio. I palestinesi ricordano quella data come "al-Nakba", che significa "La Catastrofe". Le forze israeliane, assistite dai gruppi militanti di Irgun e Lehi, si impadronirono immediatamente del territorio a loro assegnato, appropriandosi anche di sostanziose porzioni destinate invece ai Palestinesi. In poche gli israeliani controllavano l'intera Galilea, il Negev, Gerusaslemme Ovest, e buona parte delle pianure costiere. Il giorno seguente gli eserciti di Giordania, Siria, Egitto, Libano e Iraq attaccarono Israele, ma furono sconfitti con relativa facilità dalla superiorità militare israeliana. Si venne così ad un armistizio, i cui confini (cartina sopra a destra) ricalcavano da vicino quelli del precedente Mandato Britannico. La differenza più vistosa era costituita dalla striscia costale di Gaza, che andava agli egiziani, e la Cisgiordania (West Bank) con Gerusalemme Est, che passava sotto il diretto controllo della Giordania. In altre parole, da un punto di vista geografico, Israele aveva sostituito in pieno gli inglesi nel controllo dell'intero territorio palestinese, fatto salvo per quelle zone - Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est - che avrebbe poi invaso in seguito. GLI ANNI DI ARAFAT Nel 1959 Yassir Arafat, un palestinese nato in Egitto, fondava in Kuwait un'organizzazione segreta chiamata Al Fatah, a nome della quale, nel 1964, dichiarava la lotta armata contro Israele. Nello stesso anno i paesi arabi, nel tentativo di tenere sotto controllo il popolo palestinese, creavano il PLO (Palestinian Liberation Organization). Ma i palestinesi, che fino ad allora erano stati spettatori passivi degli scontri fra arabi ed israeliani, ambivano a quel punto ad agire indipendentemente. E nel 1968, quando Al Fatah ed Arafat inflissero gravi perdite all'esercito israeliano nella località di Karameh, in Giordania, i palestinesi ritrovarono il lui il loro leader naturale. Nel 1969 Arafat veniva acclamato presidente del PLO a furor di popolo.GUERRA DEI SEI GIORNI
GUERRA DELLO YOM KIPPUR ARAFAT ALL' ONU
Ma la prospettiva di una possibile convivenza con i palestinesi non piaceva ai leader sionisti, che predicavano invece un ritorno all'intero territorio "biblico". In quel momento si trovavano in netta minoranza nello schieramento parlamentare, ma non appena il partito Hirut - erede del gruppo d'azione Irgun del '48, e padre dell'attuale Likud - riuscì ad andare al governo, nel 1977, il lento processo di distensione iniziato in quegli anni si arrestò bruscanente.
A sbloccare la sempre più tesa situazione fra arabi e israeliani fu una mossa a sorpresa del presidente egiziano, Anwar el Sadat, che si presentò un giorno (1977) di fronte al parlamento di Tel Aviv, e fece un discorso di apertura che avrebbe portato in poco tempo all'effettiva pace fra Egitto e Israele.
E fu proprio Carter, nel 1978, ad ospitare gli storici "Accordi di Camp David", in cui l'Egitto riconosceva - primo fra gli stati arabi nella storia - lo stato di Israele. Questo in cambio si ritirava dai territori occupati nel '73, restituendo il Sinai con il prezioso Canale di Suez. Un anno dopo i due stati avrebbero firmato un trattato di pace ufficiale, che è ancora oggi in vigore.
Mentre Arafat si rifugiava con i suoi in Tunisia, i campi profughi restavano alla completa mercè degli israeliani e della Falange Cristiana libanese, loro alleata. Fra l'11 e il 16 Settembre del 1982, i falangisti sterminarono l'intera popolazione dei campi di Sabra e Chatila, dopo che l'esercito israeliano li ebbe circondati per chiudere ogni possibile via di fuga. Fu una vera e propria mattanza, e lo scandalo che seguì, nello stesso Israele, portò ad un'inchiesta che si concluse con le dimissioni di Sharon dai vertici dell'esercito. In seguito allo sterminio, era esplosa la cosiddetta "prima intifada", che coinvolse l'intera popolazione palestinese dai territori occupati di Gaza a quelli della Cisgiordania (West Bank), e che sarebbe durata fino al 1993. Da Tunisi, che ci provasse davvero o meno, Arafat riusciva a fare ben poco per controllare il suo popolo in rivolta.
La situazione fu sbloccata dal ritorno al governo dei laburisti, guidati da Yitzhak Rabin, nel 1992. Invece di ripartire dagli incontri bilaterali, arenati in uno stallo irreversibile, il nuovo ministro degli esteri, Shimon Peres, prese contatti segreti direttamente con la dirigenza palestinese. Questi incontri, avvenuti nella lontana e neutrale Norvegia, culminarono con i cosiddetti "Accordi di Oslo", nei quali i palestinesi riconoscevano il diritto di Israele ad uno stato proprio, mentre ottenevano dallo stesso l'impegno per un progressivo ritiro dalle terre occupate nel 1967. Il momento di distensione - senza dubbio il più alto in assoluto dell'intera vicenda - portò alla storica stretta di mano fra Rabin e Arafat, alla Casa Bianca, davanti ad uno smagliante Clinton fresco di mandato. Per l'occasione fu anche promulgata una pomposa Dichiarazione dei Principi, che formalizzava solennemente gli accordi intercorsi. Arafat, Rabin e Peres avrebbero poi condiviso anche il Premio Nobel per la Pace. Nonostante le apparenze, gli accordi erano però fragili ed incompleti, poichè avevano dovuto demandare al futuro questioni fondamentali come il ritorno dei profughi palestinesi, o il controllo di Gerusalemme.
