A volte le cose vanno in modo strano, nel mondo, e spesso si assiste a episodi nei quali si vedono gettare al vento preziose oppurtunità per sanare profonde fratture nella nostra società.
Prendiamo ad esempio l’undici settembre, e il processo a 6 degli organizzatori degli attentati annunciato di recente dal Pentagono. Visto il caso molto particolare, che ha coinvolto letteralmente mezzo mondo, ci si aspetterebbe di vedere un megaprocesso in diretta TV, grazie al quale l’intera popolazione del globo potesse finalmente fugare i propri dubbi sulle effettive responsabilità per i fatti di quel giorno.
Potremmo vedere i famosi video del Pentagono che finora non ci sono stati mostrati, potremmo ascoltare dalla viva voce degli imputati le folli motivazioni che li avrebbero portati a compiere quel gesto, e potremmo soprattutto toccare con mano le famigerate prove contro Al-Queda che gli americani hanno sempre sostenuto di avere, ma che finora non hanno mai mostrato a nessuno.
A questo punto infatti non si comprende quale potrebbe essere la motivazione per mantenere certe informazioni ancora riservate, visto che ormai la struttura organizzativa dell’attentato sarebbe stata individuata, e non si rischia certo di mettere in allarme ... ... ... qualcuno che ancora ignori di essere sospettato. Ma anche se restasse qualche informazione delicata, la si potrebbe presentare sempre a porte chiuse, rendendo pubblico il resto del processo.
All’alba dell’undici settembre George Bush aveva detto “giustizia sarà fatta”, e sarebbe stato bello, per una decisione così importante, che fosse una classica giuria popolare a valutare le colpe degli imputati, dopo che per loro fosse stato applicato il famoso “due process” (la procedura corretta, cioè “dovuta”), garantito a chiunque dalla Costituzione americana.
Invece a processarli saranno i militari di Guantànamo, in una cosiddetta kangaroo-court che è già stata dicharata illegale dalla Corte Suprema, nella quale gli imputati non hanno nemmeno diritto all’assistenza legale. Altro che “due process”.
Ci verrà quindi “raccontato” che cosa hanno detto gli imputati, e quale sarà stata la loro condanna, ma non sapremo mai in che modo questo verdetto sarà stato raggiunto.
E purtroppo dovremo fidarci di una amministrazione che in questi anni si è saputa distinguere soprattutto per le reiterate e sistematiche menzogne che ama raccontare al mondo con la massima spudoratezza.
Cheney ha mentito spudoratamente, quando disse di avere le prove che gli iracheni avessero armi di distruzione di massa, e ha poi mentito altrettanto spudoratamente quando ha negato di averlo detto.
Condi Rice ha mentito spudoratamente, quando disse che nessuno poteva prevedere degli attacchi con degli aerei civili sul territorio nazionale, e il cosiddetto “briefing del 6 Agosto” l’ha smentita in pieno.
Donald Rumsfeld ha mentito spudoratamente quando ha detto di non essere al corrente delle procedure di interrogatorio di Abu Grahib, mentre Seymour Hersh ha poi scoperto che tali istruzioni erano dettagliatamente descritte nel progetto “Coppergreen” a firma dello stesso Rumsfeld.
George W. Bush ha mentito spudoratamente quando ha detto, nel discorso allo “State of the Union”, che Saddam aveva cercato di procurarsi uranio dalla Nigeria, pur essendo stato avvisato dalla CIA che il documento su cui basava l’accusa non era credibile.
E Theodore Olsen, procuratore generale degli Stati uniti, grande amico dei neocons, e artefice della vittoria in Corte Suprema che nel 2000 li portò al potere, ha apertamente sostenuto che in certe occasioni è lecito che i governi mentano, anche alla loro stessa popolazione.
Poi però per qualche strano motivo dovremmo credere che quello che ci hanno raccontato questi signori sull’11 settembre è tutto vero.
Massimo Mazzucco
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