di Federico Dal Cortivo
Dopo l’ultimo risultato referendario che ha decretato ancora una volta il no al nucleare civile in Italia, Europeanphoenix ha intervistato in esclusiva l’Ingegnere Giuseppe Gherardi, ricercatore dell’ENEA, l’Agenzia italiana per lo sviluppo delle nuove tecnologie, energia e sviluppo sostenibile.
D: Ing. Gherardi dopo il risultato del referendum sul nucleare civile in Italia, che come quello del 1987 ha detto no all’installazioni di centrali nucleari sul suolo nazionale ed ha probabilmente sancito la definitiva uscita di scena dell’Italia da tali programma di sviluppo energetico, quale è il suo parere in merito?
R: Le due situazioni sono estremamente lontane: nel 1987 il sistema Italia aveva proposto soluzioni avanzate e, se non fosse stato deciso diversamente, sarebbe stata possibile una politica industriale che avrebbe consentito di competere nel settore nucleare con gli altri paesi industrializzati, non solo per il mercato interno, ma anche in quello internazionale. Oggi, anche se le industrie del settore mantengono una posizione competitiva (il mantenimento in funzione delle centrali obsolete in giro nel mondo è un mercato importante) sarebbe stato necessario uno sforzo notevole per consentire alle industrie nazionali di partecipare a una parte significativa della catena di fornitura (il 75% era l’obiettivo ambizioso che ci si poteva porre). Inoltre avremmo dovuto ricostruire la capacità operativa delle infrastrutture, a partire dall’autorità di sicurezza, e soprattutto doveva essere ricostruita la fiducia del pubblico nella trasparenza e nella competenza di tali istituti.
Poco si era fatto, e il risultato del referendum ha interrotto un processo che sarebbe stato benefico per il paese, ma che non era ancora iniziato.
D: Non crede che l’abbandono tout court del nucleare, probabilmente sull’onda emotiva del disastro di Fukushima, ... ... ci condanni per altri decenni a dover dipendere sempre di più dai combustibili fossili e dall’energia elettrica acquistata oltre confine, con tutti i problemi di dipendenza politica, economica e di inquinamento che essi comportano per la Nazione, con un peso sempre crescente sulla bolletta degli italiani.
R: Senza dubbio. Questo vale sia per l’uscita definitiva dal nucleare sia per le politiche dissennate che ci hanno portato a comprare dalla Cina sabbia trasformata in silicio per i pannelli fotovoltaici. Trasformazione che ha richiesto il consumo di elettricità prodotta dalle centrali cinesi a carbone, tra le meno efficienti e tra le più inquinanti del mondo. Energia che i pannelli acquistati a prezzi elevati dovranno lavorare ancora per anni prima di restituire interamente. Vale per le centrali eoliche costruite in Danimarca e in Spagna e installate in Italia, che arricchiscono gli investitori senza che nemmeno ci si prenda il disturbo di collegarle alla rete elettrica. Vale per le centrali a biomasse costruite in Germania e in Austria e installate in Italia, che sconvolgono gli equilibri ambientali e territoriali senza incidere tutte insieme più di qualche per cento della produzione elettrica nazionale. La conseguenza che prevedo è una drastica riduzione dei consumi, che naturalmente colpirà solo una parte della popolazione, quella che oggi paga gli incentivi alle rinnovabili e all’incompetenza dei decisori.
D: Si è usciti dal nucleare , ma ci si dimentica volutamente che l’Italia è di fatto nuclearizzata. Sul nostro territorio stazionano decine di bombe atomiche custodite nelle basi di aeree di Ghedi e Aviano dell’Us Air Force, senza contare quelle a bordo di navi e sottomarini dell’Us Navy che stazionano nel Mediterraneo, dove un incidente, non sarebbe il primo in ambito militare, è sempre possibile. Se non si vuole il nucleare allora si pretenda coerentemente che tutte le testate atomiche escano dall’Italia.Che ne pensa Ing. Gherardi?
R: Non vedo relazione tra le armi nucleari e le centrali elettronucleari. Non hanno in comune niente di più di quanto abbiano in comune le celle fotovoltaiche e i computer: il tipo di materia prima usata nel processo principale. La favola dello stretto collegamento tra nucleare civile e nucleare militare è basata esclusivamente sulle risorse dialettiche di chi sogna il benessere solare. Certo, anche per questi sognatori l’interesse per la sicurezza delle centrali nucleari supera di molto l’interesse per la possibilità di incidenti al nucleare militare. I piani di emergenza nei porti italiani presso i quali sostano vascelli con alcuni reattori nucleari funzionanti a bordo non sono particolarmente pubblici. Una cosa certa è che se in caso di incidente i vigili del fuoco facessero l’errore di avvicinarsi, troverebbero un severo fuoco di sbarramento.
