UN ALTRO GRADO DI TERRORISMO
di Stefano Serafini
Bisognerebbe prima di tutto chiarire un equivoco, collegato a quello dell'uso invalso della parola "terrorismo". "Terrorista" è per definizione chi opera con il fine di terrorizzare, destare sconcerto nell'opinione pubblica, ad es. colpendo indiscriminatamente civili inermi (la strage di Piazza Fontana, la strage dell'Italicus, le bombe al Velabro e a S. Giovanni a Roma). Non è terrorista, ma mero criminale, guerrigliero o nemico, chi usa violenza contro un obiettivo dichiarato e identificabile (non sono atti di terrorismo il rapimento e l'uccisione di Moro da parte delle BR che è un assassinio politico, né la strage di Nassirya che è un atto di guerra).
E' evidente quanto sia strumentale l'abuso della parola "terrorismo" da parte delle amministrazioni occidentali e dei loro media per stigmatizzare i propri nemici. Prima dell' 11 Settembre, la soldataglia cecena era chiamata dal New York Times ... "guerriglia", o "combattenti per la libertà". Dopo quella data (per poco, invero) ridivennero terroristi.
Ma UCK, guerriglia cecena, contras, ecc., rappresentano in verità una forma avanzata di guerra per procura che usa mezzi terroristici. E' una criminalità militare (con implicazioni di alto tradimento) che sfocia dunque nel terrorismo solo per quanto riguarda i mezzi.
L'intifada palestinese e la resistenza baatista irachena sono invece forme di guerra di liberazione. La prima, variegata com'è nella sua composizione, usa spesso mezzi terroristici, avendo fra l'altro anche l'intenzione di piegare la volontà dell'elettorato israeliano alle proprie ragioni. Per quanto riguarda la seconda ci sono buoni elementi per sospettare che gli atti di terrorismo a lei addebitati (bombe nel mercato, ecc.) non le appartengano, mentre le stragi di soldati iracheni collaborazionisti fanno parte di un preciso mandato militare.
Come ci insegnava la suora alle elementari, Pietro Micca, che si faceva saltare in aria insieme agli sgherri austriaci, era un eroe.
Ora, ritengo che la "scoperta" delle torture ad Abu Ghraib rappresenti a sua volta un trucco semantico, al modo della traslazione di significato della parola "terrorista".
Sembra infatti evidente non solo che i superiori sapessero, ma che fossero state precise direttive dall'alto a far fotografare e propalare quegli eventi disgustosi, i quali tuttavia rientrerebbero nella normalità anomica della guerra se avessero un fine bellico (conquista di informazioni, tradimento di compagni, ecc.). E qui torniamo al concetto di terrorismo e al fine vero non solo delle torture, ma dell'intera guerra, che non consiste nella conquista, ma bensì nella distruzione del paese, nell'alimentazione del caos.
In Algeria l'esercito francese usò la tortura: ma cercò bene di tenerla nascosta al pubblico, fra l'altro uccidendo i torturati dopo aver estorto loro le notizie di cui avevano bisogno per scopi militari.
In Iraq la tortura mostrata al mondo e soprattutto agli iracheni civili non pare avere altro scopo che l'umiliazione estrema del popolo. A che serve torturare un portiere d'albergo e mandare in giro le sue foto con una bottiglia infilata nell'ano? A sconcertare, a terrorizzare, a dare per inteso che "noi facciamo quel che cazzo ci pare".
Sembrerebbe altrimenti ingenuo credere che torture inutili, tarate bestialmente sulla sensibilità culturale, religiosa e sessuale del popolo iracheno per "èpater", per incidere l'anima, siano state lasciate fotografare centinaia di volte senza alcuno scopo, e anzi col rischio di fare una pessima figura.
Mentre tale atteggiamento sembra rivelare un altro messaggio, rivolto a noi questa volta. Dice: "Voi che parlate di diritti umani, democrazia, Convenzione di Ginevra, pace... state attenti. Perché noi ce ne freghiamo, siamo più forti di tutti i vostri principi e dell'opinione pubblica, e se vogliamo fare cose atroci, agli iracheni o a voi, le facciamo e basta".
Si chiama uso della paura per il potere, minaccia senza veli. Insomma, dopo i bombardamenti sui civili, un altro grado di terrorismo. Terrorismo occidentale, nel contenuto e nella forma. Che è purtroppo anche un esperimento sociale, spaventoso e abominevole su di noi, per vedere quanto assuefatti alla merda siano i nostri cervelli da lobotomizzati televisivi, quanto siano pronti a lasciar correre il prossimo futuro del potere mondiale.
Stefano Serafini
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