di Aldo Oliva
Non so descrivere con precisione le emozioni che ho provato ieri notte, quando ho seguito la diretta streaming di
democracynow e sono stato reso partecipe e informato di un evento (termine doloroso e inadatto ma corretto) gravissimo, orrendo, che ho vissuto, grazie anche alle testimonianze e ai contributi dei giornalisti, come se fossi lì: gli attimi immediatamente precedenti e successivi alla
esecuzione della pena di morte di un cittadino americano, Troy Davis, avvenuta nella città di Jackson, in Georgia.
Il solo pensiero che nel 2011 la "grande democrazia americana" e i "paladini della pace" contro il male - come vengono ormai definiti da tutto l'occidente moderato e "cosciente" - possano compiere un gesto simile verso un proprio concittadino, mi sconvolge e mi fa anche un po' arrabbiare. Perché i nostri amici americani oltre a compiere, purtroppo, azioni di guerra in Afghanistan, in Iraq, e in tutti gli altri stati dove i signori del bene hanno deciso di portare la pace, uccidono legalmente anche dentro "le mura amiche", in casa propria, spesso dei propri cittadini, nella maniera più barbara e forse medievale che ci possa essere. Tramite avvelenamento, iniezione letale.
Questa azione rende senz'altro gli Stati Uniti alla stregua di
altri regimi dittatoriali ... ... e sanguinari, non certo li fa erigere a ruolo di potenza eticamente superiore alle altre e per la quale tutti noi possiamo esprimere ammirazione per il senso di lealtà e di giustizia. Il popolo americano avrà anche accettato l'esecuzione a morte di Saddam Hussein, e di altri terroristi, ma pare molto strano non si ribellino - tranne qualche associazione meritevole e i volontari della rete - a questa ingnominia senza se e senza ma.
Perché il problema di fondo resta sempre la coscienza dei singoli cittadini. Il modo in cui loro vedono le cose. La politica ne è ahinoi un triste e impietoso riflesso, uno specchio di ciò che la società rappresenta. E così come alcuni stati americani, soprattutto per volere dei cittadini, hanno fatto sì che la pena di morte venisse abolita o sospesa (termine quest'ultimo importante perché ci fa comprendere come in realtà anche laddove sia stato impedito questo sciagurato atto si potrebbe tranquillamente ripristinare con un semplicissimo decreto a maggioranza), questa potrebbe diventare subito legge in tutto il Paese se l'opinione grandemente maggioritaria volesse veramente questo.
Perciò il problema non è il governo, né tanto meno la suprema corte: è la gente, sono i cittadini che appoggiano qualcosa che li rende anch'essi poco liberi, perché la vita è strana, e ciò che capita ad un altro potrebbe, anche per assurdo e in un giorno non troppo lontano, capitare a tutti.
Chi ieri sera, magari guardando la diretta su livestream, quasi godeva per l'esecuzione di un arrestato (che comunque dovrebbe vedersi salvaguardato il sacrosanto diritto alla vita) ci pensi bene. La limitazione dei diritti per un singolo cittadino equivale alla limitazione dei diritti tutti i cittadini. Anche in Italia, però, non si muove una foglia: i soliti giornali storicamente contro la guerra ogni tanto scrivono qualche misero articoletto, ma non è affatto presente una vera e propria presa di coscienza civile e democratica sul fatto che in uno stato occidentale evoluto possa permettersi ed accettarsi tale ignobile gesto.
Siamo tanto spaventati dal terrorismo internazionale, da Gheddafi, da Mubarak, e poi permettiamo, o meglio, accettiamo supinamente che dei nostri fratelli (e spesso potrebbero esserlo anche di sangue, avendo gli Stati Uniti milioni e milioni di cittadini italiani) vengano barbaramente messi al patibolo, senza appello, senza possibilità di scampo. E tutto questo, naturalmente, fa partire l'inevitabile circo mediatico, con interviste ai parenti, talvolta allo stesso condannato giorni prima dell'esecuzione; la presenza di radio, televisioni, riprese video anche amatoriali, innanzi alla"stanza del misfatto"... Tutto ciò a rendere uno spettacolo barbaro quasi quanto ciò che si sta documentando.
Si crea cioè un "grande fratello" della morte, una sorta di Truman show dell'esecuzione. I media, è ovvio, devono documentare e informarci sui fatti, ma in questo caso sono vittime anche loro della barbarie e della incredibile azione commessa da uno stato che permette l'uccisione di un cittadino: che non permette più ai familiari - anche di un criminale - di potere abbracciare, anche una volta la mese, il proprio caro, di potergli trasmettere un po' di fiducia; una parola di conforto; di poter capire da lui che questi è migliorato in carcere, che ha compreso il suo errore, e che forse, un giorno, uscito, avrebbe potuto essere un cittadino migliore.
Ma uno stato che commette dei crimini non può né educare né tanto meno punire o essere un "giusto giudice". Può solo, grazie alla sua forza e ai suoi mezzi, riuscire ad essere più criminale e vigliacco.
Aldo Oliva -
Intervista