D: In Europa vi sono attualmente circa 195 centrali atomiche, di cui 59 in Francia-5 Svizzera-1 in Slovenia-17 in Germania- 32 in Russia di cui almeno 11 in costruzione- 8 in Spagna- 19 in Gran Bretagna- 10 in Svezia- 4 in Finlandia- 15 in Ucraina, 2 in Romania, ecc. A parte la Germania che ha recentemente deciso di abbandonare progressivamente l’atomo, gli altri Stati europei sembrano che al momento vogliano proseguire sulla strada del nucleare o per lo meno non abbandonarlo del tutto. Questi dati fanno riflettere perché evidentemente altrove si ritiene che il nucleare sia un buon investimento sul fronte energetico e con pochi rischi per l’uomo. Ci potrebbe dire quale è oggi il livello tecnologico di questi impianti e la loro sicurezza.
R: Il livello di sicurezza è dimostrato dal fatto che i più gravi incidenti avvenuti hanno avuto conseguenze immediate tragiche ma molto meno gravi degli incidenti dovuti ad altre fonti energetiche (dal crollo delle dighe agli incidenti nell’uso degli idrocarburi, anche ieri in Kenya sono morte orribilmente 120 persone per l’esplosione di un deposito di carburante, ma la notizia era in trentesima pagina. In prima pagina c’era l’incidente “nucleare” in Francia). Le conseguenze a lungo termine non sono statisticamente rilevabili. Certo se Chernobyl avesse avuto il contenitore di sicurezza, non ci sarebbe stata la necessità di evacuare la regione attorno. Certo, se a Fukushima non avessero costruito i gruppi elettrogeni di emergenza in riva al mare, fidandosi delle opere di protezione anti tsunami, non avrebbero avuto danni economici molto elevati. Se non avessero confidato nelle protezioni antitsunami non sarebbero neanche morte 30 mila persone e non avrebbero neanche avuto il danno all’industria chimica (e il conseguente danno ambientale, che a differenza di quello nucleare avrà anche conseguenze misurabili sulla salute umana). Certo, un mondo guidato dalle istanze della finanza preferisce mantenere in funzione centrali che erano costruite per durare venti anni, prolungandone la vita fino a sessanta. Tecnologie obsolete, margini di sicurezza che si riducono, investimenti già ammortizzati: ricavi certi senza rischi, per gli investitori. Ritengo che vi siano molte centrali da chiudere al più presto, per costruirne di nuove. Quanto a lungimiranza, direi che sotto tale aspetto non c’è una grande differenza tra la “infinita saggezza degli italiani che hanno abbandonato il nucleare” e la miopia di paesi che annunciano spesso la chiusura delle centrali nucleari (ricordate la Svezia? Anni fa aveva annunciato la chiusura entro il 2010 di tutte le sue centrali, tutte costruite prima del 1980. Nel 2011 ha il 45% di produzione nucleare, e alimenta così anche le fabbriche di generatori eolici nella vicina Danimarca).
D: Fukushima è stato un evento eccezionale, per così dire imprevedibile ed unico, oppure a suo avviso vi sono state negligenze da parte dei giapponesi, che sappiamo di solito molto accorti e preparati sul fronte terremoti-maremoti?
R: A questa domanda si può rispondere solo col senno di poi. Ogni impresa umana poggia su assunzioni di rischio, suscettibili di essere falsificate: lo tsunami è stato superiore di molto ai valori previsti. Il numero delle vittime e i danni economici sono stati enormi anche per questo. Fukuschima è stato solo una delle molte tragiche conseguenze dello tsunami. Per quanto riguarda il prezzo in vite umane, 30mila volte inferiore alla somma degli altri.
A fronte di una catastrofe di queste dimensioni, io ritengo sia impossibile costruire difese invincibili, ma si debba piuttosto preparare una capacità di intervento, anche internazionale, per limitare i danni. Non sarebbe successo nulla se si fossero portati generatori elettrici per rialimentare le utenze essenziali per la sicurezza – del tipo che ogni esercito sposta in poche ore dove serve - Naturalmente questa preparazione non ha niente di specifico per il nucleare, dovrebbe essere prevista per dare la massima flessibilità di risposta a fronte di eventi imprevedibili. Qualcuno ha detto che in Italia non può esserci uno tsunami: sono perplesso, abbiamo un bel vulcano sottomarino nel Tirreno, qualcuno glielo è andato a dire che non può fare guai?
D: A tutt’oggi possiamo considerare 7 gli incidenti gravi occorsi a centrali atomiche (non sappiamo quelli segreti e militari), da quello di Kyshtym (Urss) nel 1957 che rientrava a livello 6 della scala INES (International Nuclear Event Scale) che va da 0 a 7, a Three Mile Island in Usa nel 1969 valore 5, Chernobyl (Urss) nel 1986 livello 7, fino ad arriva oggi a Fukushima livello 6. Nel mondo occidentale sono poche le ditte che producono reattori, la francese Areva, la General Electric e Westinghouse statunitensi, la Toshiba e Hitachi giapponesi. Ing. Gheradi, quale è oggi lo stato dell’arte in fatto di reattori nucleari?
Come detto sopra, il mancato rispetto dei limiti sulla durata di vita di progetto e il dissennato ricorso ai combustibili fossili hanno rallentato il progresso tecnologico del settore nucleare. Le centrali della quarta generazione potrebbero già essere in funzione, se non ci fosse stata una stasi di trenta anni.