Allo scopo di gestire il processo di pace fu ufficialmente creata la Palestinian Authorithy, e quando Arafat fece il suo ritorno trionfale a Gaza, nel 1994, ne divenne automaticamente il presidente.
La strategia inaugurata da Begin cominciava a dare i suoi frutti. A peggiorare le cose intervenne nel 1995 l'assassinio di Rabin, da parte di un giovane fanatico sionista. Che abbia agito di propria iniziativa, o fosse invece una pedina manovrata dalla leadership sionista, con quel gesto diede voce a tutti gli ebrei che non perdonavano a Rabin la restituzione della "terra promessa".
Seguì, nel 1996, un'ondata di attacchi suicida, da parte dei palestinesi, che facilitarono l'ascesa al governo del "falco" Netaniahu. Il leader "dal pugno di ferro" prendeva il posto di Shimon Perez, che a sua volta aveva sostituito Rabin alla sua morte. Netaniahu era dichiaratamente contrario agli accordi di Oslo, e come prima cosa fece togliere il veto che impediva nuove installazioni di coloni nei territori occupati. Questo portò un'immediato aumento della tensione, sia a livello locale che internazionale.
Nonostante la rigida posizione di Netaniahu, la Casa Bianca riuscì ad imporgli, con gli "Accordi di Wye River", la restituzione di buona parte di Hebron, oltre all'impegno per ulteriori restituzioni a breve termine, in Cisgiordania. Ma quando venne il momento di effettuare queste restituzioni, il governo di destra si spaccò, e favorì il ritorno al potere dei laburisti.
Nel momento di incertezza che seguì il fallimento della trattativa, ricomparve alla guida del Likud Ariel Sharon. Un mese prima delle elezioni, dovute alla caduta di Barak, l'ex-generale fece la sua storica passeggiata sulla spianata di Al-Aqsa, scatenando l'inevitabile reazione dei palestinesi. Ebbe inizio così la seconda intifada, che di certo contribuì non poco alla sua schiacciante vittoria elettorale. L'inizio del suo mandato fu segnato da una inarrestabile spirale di violenza, in cui ad ogni attentato palestinese seguiva una rappresaglia israeliana, e viceversa. In questo periodo i carri armati israeliani penetrarono più volte nel territorio palestinese, col dichiarato intento di annientare le basi dei guerriglieri. Il campo di raccolta di Jenin fu letteralmente raso al suolo, con un numero di vittime che è stato impossibile verificare, a causa del veto posto dagli Stati Uniti alla commissione ONU creata con quel proposito. Durante una delle incursioni, Sharon fece anche circondare dai suoi carri armati il centro di comando del PLO, nel quale Arafat rimase praticamente prigioniero per tre mesi. Nessuno stato straniero intervenne in favore del vecchio leader, che inutilmente lanciava appelli alla comunità internazionale perchè ponesse fine al suo imprigionamento. Il suo tempo era finito, e forse solo lui non se n'era ancora accorto. Pochi mesi dopo, gli attentati dell'11 Settembre 2001 ridisegnavano completamente gli equilibri politici e psicologici del mondo intero, e portavano, fra le altre cose, ad una esasperata pressione di Israele sui territori occupati.
Nel 2003 veniva messa a punto da Stati Uniti, Russia, Europa Unita e ONU la cosiddetta "Roadmap for Peace", un piano abbastanza generico e poco convincente, le cui intenzioni stridevano clamorosamente con la quotidiana avanzata del muro di separazione fra i due territori, fortemente voluto da Sharon, che proseguiva anche dopo la richiesta ufficiale di smantellamento da parte dell'ONU.
Yassir Arafat moriva a Parigi, nel Novembre del 2004, dopo aver dovuto finalmente passare la mano a personaggi più graditi ad Israele e all'amministrazione Bush. Ecco la situazione sul terreno, al momento della sua scomparsa: Nella cartina di sinistra, in giallo, le zone occupate dai coloni, in verde scuro le varie strade di raccordo costruite e controllate da Israele. In quella a destra, i quadrati neri indicano i vari posti di blocco israeliani, mentre lungo la linea giallo-rossa sorge oggi buona parte del muro di separazione che sta per essere completato. *** Se di fallimento si può parlare, è certamente quello della società umana nel senso più ampio della parola.
|
Una riflessione/sociologica chemi è venuta leggendo i vari momenti di oggi -in particolare credo fosse Peterpan3- sul bisogno di Israele di avere una "Gaza".
Si potrebbe trovare una "spiegazione" nella mimesi rispetto al dio al quale credono.
Ovvero che il delirio di potenza di questi governi che si sono succeduti in questi anni -perchè appunto c'è una minoranza Israeliana che non ha mai accettato queste "escalation" e vi si è sempre opposta e le ha sempre denunciate, li fa credere di sentirsi al pari della loro divinità.
È in un certo senso per loro la stessa mano della punizione e vendetta divina a guidarli.
La butto lì come una mia suggestione, che certo sarebbe da approfondire, correggere, e migliorare.