Si aggrava, in Libano, quella che il delegato ONU Jan Engeland ha definito una vera e propria emergenza umanitaria. Mentre continuano i raid indiscriminati sul sud del Libano, sulla capitale Beirut, sulle storiche città di Tiro e Sidone, le agenzie denunciano 500/ 700 mila profughi, oltre un sesto della popolazione. A inseguire questa massa di disperati, che non può fuggire dal paese perché le strade verso il confine siriano sono distrutte, l’aeroporto bloccato e il porto occupato dai convogli dei turisti, degli operatori e dei libanesi con il doppio passaporto, che attendono le navi provenienti dalle madrepatrie, ora anche le forze di terra israeliane. I tank con la stella di David infatti, dopo essersi ammassati sul confine, si sono sentiti in diritto di sfondare il confine e hanno iniziato l'occupazione dei primi villaggi.
L’atteggiamento della comunità internazionale è evidentemente guidato dalla limpida volontà di lasciare a Israele qualche giorno ... ... per addentrarsi il più possibile nel territorio libanese. Secondo Haaretz, il più autorevole quotidiano israeliano, esiste un accordo in questo senso con gli Stati Uniti che concederanno libertà assoluta alle scorribande degli israeliani almeno fino a domenica prossima: giusto il tempo per fagocitare (per i non meglio precisati motivi di sicurezza) qualche centinaio di chilometri da non restituire, puntualmente, in barba al diritto internazionale.
A conferma di questo timore la conferenza di Roma, nella quale i rappresentati dei paesi arabi e delle potenze occidentali si siederanno ad un tavolo per i negoziati, si terrà addirittura mercoledì 27, più di due settimane dopo l’inizio delle ostilità, e sei giorni dopo l’annuncio della programmazione del meeting.
I tempi della politica e della diplomazia sono qualcosa di troppo lontano dalla realtà per poter essere compresi. Certo è che questo ritardo, e soprattutto questa calma ingiustificata di fronte ad una tragedia umanitaria e all’ennesima macchia sul curriculum di Israele e dell’occidente, è il più grande insulto alla popolazione libanese e per chi, tra noi, non si convince che la risposta alla presa in ostaggio di due soldati troppo vicini al confine, motivata dalla speranza di ottenere uno scambio di prigionieri in risposta alle provocazioni di Israele, sia il macello di quasi quattrocento civili, un terzo dei quali bambini, e la demolizione di un’intera nazione.
Non si poteva proprio fare prima? Sono questi gli "sforzi per la pace"? Che se lo chiedano le “casalinghe di Voghera”, i benzinai, gli impiegati, i pensionati, i contadini, gli italiani. Ogni giorno che passa, significa per il Libano altri 40/ 50 civili uccisi; significa milioni di euro in più di danni in infrastrutture, case e attività produttive rase al suolo da bombardamenti tanto indiscriminati da colpire ugualmente quartieri cristiani e sciiti, arsenali di Hezbollah e osservatori ONU (in Libano per vigilare sul ritiro di Israele del 2000 dai territori occupati venti anni prima); significa tonnellate di profughi, di risentimento e di sfiducia, più che mai giustificata, nei confronti nostri, del nostro sistema e della nostra evoluta diplomazia. Significa, per i paesi arabi e per chiunque rifiuti gli orrori gratuiti di questi giorni, l’ennesima conferma che la prepotenza internazionale di Israele trova una sponda solida, al di là dei timidi proclami, nell’occidente tutto.
La Conferenza di Roma, che simboleggia secondo Prodi il ritrovato peso internazionale dell’Italia, sembra ancora prima di iniziare un evento fatto per finire su qualche libro di storia piuttosto che per tentare di trovare una soluzione, forzando Israele ad una tregua (anche e soprattutto sul fronte, dimenticato ma ugualmente grave, di Gaza) e inviando –magari- una massiccia forza a difesa dei confini del debole e indifeso stato libanese.
Sabato il governo italiano era al gran completo al matrimonio del figlio del ministro Mastella, evento mondano con tanto di servizio al telegiornale. Prodi e consorte ne approfitteranno per passare un paio di giorni a Positano, in un umile “bed & breakfast”. Speriamo vivamente si diverta, al contrario delle molte persone comuni che da giorni faticano a mangiare serenamente.
Condy Rice, nel frattempo, andrà a trovare di persona il primo ministro israeliano, a Gerusalemme. Il quale la ringrazierà, magari, anche per avere accelerato le forniture di bombe intelligenti dagli USA a Israele giunte proprio questi giorni a rimpolpare uno dei più pericolosi arsenali mondiali. Poi magari Condy scenderà a Roma qualche ora prima per concedersi un po’ di shopping, pratica di meditazione che evidentemente apprezza e che la tenne impegnata anche durante la tragedia dell’uragano Katrina.
Per le Conferenze, per le sceneggiate di pace, si può tranquillamente aspettare fino a mercoledì. L’importante è che sia tutto sgargiante: le tartine, i microfoni, le mani da stringere, i tailleur della Rice, i baffi di D’Alema.
Tutto il mondo ci guarda, e l’occidente non può certo fare una brutta figura!
Andrea Franzoni (Mnz86)