R: Di cui non ha affatto beneficiato l’industria nucleare, costretta a vivere delle attività di service, ma il mondo della finanza – lo stesso che in questi giorni sta facendo vacillare il mondo – lo stesso che ha investito miliardi in impianti fotovoltaici senza portare a ricadute socioeconomiche al di là del lavoro degli installatori, preferibilmente fatti venire dalla Romania o altri paesi con manodopera a basso costo. In un caso e nell’altro il progresso è stato solo nel trovare le tecniche più efficaci nel drenare denaro dagli utenti per spostarlo al di fuori del sistema produttivo.
All’elenco delle industrie nucleari contenuto nella domanda aggiungerei i koreani e i russi, che stanno piazzando le loro centrali nucleari nel mondo secondo la politica industriale del loro paese e non secondo le incerte prospettive dei grandi investitori.
D: Nel mondo vi sono all’incirca 440 reattori nucleari attivi di cui 104 negli Usa, 59 in Francia e 53 in Giappone, la produzione di energia elettrica è pari a 370 Gigawat, ovvero il 16% della produzione mondiale e anche Cina, India e Iran si stanno affacciando al nucleare civile, a fronte di una domanda interna di energia sempre maggiore. Quali sono a tutt’oggi i problemi maggiori che l’utilizzo della fissione nucleare ha sull’ambiente? Si è trovata una valida soluzione al problema delle scorie radioattive?
R: Il problema delle scorie è speculare al vantaggio del nucleare rispetto alle altre fonti energetiche: bastano poche tonnellate di combustibile fissile ogni anno, in luogo di milioni di tonnellate di fossile. Anche le scorie, costituite dal fissile in parte utilizzato e non più adatto ai reattori dell’attuale generazione, sono poche tonnellate ogni anno. Alcuni paesi, come la Svezia, hanno costruito i depositi definitivi per queste scorie. La maggioranza degli altri paesi, sulla base dello stesso principio per cui si può far funzionare per sessanta anni un impianto progettato per venti anni, preferiscono tenere il combustibile esaurito presso le centrali stesse, in apposite economiche piscine. Come si è visto a Fukushima, questa non è esattamente la più sicura delle soluzioni.
I reattori più moderni utilizzano meglio il combustibile, quindi producono meno scorie per unità di energia generata. In futuro, quelle che oggi sono considerate scorie possono diventare una risorsa, per questo il deposito svedese non è in realtà così definitivo come sembra.
D: La fusione nucleare dovrebbe essere il futuro dell’energia mondiale, le scorie per il 90% hanno bassa radioattività che scompare in cento anni, nessun gas serra o radioattivo, nessuna produzione di plutonio e essendo estratto dall’acqua, il combustibile è disponibile ovunque e in quantità illimitata. Parrebbe la soluzione ideale, una fonte di energia pulita e in grande quantità. Quali sono oggi i progressi in questo settore e a che punto è la realizzazione di un primo reattore a fusione? In Italia ci sono le competenze necessarie per accedere a questa tecnologia e in futuro dotare la Nazione di centrali di questo tipo? Oppure l’uscita dal nucleare odierna ci precluderà anche questa strada d’indipendenza energetica, costringendoci a comperare elettricità dagli Stati confinanti?
R: Non ritengo che l’uscita dal nucleare dell’Italia possa pregiudicare la partecipazione ai programmi di sviluppo dell’energia da fusione. Partecipiamo attivamente e con capacità adeguate. Il danno dell’uscita dal nucleare è piuttosto di tipo indiretto: meno centri di ricerca e meno imprese che lavorano per tecnologie di punta, quindi meno capacità in qualunque settore dove si manifesti la necessità di tali tecnologie. Ad esempio, certamente solo uno dei tanti: anche nel campo dell’energia solare dai ricercatori nucleari dell’ENEA sono venuti codici di calcolo e laboratori per lo studio e la qualifica dei materiali, che hanno contribuito allo sviluppo del solare termodinamico. Per non parlare delle persone che ci lavorano, quelle di una certa età vengono dal nucleare. Purtroppo, salvo salti di qualità non prevedibili, la strada della fusione è ancora lunga e travagliata, e il contributo al mantenimento dell’eccellenza tecnologica è importante ma limitato. C’è tutto il tempo perché i nostri giovani ricercatori siano costretti a cercare lavoro nel Nord Europa, oppure si rassegnino a dimenticare la ricerca.
Federico Dal Cortivo
Per Agenzia di stampa europea:
Europeanphoenix.net
L’Ingegnere Giuseppe Gherardi è stato responsabile del progetto ADS (Accelerator Driven System, impianto per la trasmutazione dei residui radioattivi ad alta attività e lunga vita – in questo ambito è stato responsabile di procedimento per la costruzione e l’esercizio dell’impianto CIRCE, il circuito sperimentale più grande nel mondo, per lo sviluppo della tecnologia del piombo fuso come refrigerante dei reattori nucleari di 4° generazione). Precedentemente è stato anche responsabile dell’unità tecnica per la fissione nucleare dell’ENEA.